Sesta Triennale d’Arte Sacra contemporanea

 

Nel Museo Diocesano di Lecce la Sesta  Triennale d’Arte Sacra contemporanea. Dal 30 giugno al 2 settembre 2012

Immaginando il Divino…

Il mistero e la speranza secondo Igor Mitorai

di Antonietta Fulvio

Immaginare il divino. Plasmarlo in una forma che sia un volto o solo un gesto. Forse solo all’arte è concesso questo privilegio perché capace di dialogare tra mondo visibile e invisibile, tra sacro e umano.

Nella splendida lettera agli artisti Papa Giovanni Paolo II aveva delineato il delicato e complesso rapporto tra arte e fede, Chiesa e artisti nel solco di un mecenatismo che ha regalato all’umanità capolavori senza tempo. “Nessuno meglio dell’artista, geniale costruttore di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all’alba della creazione, guardò all’opera delle sue mani” scrisse con intensità assoluta il papa Beato  che vedeva riflessa nello sguardo di ogni artista le vibrazioni del mistero della creazione.

Nella «creazione artistica » l’uomo si rivela più che mai « immagine di Dio », e realizza questo compito prima di tutto plasmando la stupenda « materia » della propria umanità e poi anche esercitando un dominio creativo sull’universo che lo circonda.

Sono passati 13 anni dalla stesura di quella Lettera, ma il senso e la profondità di quel messaggio risuona se è possibile ancora più intenso, profondo. Un assunto che da diciotto anni fa muovere le fila della Triennale di Arte Sacra Contemporanea, ideata dal compianto vescovo leccese Cosmo Francesco Ruppi e il critico d’arte Toti Carpentieri. Si tratta – e lo si può scrivere senza ombra di dubbio – dell’evento pugliese più rilevante dedicato alla produzione contemporanea di arte sacra che riallacciando l’antico legame tra Chiesa e Artisti  diventa feconda occasione di confronto.  Inauguratasi lo scorso 30 giugno 2012, la Triennale d’arte sacra contemporanea riunisce nella Cappella di San Gregorio il Taumaturgo alcune straordinarie sculture del maestro polacco, già insigne cittadino onorario di Cavallino, Igor Mitorai. L’impatto visivo è strabiliante. Un tale concentrato di bellezza fa ammutolire, sgranare gli occhi, aprire il cuore.  Il misticismo della cappella barocca incontra il misticismo delle sculture  che, spiega il curatore Toti Carpentieri, diventano  una sorta di componimento sacro al quale si è voluto dare il titolo “Il mistero e la speranza  guardando alle problematiche tutte dell’uomo, ma anche a quell’unica salvezza che si identifica in Cristo, nel suo avvento, nel suo sacrificio e nella sua resurrezione”.

Otto sculture per fissare otto momenti chiave della cristianità, a partire dalla testa recisa di San Giovanni Battista, ultimo profeta e Primo Apostolo, fasciato e non bendato: solo il martirio ha chiuso le sue labbra che con i perfetti lineamenti del volto  rimandano al classicismo e a quell’eterna idea di bellezza espressa da Policleto. E belle sono le sue Donne in ghisa, in muto dialogo tra loro, tra bende e palpebre abbassate o addirittura mancanti perché parti di un frammento perduto, i loro occhi non vedono ma esprimono l’idea della femminilità. Quella femminilità che Dio scelse in Maria per generare suo Figlio. Realizzate entrambe in bronzo, le terre di fusione e la platina bluastra, volutamente lasciate in superficie, rendono le figure ancora più misteriose: misterioso è il saluto che conturba la vergine Maria che umile si sottomette alla volontà del Signore. Alle loro spalle l’Eclisse Grande III, un enorme volto completamente bendato quasi un bozzolo a rappresentare l’impenetrabilità del mistero divino ma forse anche metafora di una umanità confusa e disorientata dalla crisi e dalla paura. E poi le figure realizzate per le porte della Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, l’Angelo e Maria nella Porta dell’Annunciazione sembrano fuoriuscire  dalla superficie evocando la potenza del messaggio divino che l’arcangelo, ancora in volo, consegna alla Vergine assorta: le sue palpebre socchiuse  fanno pensare all’umiltà della Vergine, al suo consenso incondizionato di portare in grembo il Figlio di Dio che si incarna e si sacrifica per tutti gli uomini.

Nelle sale dell’Antico Seminario trovano spazio, invece, le opere dei ventidue artisti di “Exempla” incentrato quest’edizione sul tema del Buon pastore un’iconografia poco frequentata ma intima e commovente, realizzata grazie ai prestiti eccezionali e alla collaborazione di numerosi artisti.   Si snoda così un suggestivo itinerario che insiste su soluzioni va dal bronzo di Floriano Bodini che propone una visione ricca di dettagli del buon pastore, secondo l’iconografia classica, con il bronzo di Floriano Bodini, la tela di Fiorentina Giannotta, la scultura bronzea di Michele Carafa autore tra l’altro di alcune recentissime opere nel Nuovo Seminario. E’ un ritorno per Mimmo Paladino, protagonista della precedente edizione con i suoi dormienti nella Cappella di San Gregorio il Taumaturgo . Per Exempla 2012 è presente con una composizione bronzea, frutto di un rigoroso  equilibrio di forme e volumi, che cattura l’immagine del buon pastore che abbraccia ed è abbracciato dal suo gregge.

Dello scultore Emilio Greco si può ammirare in tutta la sua forza espressiva il disegno, la china  gentilmente concessa in prestito dalla Pro Civitate Christiana di Assisi, mentre direttamente da Brescia, di proprietà dell’Opera  per l’’Educazione Cristiana  Collezione “Paolo VI” perfettamente aderente al tema si può ammirare il Buon Pastore di Sandro Chia che rievoca la parabola della pecorella smarrita.  Ancora in evidenza il rapporto affettivo tra il pastore e la sua pecorella nell’opera pittorica dell’artista spagnolo Matias Quetglas e per il catanese Giovanni Zeda che con un linguaggio più vicino alle creazioni video, giocando con i forti contrasti cromatici insiste sull’universalità del messaggio cristiano.

Messaggio raccolto dallo scultore Ugo Riva che inserisce il gregge nel cappello alla bizantina del suo Cristo, chiaro riferimento a Piero della Francesca e alla sua razionalità e che invece, per la scultrice argentina Ariel Auslender diventa quasi un totem carico di simboli tra i quali la mano del pastore contenuta nella composizione in terracotta. La pittrice americana Sarai Sherman inserisce il gregge in un contesto contemporaneo una transumanza par avion mentre in primo piano l’abbraccio tra il pastore e la pecorella ritrovata è un rimando al concetto di comunione. Perfettamente in linea con l’equazione bello uguale buono è la raffigurazione che sceglie lo scultore Salvatore Spedicato, Ettore Cavelli, invece, sceglie la dimensione del sogno e della poesia mentre Ennio Calabria raffigura il suo Buon Pastore seduto, davanti ad uno schermo recinto di pecore.

Una sagoma che quasi sembra staccarsi dalla superficie pittorica è la visione cui ci rimanda l’artista belga Cristophe Demaitre con la sua particolare tecnica di sovrapposizione di immagini presenta un’opera che apre il campo alla percezione. Impalpabile è la raffigurazione di Omar Galliani che sembra concentrare nel volto la potenza del mistero divino nel suo “tutti i segni sono uno”, titolo emblematico quanto significativo.  Altrettanto significativa è la scelta di Velasco Vitali che raffigura l’ingresso trionfante di Gesù a Gerusalemme, da riferimenti biblici  parte invece Gigino Falconi con la sua Premonizione del Buon Pastore dipingendo un Cristo guida dell’umanità secondo i canoni del realismo pittorico con un effetto spiazzante nell’ombra del braccio sinistro grondante di sangue già allusione al sacrificio della croce. Ed è un volto velato di bianco marmo il Cristo scolpito da Michelangelo Galliani che sceglie la tecnica michelangiolesca del non finito adagiato sul cuscino di piombo, metaforica porta per la salvezza, cui rimanda il titolo dell’opera “Solo attraverso me”  . Per Giuseppe Afrune il volto del Buon Pastore ha i lineamenti di Papa Giovanni II, il suo sorriso, il suo sguardo profondo conoscitore di anime. Una visione portata all’estrema sintesi nella scultura di Salvatore Sava dove la figura del Pastore è materializzata nella pietra leccese ed è riconoscibile per il pastorale e la pecorella, stilizzata, sulla spalla. Sintesi che per lo scultore Armando Marrocco con una soluzione stilistica concettuale arriva ad identificare il tema nel sobrio pastorale, contraddistinto da tre cerchi colorati, oro, rosso e azzurro, quale rimando alla triplice natura del Cristo.

Il quadrato magico del Chiostro, dominato dal pozzo centrale detto della “Vera ovale” con una elaborata decorazione seicentesca firmata dallo stesso Cino che cesellò la facciata del Palazzo, è la scenografia straordinaria per le opere degli artisti del Premio Paolo VI. Un progetto che si completa con la terza sezione il Concorso Paolo VI, dedicato al Papa che nel lontano 1973 accogliendo gli artisti nella cappella Sistina in occasione della Collezione d’arte religiosa moderna dei Musei Vaticani proponeva una lettura della contemporaneità e gettava un nuovo ponte tra la Chiesa e l’arte come si legge nel saggio di Giovanni Gazzaneo che impreziosisce il catalogo con i testi di Micol Forti e Toti Carpentieri (Editrice salentina). Tra i novantatré artisti italiani e non, segnalati da direttori di importanti musei oltre che da critici e storici dell’arte, la giuria, composta da Toti Carpentieri, Mons. Fernando Filograna Vicario dell’Arcidiocesi di Lecce, Caterina Ragusa della Sovrintendenza BAP di Lecce, ha assegnato il premio all’opera “Hombre” del fotografo leccese Massimiliano Spedicato, i tre premi-acquisto per la pittura a Anna Seccia, Roberto Silvestrini Garcia e Annamaria Trevisan, quelli per la scultura a Vittorio Fava ,Vito Russo e Tarshito; tutti confluiranno nel corpus di opere della Gasc arricchendo un aspetto iconografico poco frequentato nell’arte sacra dell’ultimo secolo.