IL RE BALBUZIENTE

Il Re balbuziente
dichiarazione di guerra ad ogni totalitarismo

Il  bisogno di una Voce

da il PaeseNuovo, Quotidiano del Salento di Martedì 01/02/2011

nota di Francesco Pasca

 

Di Tom Hooper la Sceneggiatura, di David Seidler la Fotografia.

Un Re, o meglio un futuro Re, un re balbuziente. Albert Frederick Arthur George Windsor, duca di Yiork, quello che poi, diventando Giorgio VI d’Inghilterra, indossa la corona giusto in tempo per affrontare la guerra e fare un bel discorso radiofonico ai sudditi. Filato, senza inciampare, con pathos regale e un sottofondo musicale classico ad evidenziare l’armonia delle parole che dichiarano guerra a Hitler. Un Re Giorgio spesso oscurato dalla Storia …

Colin Firth, Guy Pearce, Helena Bonham Carter, Timothy Spall, Geoffrey Rush, Jennifer Ehle, Derek Jacobi, James Currie, Tim Downie, Michael Gambon, Anthony Andrews, Eve Best, Claire Bloom gli attori. Centoundici i minuti di proiezione.

Non si vive in una campana di vetro. È così che i silenzi di quell’interno non potranno mai essere il rumoroso silenzio di ciò che può starne fuori. Il Re non può essere lasciato nudo ed il giovane Bertie (Colin Firth) non può soffrire di balbuzie perchè una certezza lo insegue, suo fratello il primogenito Edoardo VIII (Guy Pearce) sta per scegliere al di fuori degli obblighi reali ed abdicare. Da una certezza ecco scaturire un’incertezza e quest’ultima è con lui fin dalla tenera età. Chi ha, come me, avuto l’opportunità di sommare immagini su immagini in una storia oggi anche da altri visionabile con l’ultima pellicola destinata a circa dodici nomination (ricevute dall’Academy di Los Angeles), tutto questo, se veduto con occhio “strabico” può consentire una o più riflessioni. Casuale e non fatalista come sono mi consento di pensare all’oltre di ciò che vedo. Esco momentaneamente dal film ed affermo: in un momento di crisi occorre una voce.

Se non stessi parlando del film e di chi all’anagrafe ha per nomi quello di Thomas e George e per cognome Hooper, forse, più di qualcuno si metterebbe nella vana ricerca di cercare altro nome e cognome. Se la nebbiosa democrazia del nostro paese non fosse anch’essa avvolta in un nebbioso impero, forse, più di qualcuno non penserebbe che quel nebbioso impero potrebbe essere molto simile a quello inglese, almeno nelle questioni del tipo di un non eufemistico principio atmosferico. Ovviamente con i dovuti distinguo, l’accorto interlocutore-lettore si sarà accorto che è sufficiente traslare alcune figure e farle poi combaciare con una realtà a noi più vicina. È sufficiente dare nome a chi ha preferito l’amore impetuoso o, se preferite, a chi deve necessariamente abdicare. Anche nella nebbiosa Italia ci manca, va costruita la Voce che ora è del tutto assente e nemmeno sappiamo se balbetti. Ma questo è un altro problema per ora è sufficiente “mescolare le carte”.

 

Ritornando al film. Il bisogno di non essere può bastare ad essere e passa per la cancellazione del volersi imporre dapprima a se stesso e poi far sì che i folli progetti di altri non conquistino l’Europa ed il mondo intero, questo era l’intento nella fine del primo terzo del XX secolo.

Nel film diretto con maestria è l’alba di quella crisi, è una tragedia per la storia dell’umanità in attesa. Sufficiente parrebbe il volgere altrove lo sguardo e far indietreggiare i totalitarismi che avanzano. Quel che spesso non accade con o nella realtà può essere raccontato in una trama visiva dove una Voce può essere “aggiustata”.

In breve la racconto, ma non per distogliere dal gusto del vedere, per aggiustare anch’io la mia voce.

Qui, nel film e nella Storia, è un Re, o meglio un futuro Re, ancor prima, di nome Albert Frederick Arthur George Windsor nonché duca di York, quello che poi sarà con il nome di Giorgio VI d’Inghilterra, le cui figlie femmine sono tuttora Elisabetta ed Anna.

Come in tutte le storie di un regno, la corona transita e, nel film, è nella prima parte di un vecchio condottiero, di un altro Re, di Re Giorgio V (Michael Gambon), quest’ultimo è gravemente malato e preoccupato non poco.

Mescolare realtà e finzione è l’espediente dei bravi commediografi e mi fa venire in mente anche l’espediente più datato, la tragedia eschileo-sofoclea, quando questa impiegava i mezzi artistici più ingegnosi per dare, come per caso, in mano allo spettatore tutti i fili necessari alla migliore comprensione.

Gli attori principali di questa vicenda nel film sono Colin Firth, con una capacità interpretativa magistralmente spesa, che gli ha già consentito di avere assegnato il Golden Globe a Toronto e il superlativo Geoffrey Rush, due interpreti che certamente si contenderanno alla pari una di quelle nomination. Paziente e “Medico” si inseguono a vicenda in un drammatico continuo cortocircuitare dei loro intenti. Sullo sfondo due famiglie con due donne unite e dedite interamente a sorreggere i pesi di questo cortocircuito che ha per certi versi anche evidenti ripercussioni nel vivere di corte e nelle aspettative dei cittadini inglesi nonché in una Chiesa più predisposta ad inseguire gli apparati che non la sostanza degli eventi. Credo che è qui che, il regista si sia soffermato con particolare indugio per farci capire. Formidabile è l’impazienza regale e la pazienza altrettanto umana nell’accettare la propria condizione volta all’oltre, al terapeutico. Suggestiva è la figura del Signor Logue, il logopedista. Qui, in questi due personaggi, vi sono mescolate l’ironia, la sagacia e la teatralità Shakespeariana degne della migliore commedia inglese. Il regista accompagna il racconto nel suo spartito musicale e ce lo evidenzia fotograficamente e con sonora eleganza nel discorso finale fra le pause e i magistrali picchi di attese negli scorci d’ambiente. La fotografia, l’ambientazione, il taglio prospettico a volte esageratamente deformato sono l’astuzia del regista. Belli, bellissimi, gli interni e gli esterni che si avvicendano con scorci metropolitani nebbiosi e nelle raffinate scenografie di palazzo. Lo studio del Signor Lionel Logue è l’ulteriore attuarsi dell’audace regia sapientemente spoglia. Stupendo il muro di fondo, per dare risalto ai personaggi. È la scelta più informale e logica da sostituire con le stanze di Buckingham Palace.

Il regista mescola e continuamente rimescola la solennità della storia rendendola piacevolmente gradita all’attenzione dello spettatore. Capolavoro tra i capolavori la resa fonica. Ho visionato alcune clip in lingua originale, consiglio di ascoltare in lingua, se ne apprezza meglio l’approccio psicologico, i suoni sono sfumature di vera emozione. Per chi è alla ricerca di una Voce questo Re – almeno sullo schermo – risulta molto umanizzato, è quello voluto da Hooper e, perché no, anche da chi è ancora alla ricerca di una Voce. Spogliarsi dei ruoli sembrerebbe il suggerimento. Sdraiarsi e rotolarsi sul pavimento, fare gargarismi, dire parolacce, cantare e recitare filastrocche è la via per chi deve fare tabula rasa della sua impostazione regale.

Interessante in questa scelta comportamentale il rigore formale della macchina da presa, Hooper ce la dà nella fissità di chi guarda, con l’attenzione che è frontale e fissa, Hooper vuole evidenziare la presenza degli occhi di un intero regno che attende una Voce sicura, una Guida sicura, senza balbettii. Chissà se anche noi, avremo la certezza di poter osare.

Una statuetta dorata qualcuno, certamente, potrà già dire di averla già ricevuta. Non perdetevi la dodicesima di quelle statuette, in quei centoundici minuti, e, buona visione.