Stigmate

Stigmate

Diario dell’esperienza figurativa di un Golgota

 

di Francesco Pasca

 

In un’epoca dalla messaggeria di un prodotto della stessa, col messaggio sul mio cellulare si pronunciò un’immagine scritta: ”ti aspetto questa sera alle 20 del 25 aprile presso Edicoladinotte a San Donato, largo chiesa, ritrovo a chiusura dell’esposizione STIGMATE, firmato, Lucio Conversano.
Da frequentatore di un altro luogo di messaggerie, facebook, avevo dapprima distrattamente, poi con interesse seguito quell’evento. Me ne interessavo silenziosamente per il mio stretto personale, per l’affinità di un lavoro che conducevo, per la scrittura di un Golgota.
Quell’invito quindi mi soggiogava. Sapevo che, dietro tutto questo, vi era anche la mano del mio amico Maurizio Nocera al quale avevo dato da leggere proprio quel mio manoscritto sul Golgota.
Quell’evento, pertanto, ancor più mi incuriosiva.
Ma, la sera del 25 aprile mi abbandonai alla scrittura, pensai al mio racconto e, sebbene fosse vivo l’interesse per quell’evento, me ne dimenticai, non ebbi l’imminente di quel che non andava rimosso.
In quel 25 aprile l’orario era già tardo e fui ancora una volta “svegliato” dal mio cellulare, non più muto.
Quel suono mi scosse con: «come mai non sei qui, non sei al ritrovo, a largo chiesa di San Donato? Come mai non sei a ricevere anche tu le tue stigmate?»
Fu il tempo di un ricordare ed ero già ai piedi della croce.

Fu così che la sera del 25 aprile commemoravo un’altra resistenza ed ero in San Donato di Lecce con l’autore di stigmate, Lucio Conversano. Ero lì per la conclusione di un atto, di una rinnovata crocifissione, invitato per la nuova profanazione del luogo e per una deposizione da quel Golgota.
Fui fra i non primi alla bottega dell’Edicoladinotte, più tardi ci raggiunse anche Maurizio Nocera. Nel frattempo mi toccò tastare con mano l’idea, percepire l’astrazione di un fatto. Mi trovai alla fievole luce di un respiro e foto su foto si stratificarono le immagini dello Stato patologico, della progressiva diminuzione di un peso corporeo, di ciò che s’andava a terminare nella sua lenta consunzione.
Contribuii anch’io al decadimento delle funzioni fondamentali di un gesto.
Lì sopravvennero gli eventi, si accelerò la resurrezione ancor prima della crocifissione e venne rotolata una pietra per mano di Lucio Conversano.
Rotolai anch’io quel sasso e ne scoprii nuovamente il varco lasciato al già luogo di un evento, e, di quest’ultimo, ne constatai l’avvenuto per una nuova fede.
Fu ancora una volta la croce a prendere significato dell’avvenuto in quel luogo.
L’opera assurse a sacrificio e a testimonianza scritta da un INRI. L’acrostico divenne scandire il tempo.
L’uomo così crocifisso, che lì aveva prodotto il suo grido di dolore e spalancato le sue braccia ebbe a dipingersi sui nuovi luoghi di venerazione, non più in una chiesa ma nella bottega artigiana.
In quelle immagini rivisitate assistevo alla storia, ai Committenti e agli Artisti che si disputarono e si disputavano la rappresentazione di un Golgota.
Per quell’uomo che soffriva non era la Chiesa il luogo ma L’Arte e, come per altro Luogo, era lì il suo appropriarsi, era quel simbolo che ne faceva, da sé, trasposizione e la trasfigurazione diversificava gli stili di un’epoca.
Brevemente ho percorso la Storia e l’Arte. In quel corpo ho favorevolmente accolto la rappresentazione del “pathos bizantino” di Cimabue e la straordinaria visione “umanistica” di Giotto, poi ho veduto il riprendersi la forma volumetrica su livelli ideologici differenziati e ho trovato il “contadino” di Donatello” e la “sobrietà e l’equilibrio matematico ed umano” del Brunelleschi.

Queste sono state le mie rappresentazioni e la stessa croce dei crocifissi e del suoi crocifissori. Con il Conversano ho trascorso quel momento e la vita da comune osservatore e, da già insegnante, mi sono ritrovato nelle provocazioni dei terrorismi culturali, delle più disparate immagini usate per quel simbolo così discusso e da sempre rappresentato. Ho ricordato persino la donna crocifissa, in occasione dello storico referendum sull’aborto. L’immagine è stata anche di “Donna” crocefissa con il pancione e il feto in grembo.

Di una croce, qualunque sia stato l’utilizzo, non mi sono mai scandalizzato, né ricorso al disincanto dell’incallito “conservatore” con immagini da reclamare per qualsivoglia profanazione. Le immagini si sono riprodotte sempre da Laico convinto, così come ho sempre creduto. Quella è ed stata la fede non del momento, anche quella è la fede. Con Conversano in quel momento abbiamo creduto nei simboli, soprattutto se di forte significato. Li, insieme al suo Golgota, abbiamo ritenuto potessero essere utili per declinare l’aspetto estetico e semantico in un messaggio sia visivo che grafico. Per la circostanza anch’io ho voluto essere il buon cireneo e il cattivo centurione che infierisce sul costato di un corpo. Ho riportato mentalmente le parole del mio ultimo Golgota: «L’idea di un “Vangelo” è già scritta da tempo […] la ricondurrò alla mattina dell’undici giugno 2011,[…] fra le lenzuola di lino di mia madre, di mia nonna. […] Sulle mie mani oggi sono vistose chiazze brunastre dalle differenti intensità e date dall’essere giunto ad averle identiche a quelle di un vissuto tessuto di lino.
Si è colorata di bruno anche la mia fantasia ed è così che vado a sovrapporre le mie proiezioni mentali radiative, quelle della mia disidratazione. […] predisposte all’ossidazione e il piano verticale delle mie idee è divenuto quel lino …
» Non ho trovato né provato altro in quell’immediatezza, spero di trovare il tant’altro nelle parole e farne nuova scrittura.

Lucio Conversano propone un Cristo di carta, un’Opera di materiale povero e dalla tecnologia superflua, la plastica che ci divora. È un’Opera che vive con la plastica dal colore lattiginoso, è anche la pietra pomice che scricchiola sotto i nostri piedi dove l’opaco costringe e ci stringe, si strizza e ci strizza come stracci di sudario per farci diventare diaframma, ci obbliga a guardare forzatamente per comprendere e anche (con)-prendere e (con)premere. Mi sono ritornate le parole esclamate dal mio muto cellulare: «come mai non sei qui, non sei al ritrovo, a largo chiesa di San Donato? Come mai non sei a ricevere anche tu le tue stigmate?» Con l’involucro di plastica occorre premere sulla superficie, ma anche costringerci ad allontanarci dalla verità delle immagini, oppure costringerci agli squarci, allo strappo per meglio osservare. Conversano propone la rotazione nello spazio di un corpo, persino le braccia di una croce possono essere disgiunte dal suo asse verticale, ruotare e fluttuare nell’aria, accogliere altre braccia e altre mani di braccia e non necessariamente quelle di un’appartenenza ad un solo corpo. I brandelli di carne possono svolazzare come spettrali incarnazioni di veli strappati, allontanarsi e allontanarci dalle idee che lì si ancorano e si saldano ad un corpo, che ci costringono al di fuori dello stereotipo di un simbolo millenario. Personalmente ho assistito allo sguardo di maturo fanciullo che ama “giocare” anche con la croce.