Luceri. Il senso e lo scorrere del tempo

Da quando ho imparato a camminare

mi piace correre.

Friedrich Nietzsche

IN CONTINUUM

Il senso e lo scorrere del tempo
di Toti Carpentieri

Affascinati dall’ipotesi del continuo avanzata da Georg Cantor in un ambito strettamente matematico e scientifico, e convinti da sempre del profondo legame che collega, e per certi versi unisce, la scienza all’arte da intendersi non come due culture (l’intuitività della seconda, e la struttura razionale della prima), ma come aspetti contemporanei del processo della conoscenza, ci piace impostare su tale modalità di lettura questo nuovo incontro con la creatività di Antonio Luceri. Rammentando come siano passati poco meno di due anni dal nostro scritto elaborato in occasione di quei tre momenti espositivi, svoltisi tra la fine del duemiladieci e i primi mesi del duemilaundici, costruiti tutti sulla globalità della sua opera dalle amiche de “Il Raggio Verde” guardando alla figura, al gesto, al segno e al colore, come si leggeva nel titolo stesso che si volle dare a quelle mostre, ma non dimenticando, altresì, la sua presenza tra i protagonisti della sezione salentina del Padiglione Italia della 54. Biennale Internazionale d’Arte di Venezia curato da Vittorio Sgarbi. E partendo, altresì, dalla constatazione e dalla conferma dell’identità del luogo nel quale le opere di Luceri si sono proposte in tutti, o quasi, quegli incontri cui ci riferiamo, l’ex Convento dei Teatini  “palcoscenico” reale di tante storie non solo d’arte, ed in quest’occasione luogo dello spaziotempo della pittura e dei suoi punti. Ovvero di quegli eventi, chiamati opere.

Appare chiaro, allora, come l’attenzione odierna debba muoversi necessariamente da quel “Perché no!” del duemilanove, da leggersi quale procedimento costruttivo di una nuova impaginazione pittorica strutturata nel rapporto tra cromìe e toni, per poi spostarsi subito dopo in continuum, nel rispetto della propedeuticità che loro compete, alle presenze di “Araldica” e  di “Appunti”, nelle quali la texture del dipinto si arricchisce di altri medium e, nello stesso tempo, appare sempre più marcata l’intrusione in quel territorio di confine che è la pittura/scrittura. Riconoscendo alla sequenza delle opere quell’influenzarsi a vicenda, tipico anche di tanta parte della scienza.

E nel partire dal punto d’arrivo, come non ricordare le parole dell’artista, con le quali avevamo chiuso, o quasi, il nostro testo del duemiladieci, che affermavano: “Dipingere vuol dire essere liberi nei nostri gesti e nelle nostre emozioni”, preannunciando quasi le opere di questi ultimi mesi da intendersi quali presa di coscienza delle percezioni, oltre che rappresentazione della memoria, delle idee, dei concetti, dei sentimenti, degli impulsi, dei desideri. Ovvero delle forme varie e variabili della conoscenza e dell’intuizione, che in questo modo divengono fatto e modalità estetica, e quindi risoluzione espressiva tra l’iconico e l’aniconico, oltre che forma oggettiva dell’insight e soggettivazione della stessa.

“Dipingo i giorni, giorni della mia memoria per continuare a vivere”, scrive oggi Luceri in una sua opera, individuando una modalità che diviene subito habitus operandi nel costruire questi dipinti, che, nell’apparire e nell’essere pagine e frammenti di vita, ci offrono una molteplicità di centri d’attenzione e di riflessione, tra inserimenti, scritte, segnali direzionali, lettere, evidenti collages ed altrettanto leggibili lacerazioni, sequenze calligrafiche al limite della comprensione, figure, dripping e immagini. Sollecitando in noi, una sorta di riscoperta della pittura e delle sue forme, per il tramite di un’attenzione all’attualità, alla moda e al sociale, fatta di riferimenti che vanno dal manifesto della felliniana “La Strada”, alla riconoscibilità di James Dean e a quella di Michael Jackson, all’immagine del mitico TEX di Bonelli e Galleppini, alle foto ingiallite di una scolaresca che potrebbe essere anche la nostra, ad una croce che non ha ancora perduto gli uncini grondanti sangue, ai frammenti di  notizie, di sport, di arte, e di sacralità perfino. Immagini talvolta ripetute e spesso riprese, non fosse altro che per la costruzione e l’esistenza di una sorta di regesto/campionario del tutto privato, al quale il pittore attinge, nella concretezza di quel che resta della memoria sublimata dal tempo e cancellata dalle nostre scelte e dagli eventi.

Ripassando dai riferimenti al mondo della moda della danza e della musica alla decapitazione dei termini linguistici (dov’è finita la t che precede oujours?), a Mozart, al cinema e a Venezia, all’autoritratto costruito tra una A ed una L con una foto dilavata e quasi nascosta del pittore, al raccontare e al raccontarsi “ora per ora”, alla riproposizione del “Moderato” –così com’è- della Biennale veneziana, all’attualità di Orwell, alla raffigurazione del senso del dialogo critico di “Io c’ero” in una sorta di ping pong delle idee che vede i volti di Vittorio Sgarbi e di chi scrive ai due vertici di base di un ipotetico ed immaginario triangolo il cui terzo vertice altro non è che lo stesso pittore, alla ritualità, alle donne sconosciute conosciute e segrete, alla classicità fascinosa di Igor Mitoraj ritrovato nell’esplosione barocca.

E quindi, in piena fedeltà al continuo, lasciarsi travolgere nuovamente dal colore, dal segno, nella dilatazione del concetto di spaziotempo fino alla scoperta e alla riproposizione  di una superficie/parete che ci appare quale sorprendente rivelazione e sviluppo del momento creativo, avendo negli occhi le parole gridate dal ranger Willer: “La mia avventura continua, ancora più grande”.

E l’immagine?

Missing, nel rincorrersi di strappi studiati che costruiscono superfici reali su cui costruire una storia tutta nuova.

 

Approfondimenti

www.antonioluceri.it

Affaritaliani.it