4 Donne e la Storia di Enza Piccolo

 

Luca Tenneriello incontrerà l’autrice Enza Piccolo alla libreria “Elsa Morante” di Ostia martedì 4 marzo 2014

La Storia scritta dal sentimento

di Luca Tenneriello

Spesso siamo abituati a pensare i personaggi storici come figure aride e monolitiche, tasselli apatici di un mosaico deterministico; li inquadriamo solo come statisti, condottieri o intellettuali di spicco che detengono le redini della storia e generano meccanicisticamente l’accadere degli eventi. Tuttavia, ci dimentichiamo che anche loro, dietro gli abiti mediatici del “famoso”, sono uomini… sono donne. Con le gioie, le attese e i drammi di tutti.

Con 4 Donne e la Storia la scrittrice tranese Enza Piccolo aiuta il lettore a compiere questo passo, a immergerlo nel mondo di quattro donne molto note, diverse per periodo storico, carattere e ambiente sociale, ma profondamente accomunate da alcuni aspetti portanti. Attraverso quattro lunghe lettere intense la penna di Enza Piccolo non solo consente l’entrata nel contesto storico di queste quattro “signore”, ma lascia vivere i personaggi nei loro sentimenti.

 

Soffrono, gioiscono, attendono, sperano; sono donne che, in una parola, vivono. Non sono soltanto principesse o intellettuali famose: sono donne. E sono donne che hanno fatto la differenza; sono donne non incasellabili in un paradigma filosofico, in una scuola di pensiero o in una corrente culturale, ma espressioni di un’eterodossia che con difficoltà è riuscita a dire la propria. Centro di gravitazione è l’amore, un amore dalle tante facce: l’amore romantico di Carlotta d’Asburgo, l’amore di sé di Lou Andreas-Salomè, l’amore per gli altri di Simone Weil e l’amore per la filosofia di Hannah Arendt.

L’opera è strutturata in due parti: nella prima si dà ampia articolazione alle quattro lettere, invenzioni letterarie dell’autrice; nella seconda si ricostruisce una cronaca dettagliata degli eventi storici dal colonialismo alla globalizzazione, fino a un «presente poco rassicurante per la minaccia incombente di una tirannide planetaria» (F. Brunetti, Prefazione, p. 10).

 

«Mio adorato Massimiliano, il mio spirito è infermo, l’onda dell’angoscia mi toglie il fiato man mano che si avvicina al cuore, poi di colpo si allontana portandosi dietro l’ombra della morte […] e il dolore non cessa, resta conficcato nel petto, secco e preciso […]. Nel castello, ahimé, circola la voce che sei stato ucciso» (p. 17). Dalle parole iniziali della prima lettera si evince il primo tema portante che attraverserà tutte e quattro le epistole: l’infermità dello spirito. È l’angoscia di Carlotta per la perdita dell’amato marito Massimiliano d’Asburgo, fucilato nel 1867 durante la rivoluzione messicana, unita al dramma della malattia mentale che la sta consumando; è il disincanto di Lou Salomé che – scrivendo al «Gent.mo Dott. Freud» – delusa dalla caduta di ogni certezza metafisica e dal tormentato rapporto con alcuni uomini, sceglie di rifugiarsi nell’amore di se stessa, unico in grado di darle «pienezza del mio essere» (p. 52). Un “essere”, nel senso più ampio del termine, che non è più l’incanto massimalista e ottimista dell’idealismo romantico, ma il disincanto della «caducità e della mortalità» (p- 55); e una realtà caduca e debole la troviamo anche nella lettera appassionata che Simone Weil – per mano di Enza Piccolo – indirizza ai suoi «carissimi genitori»: «Tutto divenne vano, labile, caduco. […] Non ho tenuto in alcun conto quelli che si riscaldano il cuore con delle vane speranze. Sin dall’adolescenza ho preso confidenza con la sofferenza leggendo i grandi autori classici» (p. 67). Lei, ebrea per nascita ma cristiana nel cuore, che durante la Seconda Guerra mondiale è costretta a scappare prima a Londra e poi in America, sceglie di essere spiritualmente vicina a tutti i sofferenti e a tutte le vittime di quella immane tragedia.

Un taglio esistenzialista, quello di 4 Donne e la Storia, incentrato sul senso di finitudine umana, in cui spicca indubbiamente la figura di Martin Heidegger, il «professore di Marburg», che aveva rapito il cuore e la mente di Hannah Arendt, quarta e ultima protagonista di questa affascinante «pièce teatrale». Per Heidegger l’angoscia «deriva dal ripiegamento interiore che rivela la presenza del nulla, della morte che accompagna ogni momento dell’esistenza. L’accettazione della propria finitezza si traduce in un sì alla morte, che fa parte della condizione umana» (p. 109). Ma Hannah, per quanto sedotta dal «professor Martin», riesce a distaccarsene, col cuore e con l’intelletto, e nella lettera per sua madre ribalta le carte in tavola: «al pessimismo dell’impotenza preferisco l’ottimismo della volontà» (p. 87); e riguardo a Heidegger afferma: «lui viveva alla presenza della morte, io no» (p. 99). Con il suo amore per la filosofia Hannah compie un salto sostanziale dal piano del sensibile – fatto dagli amori umani, dagli uomini che sono entrati nella sua vita – al piano dell’intellegibile, al piano del pensiero, secondo tema portante dell’opera: se le vicissitudini della realtà possono turbare il piano del sensibile – dolori, sofferenze, delusioni passionali, morte – nulla può scalfire il sacrario individuale del pensiero, su cui ogni uomo – e ogni donna – regna sovrano. Infatti «il pensiero serve ad arginare l’angoscia del presente […], la coscienza trasforma la vita biologica in una vita pensata»; con la consapevolezza che «il pensiero non risolve gli enigmi del mondo, ma è l’unica attività che conferisca dignità all’esistenza» (pp. 99, 100, 103).

In fondo, il regno del pensiero è stato il luogo di asilo politico – e morale – anche per le altre nostre protagoniste: si può dire che Carlotta, consumata dal dolore della morte e dalla sofferenza psichica, si sia rifugiata nel «cantuccio della sua coscienza» e, di fronte a uno specchio, eterna metafora del guardarsi dentro, abbia dato libero corso al suo delirio e ai suoi commossi ricordi, in un flusso di coscienza appassionato e drammaticamente travagliato.

L’intelletto è l’ultima spiaggia anche per Simone Weil, malata e malnutrita, che ha preferito al cibo materiale – del quale assumeva porzioni modiche in segno di vicinanza alle vittime della guerra – il cibo per lo spirito e per la mente: l’amore del prossimo e la lettura dei classici: «mi immergevo nella lettura dei greci. Spesso saltavo il pranzo. Era sufficiente una fetta di pane inzuppato nel caffelatte. Ogni corpo ha bisogno di cibo. A vent’anni il mio cibo quotidiano era la lettura degli stoici, superbi nel dominare le passioni selvagge per assumere un atteggiamento imperturbabile in mezzo alla tempesta della vita» (p. 71).

Ed è nell’intelletto, nel suo intelletto, che anche Lou Salomè troverà consolazione e pienezza di essere; e nell’armonia della propria natura Lou porrà il quid, proprio della donna, che fa di essa il tempio della vita: «il lavoro intellettuale è un’azione femminile, perché le donne hanno la forza di raggiungere méte sublimi.[…] Il bambino si annida nel corpo femminile, e germoglia alla vita dopo essere stato nutrito dalla terra-madre. La donna dunque, contiene in sé armonia e completezza, che l’uomo comune non può sperimentare. […] La donna, invece, è l’albero che fiorisce, matura e dà i frutti» (pp. 52-53).

In 4 Donne è la Storia Enza Piccolo tesse una densa rapsodia tra quattro protagoniste della ribalta storica, facendo vivere i loro sentimenti, riconducendoli – a me pare – alla sfera dell’intellegibile. Attraverso una scrittura appassionata, dinamica e mai piatta, l’autrice conduce il lettore al cuore stesso delle protagoniste; lo stile, pressoché differente in ogni lettera, rispecchia con coerenza le diversità di carattere e ambiente sociale dei personaggi: il romanticismo di Carlotta, l’egocentrismo di Lou, l’altruismo di Simone e la filo-sofia di Hannah.

E nel finale dell’opera, dopo una descrizione storica dal colonialismo alla globalizzazione, passando naturalmente per i regimi totalitari del Novecento, Enza Piccolo conduce un’analisi critica dei rapporti di potere dell’odierna società globalizzata, dove la lotta per l’egemonia politica ed economica non cessa di lacerare gli equilibri del pianeta. «Dare inizio ad una nuova narrazione del mondo significa impedire l’assalto delle risorse del pianeta e provvedere alle necessità di tutti gli abitanti della Terra. Se vogliamo che le cose cambino realmente dobbiamo rifiutare la logica della guerra […], quella che procura la morte dei civili in Africa, quella che le multinazionali ingaggiano contro chi si ammala di Aids, o quella che viene combattuta contro le fasce sociali più deboli anche in Occidente» (p. 167). Come asseriva Nietzsche, la storia è un «eterno ritorno»: tutto si ripete, gli accadimenti e le tragedie storiche ritornano sotto altri nomi e altre forme: nuovi dispotismi si affacciano sotto mentite spoglie, logiche del potere che sotto la bandiera della libertà nascondono il germe della tirannide.

Aveva ragione Benjamin Constant, teorico liberale di inizio Ottocento: la libertà è al tempo stesso il pretesto… e la vittima.