della ceramica

La bottega.

Ovvero l’incanto della nuova-pietra che non è “legno”, ma è anch’essa parlante.

di Francesco Pasca

 

A far parlare il figlio non sempre è il padre. Accade che sia il figlio a far parlare il padre, a cominciare dal ciocco di legno, con il fuoco, e non farlo ardere o se quell’ardere deve essere, è per il rendere o l’afferrare solo la luce. L’argilla si plasma con mano, come all’origine della creazione, e, il fuoco se non distrugge la restituisce brillante e dalle trasparenze cangianti, può prendersi anche il senso della trasparenza, invetriarsi e diventare ceramica. Girare per botteghe alla ricerca del vero artigiano, di quello scomparso, di chi non ama il frastuono mediatico, di chi preferisce un angolo di memoria e le proprie cose, è cercare l’amanuense felice e alle prese con gli inchiostri che poi sono anche i colori, la luce e la materia che viene sfaldata da essa. Esistono degli “strani” individui, i curatori degli oggetti, quelli che provengono da un loro lontano, che sono dediti alla cura preziosa del proprio DNA, che amano i suoni di famiglia e si tramandano quel suono con i Cognomi, e che, anche per i Nomi vogliono l’intervallo sonoro cadenzato dalle generazioni. Salvatore, Vito, Salvino e ancora Vito e chissà poi quanti altri di questi nomi ne succederanno. Molti trovano la loro provenienza, e, altrettanto lontana, appare la loro riconducibilità. Questo modo d’essere a volte speso denigrato, lo releghiamo ad un termine che vuol essere solo “Nostalghia”, modo di ripercorre il passato e del volersi riprendere il Tempo. Ma per alcuni non è la “Nostalgia” di derivazione dall’espatriato, dell’alienazione spirituale ricucita, è qualcosa di ancora più intimo e irripetibile. Per alcuni versi è volutamente impercorribile. Ecco che la “Nostalghia” si trasforma in dinamismo da proiettare nel “futuro” che è “presente” ed è nella qualità dell’esserlo che è già futuro. Si trascorrono spazi di vita a volte meravigliosi anche in un pomeriggio di pioggerellina sottile dove la luce del Sud fa uggioso capolino, anche quando si è nel riproposto invernale. In una giornata dei primi di maggio, da tre “curiosi” e lontani o vicini per esperienze di vissuti e sensibilità, nacque l’esigenza di far incontrare, contemporaneamente, il proprio “Nostalgico”, lo si fece incontrare con il vissuto di quelle sensibilità. Nacque così l’istinto esplorativo per una bottega artigiana di Cutrofiano. Se n’era sentito parlare. Un già “curioso” di quest’esp erienza, aveva avuto un precedente contatto e ne aveva scritto sulle pagine dell’ormai foglio letterario consacratosi “Voce-Palestra di Poetinarratori” a direzione Mauro Marino, sul Quotidiano Salentino “I l Paese Nuovo”. La curiosità destata da quell’articolo fu a firma Nello Sisinni, architetto. Quella nota destò l’attenzione per il “nascosto ai più”. Chi ora ne scrive, e, che oggi è lo ieri vissuto del 9 di maggio con Maurizio Nocera e lo stesso Sisinni, insieme ne fugò la perplessità e tutti ne pacificarono la curiosità. Ora ritorno a parlare del figlio che è anch’egli il “Guarda Stelle” come il padre e che al secolo è chiam ato Salvino de Donatis di professione ceramista in via C.Pisacane,26 a Cutrofiano di Lecce. Si sa, il “Guarda Stelle” è contagioso per gli animi genuini. Molti altri ne sono vaccinati, per quest’ultimi non vi sarà mai il rischio. Di fatto, i “Guarda Stelle” diventarono più numerosi di quattro e si ritrov arono a vagabondare, a farsi domande, a definire i limiti di quelle sorprese. L’assente era presente con l’ingenuità, che è la genuinità del Naif e del proprio fare. Era il Maestro Vito De Donatis che ci guidava alla scoperta della Nuova Pietra e del Neolitico del secolo scorso. Ma lo era anche il figlio “Medium”, Salvino, accompagnato a sua volta dal figlio Vito. La bottega per ragioni di lavoro era adorna della cosiddetta ceramica artistica tradizionale, coloratissima e predisposta a prendere posto in altre case. Fischietti, statuine e vasellame d’arredo, erano nelle solerti mani di gentilezza femminile e pronte ad assumere le decorazioni. Lo scenografico palinsesto della nostra visita interrogativa, intanto, fremeva e s’accendeva nella domanda immediata: “Dove trovare l’opera di Vito?”. Per averla già veduta su “l’Ultima” di Paese Nuovo, lì, ora s’era nella bottega dove tutto appariva, scompariva e si accumulava ordinato. Alcune di quelle meraviglie eccole in attesa di essere ancora accarezzate dal fuoco, erano ancora nel classico colore del già cotto o biscotto, erano i soldatini in attesa della grande marcia. Salvino ci spiegò che così erano state lasciate lì nel 1999 da suo padre Vito, e che voleva continuare a vederle lì, in attesa di un’improbabile ripresa, attendeva la sua mano per darle ancora vita col fuoco dei 1.000 e più gradi. Il “Guarda Stelle” proiettava il suo desiderio alla fornace stellare e lasciava luccicare il suo sguardo. Anche il nostro sguardo si uniformava a quel luccichio. Il tesoro era nascosto. Salvino ci annunciò che era sempre tentato di chiudere tutto e di buttare la chiave. Voleva congelare, sottrarre il Tesoro del Suo Faraone agli occhi del mondo, preservarlo dai tombaroli, dalle richieste di dono alle quali non si sarebbe potuto sottrarre. Il Mondo del Maestro de Donatis era in una cella “grande” quanto può essere il proprio Mondo, ma altrettanto stretta e piena di Idee alle quali si poteva accedere uno alla volta. Tutti portarono attenzione a non urtare, a non far franare o mandare in rovina la “Pietra di Sole”. Lo storico Maurizio Nocera in quello stretto cunicolo fotografava dal frammento all’avvolto, dal lavoro finito alla carta da imballo impolverata. Lì, in quei cartocci, si celavano i manufatti segreti del secolo scorso e bastava solo scartarli, scoprirli, portarli alla luce, impressionarli nei segni digitali ed al contempo non dissacrali. Tutto era e diventava via via Storia, documento importante ed emozione da condividere. Il Professore Nocera incalzava ed io stesso scavavo e cercavo di portare alla luce quanto era necessario all’indagine. In quel cunicolo di Spazio e di Tempo registravo mentalmente i movimenti e le attenzioni all’interno e all’esterno di quel sarcofago; seguivo i movimenti del figlio di Vito, di Maurizio, di Salvino e di Nello che aveva preso possesso, come suo solito, di un sgabello e di un ripiano per disegnare, per far vivere la carta con i segni di quanto si trovava lì intorno. Il disegno vedevo che si allargava alla nota scritta. La parola disegno prendeva forma e la qualità espressiva del gesto parlava la lingua dei nostri occhi. Ho veduto, reali, i tentacoli voluti da Sisinni, quelli simili al polpo della brocchetta Cretese di Gurnià (1.450 a.C.), della ceramica dipinta che si impossessava della forma e la stessa che si trasformava in cerri per possedere. Salvino in tutto questo non ci dava fretta, ci lasciava nella nostra gioia che era la sua. Credo che ci avrebbe regalato il suo Mondo se glielo avessimo chiesto, lo vedevamo felice. Per il “Guarda Stelle”, noi altri “Guarda Stelle” non eravamo gli intrusi o i dissacratori di immagini, ma gli “Arsapi”. Ritornavo a scandagliare nell’opera di Vito. Come in ogni operato c’è sempre la scala dei valori individuali che prevalgono. Di quella scala infinita che raggiunse la deità dell’Olimpo avevo scelto il mio piolo su cui fermare l’ulteriore attenzione. Ho preso, con l’accortezza del fare, della mia silenziosità, fra le mani, un pensiero di pietra ed ho pregato l’amico Maurizio di fotografarmi. Ho avuto la mia eternità sessuale, la preziosità del gesto d’amore. Ho avuto lo stesso “dominio reciproco” che si leggeva nell’atto rappresentato. Ho colto il volere ed il possedere, ho colto la capacità della totalità nel dare corso, con la simultaneità di un desiderio, all’impossibile, al possesso del cosmo. Semplici bastoncini d’argilla assemblati formavano un tutt’uno con il sogno avverato su di una panchina da Raymond Peynet ed il cui groviglio di gesti, di braccia indistinguibili erano la materia lasciata attenta ed assente. Quel sogno fra le mani ho dovuto abbandonarlo sul piolo di quella scala. Ne sono sceso, ma sono sicuro che sarà sempre lì ad attendermi anche se un giorno Salvino deciderà di buttare la chiave di quel sarcofago e togliere l’opportunità al “peccato” della distruzione. E se fosse Geppetto a regalare quel pezzo di “pietra di Sole” al Maestro Ciliegia?

 

Forse si scriverebbe un’altra storia?

I “Guarda Stelle” di oggi diverrebbero i Geppetto, i Vito di ieri? Quanti i ciocchi di legno che non sono legno andremmo a verificare che parlino, che non brucino?