Assia Djebar: ritorno a Cesarea

Per “Filo di Voci”, la rubrica curata da Ada Donno pubblichiamo la traduzione del testo di Aicha Bouabaci dedicato alla scrittrice algerina Assia Djebar, membro de l’Académie française, recentemente scomparsa.

Assia Djebar: ritorno a Cesarea

di Aïcha Bouabaci

 

Una grande penna si è eclissata dal mondo della letteratura e dell’arte; una grande figura ci ha lasciati, venerdì 6 febbraio scorso a Parigi: una algerina di nome Assia Djebar.

Il suo vero nome Fatma-Zohra Imalayène, nata il 30 giugno 1936 a Cherchell – città costiera a 86 km da Algeri, la grande Cesarea, di cui sono originari dei berberi famosi come il re Giuba II  e, più vicino a noi, degli studiosi , teologi, medici, veterani della causa algerina.

Era figlia di un insegnante, Tahar Imalayène impegnato ben presto nella lotta contro la colonizzazione francese nel partito di Ferhat Abbas, l’UDMA – l’Unione democratica del Manifesto algerino – e il cui figlio Samir, che si era arruolato nelle fila dell’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale), era stato arrestato e torturato dall’esercito francese.

 

 

Assia, pioniera perenne …

Grazie alla lungimiranza del padre, aveva seguito un percorso scolastico esemplare sia in Algeria – nei migliori licei frequentati dai figli dei coloni –  che in Francia: prima il liceo Fenelon e Khâgne, nel 1954 e poi (una novità assoluta per un’algerina) la Scuola normale superiore di Sèvres nel 1955, da cui fu espulsa per giusta causa! Aveva preferito a quegli studi d’élite la lotta al fianco degli altri studenti algerini musulmani, contro la colonizzazione del paese da parte della Francia.

Due anni dopo, nel 1957, pubblica il suo primo romanzo La sete – per la somiglianza delle situazioni, il suo nome è stato associato a quello di Françoise Sagan – per le  edizioni Julliard. Esso segnava la sua vera nascita, come ha sottolineato il 22 giugno 2005, al momento del suo ingresso nell’Accademia di Francia, Pierre-Jean Rémy,  in risposta al suo discorso di accettazione: grazie a questo nome mutuato che non l’abbandonerà più, come non smetterà più di scrivere! [1]  

Assia Djebar non ha mai smesso, attraverso tutte le sue opere, poesie, romanzi, saggi, opere teatrali, sceneggiature per il grande o piccolo schermo, di essere la messaggera delle “voci sepolte”, quelle delle donne, violentate dal sistema coloniale e dal patriarcato; voci silenziose, nel suo paese e altrove. Da Le Donne di Algeri nel loro appartamento fino a Donne di Medina ,  da Algeri a Parigi e nei paesi d’Arabia …

L’ho sempre associata, nei seminari che ho tenuto in Germania, allo scrittore-regista senegalese Sembene Ousmane, autore fra l’altro dell’indimenticabile “Il mandato” che aveva portato sullo schermo.

Anche lei sarebbe stata una grande cineasta se non fosse stato per gli ostacoli che aveva incontrato in Algeria; si pensi, in particolare, ai suoi film preziosi: il lungometraggio  La Nouba delle donne del Monte Chenoua, realizzato per la televisione algerina nel 1977, dopo tre mesi di inchieste  effettuate tra le donne della sua regione, che ha conseguito nel 1979 il premio della critica internazionale alla Biennale di Venezia [2] . Questo primo film è stato seguito dal film documentario La Zerda o il canto dell’oblio (1977), premiato al Festival di Berlino e studiato, oggi, nella maggior parte delle università americane. Film della memoria. Donne di memoria, per la Memoria collettiva [3] !

Aveva anche lavorato all’adattamento cinematografico del romanzo autobiografico di Fadhma Ait Mansour Amrouche – la madre di Taos e Jean Amrouche –  Storia della mia vita, progetto collocato nel quadro dell’Anno dell’Algeria in Francia, ma che si era alla fine arenato, poiché i funzionari algerini si erano rimangiata la parola, quando il lavoro di Assia era già molto avanti!

Le competenze di Assia e la forza della sua creatività non si fermano qui! Aveva creato un dramma musicale in 5 atti e 21 quadri (estate 2000), a Roma, “Figlie di Ismaele, nel vento e la tempesta, tradotto da Maria Nadotti, ed interpretato dalla troupe di attori e attrici del Teatro di Roma. Assia ha anche scritto un dramma musicale in 3 atti, su richiesta del Teatro di Rotterdam, nei Paesi Bassi, “Aicha e le donne di Medina.”

 

L’evoluzione della sua ispirazione, della sua tematica e della sua scrittura

 

Dopo un periodo di creazione intimista, dal suo primo romanzo La sete, passando per  Le impazienti, I bambini del Nuovo Mondo e le allodole ingenue, Assia Djebar ora iniziava un nuovo tipo di creazione in cui si combinavano  elementi autobiografici e storia collettiva.

È ciò che troviamo in “Le Donne di Algeri nel loro appartamento“, che reca in copertina il famoso dipinto omonimo di Eugène Delacroix. Ecco cosa ho scritto sulla rivista letteraria Anamnésis, No. 0 (aprile-maggio-giugno 2014) [4] :

“A questa comunione dei due pittori – Delacroix e Picasso-  si è aggiunto il lavoro di scrittura intrapreso dalla nostra grande scrittrice e cineasta Assia Djebar, per  avviare un incontro tra pittura e scrittura e denunciare la reclusione e il silenzio di queste donne. Infatti, nel 1978, si era ispirata alle opere di Delacroix e di Picasso –  il quale da parte sua ha un approccio diverso: egli dipinge, esplora “la realtà invisibile, profonda ed essenziale” – per scrivere la sua raccolta di racconti intitolata anche “Le Donne di Algeri nel loro appartamento” – titolo che lei ha dato al racconto più lungo – per raccontare la storia delle donne di Algeri, prima, durante, e per tutta la durata della guerra di liberazione. Il suo obiettivo: far uscire quelle donne dal loro isolamento e dal silenzio, il silenzio che la pittura di Delacroix non rivela. Queste “bocche cucite” dell’Algeria e del mondo arabo hanno trovato in lei una forte sostenitrice che non ha esitato a risalire il corso della storia, rompere il confinamento e rendere la parola alle donne, e con ciò ripristinando la verità …”.

Donne di Algeri nel loro appartamento“, sarà seguito da “L’amour, la Fantasia“, “Ombra Sultana” e “Lontano da Medina” (che fa rivivere, con l’aiuto della fiction, le donne-faro all’avvento dell’Islam).

Come si vedrà, l’Algeria e l’Islam sono la sua fonte d’ispirazione e di riflessione.

 

La scrittura di Assia di fronte al violento, inumano “decennio nero” dell’ Algeria

 

Durante quel periodo, è tornata  in Algeria una sola volta, alla morte del padre.

Assia è scossa come tutti gli algerini dall’assassinio di migliaia di algerini, tra i quali  suoi amici, parenti, donne, vittime anonime o intellettuali e studiosi di alto livello, scrittori e artisti: il drammaturgo Abdelkader Alloula, suo ex cognato, figura tra le vittime che avrebbero dovuto normalmente prefigurare il futuro illuminato dell’Algeria.

I suoi romanzi si concatenano: “Vasta è la mia prigione [5] ” , “Il bianco dell’Algeria “,  “Oran, lingua morta“, “Le notti di Strasburgo“. Era il momento delle azioni condotte dal Parlamento degli Scrittori, fondato e con sede a Strasburgo, molto impegnato nella tutela e l’accoglienza di scrittori minacciati, dopo la fatwa di morte contro Salman Rushdie, insieme con l’azione svolta dal CISIA (Comitato per la salvaguardia degli intellettuali algerini), istituito su iniziativa del compianto Pierre Bourdieu.  E infine il suo ultimo libro di quel periodo, il saggio “Le voci che mi assediano”.

 

Ritorni …

Poi, quelli che sono stati percepiti come i migliori testi autobiografici di Assia:  gli ultimi  tre romanzi, “La donna senza sepoltura” –  che  riguarda la sua amica d’infanzia Zoulikha Oudaï, combattente del FLN, di cui non si è più trovata traccia – “La scomparsa della lingua francese” e “In nessun posto  nella  casa di mio padre.”

 

Nell’insieme, un lavoro denso, diversificato, autentico, ben temperato, che si annoda e si snoda, dove si urla e si scrive tutto ciò che riguarda l’animo umano, prima, durante e dopo, dove troviamo l’omaggio alla resistenza, l’emancipazione della donna, la ricerca di identità attraverso una costruzione di memoria lungamente ponderata, intelligente, sensibile, aiutata dalla sua formazione di storica. Assia ha avuto l’intuizione felice, mescolando nel suo lavoro narrativa, storie vere e pezzi della sua stessa storia, in uno stile apprezzato per la finezza ed eleganza e la qualità della narrazione.

Un altro elemento che rivela la sua natura peculiare, tanto è accattivante e convincente: ella ha esplorato il suo stesso percorso di scrittura per la sua tesi di dottorato sostenuta a Montpellier nel 1999: “Il romanzo magrebino francofono, tra le lingue e le culture: 40 anni di perorso: Assia Djebar 1957-1997 “!

 

 

 

Passaggi…

Io l’ho conosciuta nel 1990 ad Algeri, e poi dal 1994 l’ho incrociata regolarmente ogni ottobre, in quella immensa città che è la Fiera Internazionale del Libro di Francoforte, dove era regolarmente invitata. Ci incrociavamo: “Sei sempre lì? – mi domandava (sapeva della mia fragile situazione di esiliata involontaria). Ci scambiavamo  qualche parola prima che fosse chiamata ad intervenire. In una di queste occasioni, nell’ottobre del 2000, io avevo avuto il privilegio di essere invitata alla cerimonia di premiazione dei librai; ero lì con alcune personalità algerine e con la mia amica Fatima Mernissi: ero colpita  dalla presenza della famosa sociologa marocchina, venuta a testimoniare ad Assia  la sua stima e la sua considerazione da consorella.

Mentre lei usciva precipitosamente dalla grande sala della Paulskirche, con un importante seguito, noi dovemmo correre dietro il corteo, per abbracciarla, congratularci con lei, e nel mio caso personale, per dirle il mio orgoglio. Il fatto è che tutta quella gente doveva guadagnare il posto della Fiera dove doveva proseguire il grande evento. Assia Djebar era conosciuta e apprezzata in Germania: aveva già ricevuto il premio “Libératurpreis”, assegnato ogni anno a margine delle attività della Fiera del Libro, nel 1989, per il suo libro “Ombra sultana“.

Ricordo ancora, nel 2004, quando era stato scelto come ospite d’onore il Mondo arabo, i fremiti negli ampi corridoi dello stand internazionale in cui si tenevano i grandi incontri con ospiti di tutti i paesi: il momento cruciale dell’annuncio del premio Nobel per la letteratura era imminente e si sussurrava tra la più grande eccitazione: “Sarà tra Assia Djebar ed Elfriede  Jelinek”.  Fu la romanziera austriaca, infine, ad essere selezionata, con grande delusione dei molti ammiratori della scrittrice  algerina, proposta regolarmente per quel premio prestigioso.

 

Che palmarès edificante, il suo!

 

Le consacrazionireclamano un’ammirazione senza riserve: sottolineano la diversità della sua opera e la sua universalità, il rispetto e l’ammirazione che ella ha suscitato e il riconoscimento espresso per la sua vita in tutto il mondo, in particolare in Italia, Germania, Belgio, Francia, Stati Uniti …

Lo statuto d’immortale: Assia Djebar era stata eletta il 16 Giugno 2005 al quinto seggio dell’Accademia di Francia, che era stato di Georges Vedel [6]. Prima donna araba, prima donna maghrebina, dopo solo tre altre donne occidentali. Per sottolineare e segnalare il suo attaccamento alla culla dei suoi antenati, aveva voluto entrare in questa istituzione eminentemente francese accompagnata da una spada algerina risalente al XIX secolo, durante la resistenza guidata da Emir Abdelkader e prodotta nella fonderia  di quest’ultimo (informazione rivelata dallo scrittore Kamel Bouchama) [7]. Simbolo chiaramente eloquente!

Aveva conquistato il tempio dell’immortalità con la sua “scrittura francese”, una lingua che per lei poggiava sulle sue due lingue madri, il berbero e l’arabo, e che  ha descritto con arte, con sensibilità e sincerità!  «Così, direi, si ravviva il mio “desiderio ardente di lingua “, una lingua in movimento, una lingua ritmata da me per dirmi, o per dire che non sapevo dirmi, se non  nella ferita ahimè, … se non nello spiraglio fra due, no, fra tre lingue e in questo triangolo irregolare, su livelli di intensità o precisione differenti, trovare il mio centro di equilibrio o di campo dove poggiare la mia scrittura, stabilizzarla o rischiare al contrario il suo volo. […] La lingua francese, divenuta la mia, almeno nella forma scritta, il francese dunque è luogo di scavo del mio lavoro, spazio della mia meditazione o del mio sogno, approdo della mia utopia forse, io direi anche: ritmo del mio respiro, di giorno in giorno. »

Anche nella conversazione con la compianta Josie Fanon (vedi la nota a pagina 2) si trovano chiarimenti dati da Assia Djebar sull’esistenza e il ruolo della lingua: « […] Mi è stato chiaro allora che c’è una lingua per esprimere i propri pensieri e un’altra per esprimere le emozioni. La lingua francese mi permette di esprimere i miei pensieri, mentre il berbero e arabo sono lo spazio delle emozioni e delle sensazioni ».

È evidente: Assia Djebar era una donna vera, in ascolto della sua profonda sensibilità verso il mondo e verso se stessa, in un mondo e un tempo divenuti stranamente tiranni. E’ per questo che il suo ultimo romanzo pubblicato, “In nessun posto in casa di mio padre” mi ha particolarmente commossa! Ho trovato in questo libro, come nelle prime righe di Assia Djebar, il padre: in primo luogo l’insegnante di arabo che accompagnava la figlia alla scuola francese, ignorando le tradizioni locali. E poi questo padre dalla reazione tanto temuta dalla ragazza che era diventata Assia, collegiale in un grande liceo di Algeri nel 1953, dal momento che la sua collera virile era esplosa per via delle sue gambe di ragazzina denudate! E “il fidanzato”, che veniva ogni giorno e sostava sul marciapiede di fronte alla sua casa, per tutto il tempo della sua convalescenza…

Avevo sentito alla radio francese, all’epoca, che il suicidio di una giovane americana l’aveva fatta ritornare, in un momento di intensa emozione, indietro negli anni, al suo paese natale; ed aveva scritto quel racconto intimista che raccontava il tentativo di suicidio, “questo atto gratuito”, nell’ottobre 1953, quando aveva 17 anni. Solo un anno prima dello scoppio della Rivoluzione. In quel libro  racconta di “quei secondi e quei minuti di buco che s’apriva… ed io oggi, di fronte a quel  vuoto, quel  falso dramma.”

 

La morte, questo vuoto universale, immenso ed eterno!

Il suo corpo è arrivato ad Algeri mercoledì 12 febbraio; una cerimonia si è svolta presso l’aeroporto, poi la sua salma è stata esposta nel Palazzo della Cultura. Il suo funerale si è svolto il venerdì al cimitero di Cherchell dove aveva chiesto di riposare accanto al padre.

Era lo stesso desiderio ultimo espresso dall’attore e regista francese Roger Hanin (il suo vero nome era Levy, mentre Hannin era il cognome della madre.

Nel momento in cui gli spiriti s’infiammavano a Parigi, in seguito all’attentato contro la rivista satirica Charlie Hebdo, dove tutti rivendicavano il nome di Charlie, dove   l’Islam veniva stigmatizzato ancora una volta, perfino attraverso ragazzi convocati nei commissariati di polizia, in quello stesso momento Roger Hanin, figlio libero di Bab el Oued, ad Algeri, veniva sepolto accanto al padre nel cimitero ebraico di Bologhine, già Sant’Eugenio.

Quando a Parigi il primo ministro israeliano ha invitato gli ebrei di Francia a ritornare in terra d’Israele, [8] Roger Hanin, ebreo francese, aveva scelto silenziosamente, sovranamente di riposare nella terra dei suoi antenati, terra di musulmani, suoi fratelli, suoi amici, suoi ammiratori … Alla vigilia di un venerdì, giorno consacrato nell’Islam. Un gesto, un evento ignorato dai media francesi, mentre in Algeria delle donne avevano lanciato il loro grido alla fine del funerale, come per Assia Djebar, perché in questo bel paese che è pur sempre l’Algeria, il sole vieta piangere!

Come nelle bellissime e drammatiche storie d’amore, un altra scomparsa è stata annunciata pochi giorni dopo: quella, il 17 febbraio mentre a Berlino, sua residenza di elezione, di Malek Alloula, poeta e scrittore, fratello del grande drammaturgo Abdelkader Alloula, assassinato nel 1994, ed ex-marito di Assia Djebar. La morte di questa grande signora dalla missione e dalle realizzazioni molteplici poteva davvero semplicemente andarsene?

Oggi spetta all’Algeria, che ella ha rappresentato in tutto il mondo con tanta eleganza nel suo sapere diversificato, e in 23 lingue, di farla conoscere al suo popolo nella lingua che era, con il berbero, la sua lingua madre: uno solo dei suoi libri, “In nessun posto in casa di mio padre,” è stato tradotto in arabo dalle edizioni Sedia ad Algeri nel 2014.

Non c’è dubbio che sarà un’impresa estremamente interessante per il traduttore, tanto la scrittura di Assia Djebar reca il sigillo della poesia, delle metafore, dietro i suoni orali, della lingua del suo paese d’origine.

È un’urgenza, come riconosciuto ovunque in Algeria, installare la sua voce decisiva, portatrice di simboli, di parola feconda, di giustizia e libertà, nelle scuole e nelle università affinché resti intatta ed immortale.

Quanto alle donne, quelle d’Algeria e altrove che lei ha fatto uscire dall’ombra, possono dirle grazie attraverso le parole di un personaggio femminile del romanzo “Vasta  è la prigione” (1995, Albin Michel): « guardandoti, non lasciandoti, tutti noi, ti mostreremo la nostra solidarietà. Grazie a te, non siamo condannati. “

E tra i due significati del tuo nome, Assia Djebar, tra “consolazione” e “intransigenza”             (Pierre-Jean Rémy nel suo discorso di accettazione) noi, in Algeria, non ti dimenticheremo …  Non ci consoleremo della tua scomparsa e saremo intransigenti verso la mediocrità, per evitare il peggio!

 

23 Febbraio 2015

 

(trad. dal francese di Ada Donno)



[1] 15 romanzi tra il 1957 e il 2007, cioè in 50 anni, da La sete a In nessun posto nella casa di mio padre, senza contare le pièces teatrali e d’opera, lavori accademici.

[2] «Da quando ho realizzato il film La Nouba, il mio modo di scrivere è cambiato, ho imparato ad ascoltare le donne algerine…” ha dichiarato Assia (conversazione con Josie Fanon, in Domani l’Africa, 1977. Riportato da Ahmed Bedjaoui. Quotidiano Liberté, martedi 15 febbraio 2015. Cultura, p.15)

[3] E’ il pretesto per segnalare il film di Kamal Dahane “Assia Djebar, tra ombra e sole”.

[4] “Cinquantaduesimo anniversario dell’indipendenza algerina: sguardi dell’Oltremare francese”. In Anamnésis, fondatore Jean Benoît Desnel, direzione letteraria di Suzanne Dracius.

[5] Nel 1955, in Francia, Françoise Longeard, assistente di Nicolas Derieux, mise in scena “la donna cosmonauta”, un montaggio di testi ispirato a “Vasta è la mia prigione”, dominato dai temi dell’esilio della sofferenza, attraverso testimonianze del passato e del presente.

[6] Prima d’accettare questa proposta di candidatura, Assia Djebar aveva tenuto a “riflettere effettivamente in relazione all’Algeria e agli anni neri, al decennio nero del 1990, in cui tanti miei amici francofoni hanno pagato con la vita”. 

[7] Quotidiano Le soir d’ Algérie. Martedì 17 febbraio 2015, p. 6

[8]

 


Testo in lingua originale

 

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Assia Djebar : le retour à Césarée

Une  grande plume s’est éclipsée du monde de la littérature et de l’art ; une  grande figure nous a quittés, le vendredi 6 février dernier à Paris : une Algérienne nommée  Assia Djebar.

De son vrai nom Fatma-Zohra Imalayène, née le 30 juin 1936, à Cherchell – ville côtière à 86           km d’Alger-, la grande Caesarea dont sont originaires de célèbres Berbères comme le roi Juba II,  et plus près de nous des savants, des théologiens, des médecins, des combattants de la cause algérienne.

Elle était la fille d’un instituteur, Tahar Imalayène engagé tôt dans le combat contre la colonisation française, dans le parti de Ferhat Abbas, l’UDMA – l’Union démocratique du Manifeste algérien ; et dont le fils, Samir qui avait rejoint les rangs de l’ALN (armée de libération nationale), avait été arrêté et torturé par l’armée française.

Assia, pionnière pérenne

C’est grâce à la clairvoyance de ce père qu’elle avait suivi un parcours scolaire exemplaire tant en Algérie – dans les meilleurs lycées fréquentés par les enfants de colons qu’en France : le lycée Fénelon et Khâgne, d’abord, en 1954, puis – une première pour une Algérienne-, l’Ecole normale supérieure de Sèvres en 1955 dont elle fut renvoyée pour la bonne cause ! Elle avait préféré à ces études élitistes la lutte, aux côtés des autres étudiants musulmans algériens, contre la colonisation de son pays par la France. 

Deux ans plus tard, en 1957, c’est la publication de son premier La soif – par la similitude des situations, on a associé son nom à celui de Françoise Sagan – son premier roman, aux Editions Julliard ; Il signait sa véritable naissance, comme l’a souligné le 22 juin 2005, lors de son entrée  à l’Académie française, Pierre-Jean Rémy, dans la réponse à son discours de réception ;  grâce à ce nom d’emprunt qui ne la quittera plus ; comme elle ne cessera plus jamais d’écrire ![1] 

 

Assia Djebar  n’a jamais cessé, à travers l’ensemble de ses œuvres, poésie, romans, essais, théâtre, scénarii pour le grand ou petit écran,  d’être la messagère des “voix ensevelies”, celles des femmes, violentées par le système colonial et par celui du patriarcat ; des voix muettes, dans son pays et ailleurs ; depuis les « Femmes d’Alger dans leur appartement »  jusqu’aux «  « Femmes de Médine » ; d’Alger à Paris et en pays d’Arabie…

Je l’ai toujours associée, dans le cadre des séminaires que j’animais en Allemagne, au  romancier-cinéaste sénégalais Sembene Ousmane, auteur notamment de l’inoubliable  « Le mandat » qu’il avait porté à l’écran.

Elle aurait été une grande cinéaste n’étaient les blocages qu’elle avait rencontrés en Algérie ;  on pense ici  notamment à ses précieux films: le long métrage La Nouba des femmes du Mont Chenoua, réalisé pour la télévision algérienne en 1977, après trois mois d’enquêtes effectuées auprès des femmes de sa région ; il avait obtenu en 1979, Le prix de la critique internationale à la Biennale de Venise[2] ;  ce premier film a été suivi du film documentaire La Zerda ou Le chant de l’oubli (en 1977), primé au Festival de Berlin et étudié, aujourd’hui, dans la plupart des universités américaines. Films de la mémoire. Femmes en mémoire, pour la Mémoire collective [3]!

Elle avait même travaillé à l’adaptation au cinéma du roman autobiographique de Fadhma Ait Mansour Amrouche  – la mère de Taos et Jean Amrouche-, « Histoire de ma vie »,  projet mené dans le cadre de l’année de l’Algérie en France, mais quiavait fini par échouer, les responsables algériens étant revenus sur leur parole alors que le travail d’Assia était très avancé !

 

Les compétences d’Assia et la force de sa créativité ne s’arrêtent pas là ! Elle avait créé un drame musical en 5 actes et 21 tableaux (été 2000), à Rome, «  Filles d’Ismaël, dans le vent et la tempête traduit par Maria Nadotti, et interprété par la troupe d‘acteurs et d’actrices du Théâtre de Rome. Assia a également écrit un drame musical en 3 actes, à la demande du Théâtre de Rotterdam, aux Pays-Bas,  « Aicha et les femmes de Médine ».

 

L’évolution de son inspiration, de sa thématique et de son écriture :

Après une période de création intimiste, depuis son premier roman La soif, en passant par Les impatients, Les enfants du nouveau monde et les Alouettes naïves, Assia Djebar entamera désormais un nouveau type de création où se conjugueront éléments autobiographiques et histoire collective.

 C’est ce que nous retrouvons dans « Femmes d’Alger dans leur appartement »,  avec comme illustration de la couverture, la célèbre toile éponyme d’Eugène Delacroix ;  voici ce que j’en ai dit,  dans la revue littéraire Anamnésis, N° 0 ( Avril-Mai-Juin 2014)[4] :

« À cette communion des deux peintres – Delacroix et Picasso- s’est ajouté le travail d’écriture entrepris par notre écrivaine et réalisatrice de cinéma, majeure, Assia Djebar , pour engager une rencontre entre la peinture et l’écriture et dénoncer l’enfermement et le silence de ces femmes. En effet, en 1978, elle s’était inspirée des œuvres de Delacroix et Picasso – qui, lui, a une autre approche :  il peint, il explore « la réalité invisible, profonde et essentielle » –, pour écrire son recueil de nouvelles intitulé également « Femmes d’Alger dans leur appartement », – titre qu’elle a donné à la nouvelle la plus longue –, pour raconter l’histoire des femmes d’Alger, avant, pendant et durant la guerre de libération ; son objectif : sortir ces femmes de l’enfermement et du silence, ce silence que le tableau de Delacroix ne dévoile pas. Ces « bouches cousues » de l’Algérie et du monde arabe ont trouvé en elle un fervent défenseur qui n’a pas hésité à remonter le cours de l’Histoire, rompre l’enfermement en rendant la parole aux femmes, et par là en restituant la Vérité… »

« Femmes d’Alger dans leur appartement », sera suivi de « L’amour, la Fantasia », « Ombre sultane », et  « Loin de Médine » – qui fait revivre, en faisant intervenir la fiction, les femmes-phares à l’avènement de  l’Islam.

Comme on l’aura constaté, l’Algérie et l’Islam sont sa source d’inspiration et de réflexion.

 

 

L’écriture d’Assia face à la violente, inhumaine décennie –dite noire- de l’Algérie.

Durant cette période, elle n’est revenue en Algérie, qu’une fois, à la mort de son père.

Assia, secouée comme tous les Algériens, par l’assassinat de milliers d’Algériens parmi lesquels des amis, des proches, des femmes, des victimes anonymes ou des intellectuels et chercheurs de haut niveau, des écrivains et des artistes – le dramaturge Abdelkader Alloula, son ex-beau-frère, figure parmi les victimes qui auraient dû normalement préfigurer l’avenir éclairé de l’Algérie.

Ses romans s’enchaînent : « Vaste est ma prison[5] » « Le blanc de l’Algérie »,« Oran, langue morte », « Les nuits de Strasbourg »- c’était l’époque des actions menées par leParlement des écrivains, créé et établi à Strasbourg, très engagé dans la protection et l’accueil des écrivains menacés, après la fatwa de mort contre Salman Rushdieen même temps que l’action menée par le CISIA ( Comité de sauvegarde des intellectuels algériens), créé à l’initiative du regretté Pierre Bourdieu ». Puis son dernier livre pour cette période, l’essai « Ces voix qui m’assiègent ».

Retours…

Puis, ce qui a été perçu comme les meilleurs textes autobiographiques d’Assia  à travers ses trois derniers romans: «  La femme sans sépulture » – ce dernier  concerne son amie d’enfance, une combattante du FLN, Zoulikha Oudaï, dont aucune trace n’a été retrouvée,   « La disparition de la langue française » et «  Nulle part dans la maison de mon père ».

L’ensemble : une œuvre dense, diversifiée, authentique, bien trempée, où se noue et se dénoue, où se crie et s’écrit tout ce qui concerne l’âme humaine, avant, pendant et après, où l’on retrouvel’hommage à la résistance, l’émancipation de la femme, la recherche de l’identité à travers une construction mémorielle mûrement réfléchie, intelligente, sensible, servie par sa formation d’historienne. Assia a eu l’intuition heureuse, en mêlant dans son œuvre, fiction, histoires véridiques et des pans de sa propre histoire dans un style connu pour sa finesse et son élégance et les qualités de la narration.

Autre élément qui révèle sa nature spécifique, tellement attachante et convaincante: elle a exploré son propre parcours en écriture pour sa thèse de doctorat soutenue à Montpellier en 1999 : « Le roman maghrébin francophone, entre les langues et les cultures : 40 ans d’un parcours : Assia Djebar 1957-1997 » !

Passages… 

Je l’ai connue dans les années 1990, à Alger, puis, dès 1994, je l’ai régulièrement croisée, chaque mois d’octobre, dans cette immense cité qu’est la Foire internationale du livre de Frankfurt, où elle était régulièrement invitée.  Nous nous croisions- elle me demandait : « tu es toujours là ? (elle savait ma situation fragile d’exilée involontaire) », nous échangions quelques paroles avant qu’elle ne soit appelée à intervenir. A cette occasion, en octobre 2000, j’avais eu le privilège d’être invitée à la cérémonie de remise du prix des libraires ; je me trouvais là avec quelques personnalités algériennes et mon amie Fatima Mernissi ; j’étais touchée par la présence de cette sociologue marocaine célèbre venue,  témoigner  son estime et sa considération de consœur à Assia.

Comme elle sortait précipitamment de la grande salle de la Paulskirche,  avec une importante suite, nous avions dû  courir derrière le cortège, pour l’embrasser, la féliciter, et pour mon cas  personnel, lui dire ma fierté. C’est que tout ce monde devait gagner le siège de la Foire où devait se poursuivre ce grand événement. Assia Djebar était connue et appréciée en Allemagne ; elle avait déjà obtenu le prix «  Libératurpreis », décerné chaque année en marge des activités de la Foire du livre ; c’était en 1989, pour son livre « Ombre sultane ».

Je me souviens encore, en 2004, alors que le Monde arabe avait été choisi comme invité d’honneur, des frémissements dans les grandes allées du stand international où se déroulaient les grandes rencontres avec les invités de tous les pays : le moment crucial de l’annonce du Prix Nobel de littérature était imminent et on chuchotait, dans la plus grande excitation : « ce sera entre Assia Djebar ou Elfriede  Jelinek ; et ce fut finalement  cette romancière autrichienne qui fut choisie à la grande déception, dans ce lieu déjà,  des nombreux admirateurs de la romancière algérienne, proposée régulièrement  à ce prix prestigieux.

C’est  que son palmarès est édifiant !

Les consécrations[6] :

 Elles appellent une admiration sans réserves ; elles soulignent la diversité de son œuvre et son universalité, le respect et l’admiration qu’elle a suscités et la reconnaissance exprimée de son vivant à travers le monde, par notamment l’Italie, l’Allemagne, la Belgique, la France, les Etats-Unis…

Le statut d’immortelle :

Assia Djebar avait été élue le 16 juin 2005 au fauteuil de Georges Vedel (le 5ème)[7]. Première femme arabe, première femme maghrébine, auprès seulement de trois autres femmes occidentales.  Pour souligner et signer son attachement au berceau de ses aïeux, elle avait tenu à entrer dans cette institution éminemment française, accompagnée d’une épée algérienne datant du XIXème siècle, durant la résistance dirigée par l’Emir Abdelkader et réalisée dans les fonderies de ce dernier ( information révélée par l’écrivain Kamel Bouchama[8]). Symbole d’une éloquence avérée !

Elle avait conquis ce temple de l’immortalité par son « écriture dite française », une langue à elle qui reposait sur ses deux langues maternelles, le berbère et l’arabe, et qu’elle a décrit avec art, avec sensibilité et sincérité ! « Ainsi, dirais-je, s’aviva mon « désir ardent de langue », une langue en mouvement, une langue rythmée par moi pour me dire ou pour dire que je ne savais pas me dire, sinon, hélas dans parfois la blessure…sinon dans l’entrebâillement entre deux, non, entre trois langues et dans ce triangle irrégulier, sur des niveaux d’intensité ou de précision différents, trouver mon centre d’équilibre ou de tangage pour poser mon écriture, la stabiliser ou risquer au contraire son envol.[…] La langue française, devenue la mienne, tout au moins en écriture, le français donc est lieu de creusement de mon travail, espace de ma méditation ou de ma rêverie, cible de mon utopie peut-être, je dirai même ; tempo de ma respiration, au jour le jour. »

On retrouve également dans l’entretien avec la regrettée Josie Fanon ( voir note de bas de page 2) des précisions données par Assia Djebar quant à l’existence et au rôle de la langue : « […]Je me suis mise alors à l’évidence qu’il existe une langue pour exprimer ses pensées et une autre pour exprimer ses émotions. La langue française me permet d’exprimer mes pensées, tandis que le berbère et l’arabe constituent l’espace des émotions et des sensations ».

C’est évident : Assia Djebar était une femme vraie, à l’écoute de sa sensibilité profonde à l’égard du monde et d’elle-même, dans un monde et un temps devenus étrangement tyrans.

 

C’est pourquoi son dernier roman publié, « Nulle part dans la maison de mon père »,  m’a particulièrement émue ! Je retrouvais dans ce livre, comme dans  les toutes premières lignes d’Assia Djebar, le père ; d’abord cet instituteur arabe qui accompagnait sa fille à l’école française, faisant fi des traditions locales. Et puis ce père à la réaction tant crainte par la jeune fille qu’était devenue, Assia, pensionnaire dans un grand lycée d’Alger, en 1953, depuis que sa colère virile avait explosé pour ses jambes de toute petite fille dénudées ! Et le « fiancé » qui venait chaque jour se poster sur le trottoir faisant face à sa maison, durant tout le temps qu’avait duré sa convalescence…

J’avais entendu à la radio française, à l’époque, que c’est le suicide d’une jeune américaine qui l’avait fait revenir, dans un moment d’intense émotion, des années en arrière, au pays natal ; et elle avait écrit ce récit intimiste relatant  cette tentative de suicide, « cet acte gratuit », en octobre 1953 ; elle avait 17 ans. Juste un an avant le déclenchement de la Révolution. Elle parle dans ce livre de « ces secondes et ces minutes d’un trou béant…moi aujourd’hui, face à cette béance, ce faux drame ».

La mort, cette béance universelle, immense et éternelle !

      Son corps est arrivé à Alger le mercredi 12 février ; une cérémonie a eu lieu à l’aéroport puis le recueillement s’est poursuivi au Palais de la Culture. Ses funérailles  ont eu lieu le vendredi au cimetière de Cherchell où elle avait souhaité  reposer auprès de son père.

C’était aussi le dernier vœu de l’acteur et réalisateur français Roger Hanin – de son vrai nom Lévy, Hannin étant le patronyme de sa mère.

A l’heure où les esprits s’échauffaient à Paris, à la suite de l’attentat contre le journal satirique Charlie Hebdo, où tout le monde revendiquait le nom de Charlie, où l’Islam était stigmatisé une nouvelle fois, même à travers de jeunes enfants convoqués dans des commissariats,  Roger Hanin, enfant libre de Bab el Oued, à Alger, était enterré auprès de son père, dans le cimetière juif de Bologhine, anciennement Saint Eugène.

 Quand, à Paris, le premier ministre israélien appelait les juifs de France à rejoindre la terre d’Israël,[9]Roger Hanin, lui, juif français avait choisi tranquillement, souverainement de reposer dans la terre de ses aïeux, une terre de musulmans, ses frères, ses amis, ses admirateurs…La veille d’un vendredi, jour sacré en terre d’Islam. Un geste, un événement qu’ont ignoré pourtant les médias français, pendant qu’en Algérie, des femmes avaient lancé des youyous, à la fin de l’enterrement, comme pour Assia Djebar, parce que dans ce beau pays que reste l’Algérie, le soleil interdit de pleurer !

Comme dans les très belles et dramatiques histoires d’amour, une autre disparition a été annoncée quelques jours plus tard : celle, le 17 février  à Berlin, alors qu’il se trouvait en résidence d’écriture, Malek Alloula, poète et écrivain, frère du grand dramaturge Abdelkader Alloula, assassiné en 1994, et ex-époux d’Assia Djebar. La mort de cette grande dame à la mission et aux réalisations plurielles  pouvait-elle vraiment  se passer simplement ?

Aujourd’hui, il reste à l’Algérie qu’elle a représentée partout avec une telle élégance dans son savoir diversifié,  et dans 23 langues, de la faire connaître auprès des siens dans la langue qui était avec le berbère, sa langue maternelle: un seul de ses livres, « Nulle part dans la maison de mon père », a été traduit en arabe, par les éditions Sedia, à Alger, en 2014.

Nul doute que ce sera une entreprise extrêmement intéressante pour le traducteur tant l’écriture d’Assia Djebar porte le sceau de la  poésie, des métaphores, derrière des voix orales, dans la langue du terroir.

C’est une urgence comme on le reconnaît partout, en Algérie, d’installer sa voix prépondérante, porteuse de symboles, de parole féconde, de justice et de liberté, dans les écoles et les universités afin qu’elle demeure dans son statut d’immortelle.

Quant aux  femmes, celles d’Algérie et d’ailleurs qu’elle a sorties de l’ombre, elles pourront lui dire merci à travers ces mots-mêmes  d’un personnage féminin   du roman « Vaste est la prison « (1995, Albin Michel) : « en te regardant, en ne te quittant pas, nous toutes, nous te manifestons notre solidarité. Grâce à toi, nous ne sommes pas condamnées“.

Et entre les deux significations de ton nom, Assia  Djebar, entre «  Consolation » et « Intransigeance » (Pierre-Jean Rémy dans son discours de réception), nous, en  Algérie,  nous ne t’oublierons pas…Nous ne nous consolerons pas de ta disparition et nous  serons  intransigeants à l’égard de la médiocrité, pour éviter le pire !

 

Aicha Bouabaci

Le 23 février 2015

AAA

 

 

 



[1]  15 romans entre 1957 et 2007, soit en 50 ans, de La Soif à Nulle part dans la maison de mon père, sans compter  pièces de théâtre, opéras, travaux académiques.

[2] « Depuis que j’ai  réalisé le film La Nouba, ma manière d’écrire a changé. J’ai alors appris comment écouter les femmes algériennes… » a déclaré Assia ( Entretien avec Josie Fanon , in Demain l’ Afrique. 1977. Rapporté par Ahmed Bedjaoui. Quotidien Liberté ; mardi 15 février 2015. Culture P. 15).

[3] C’est le prétexte à signaler le film de Kamal Dahane «  Assia Djebar, entre ombre et soleil ».

[4] L’an II du cinquantenaire de l’indépendance algérienne, regards de l’Outre-mer français ». Fondateur :Jean-Benoît Desnel ; direction littéraire : Suzanne Dracius

[5] En 1995, en France, Françoise Longeard, assistée de Nicolas Derieux, met en scène « La femme cosmonaute »,   un montage de textes inspiré de «  Vaste est ma prison », dominé par les thèmes de l’exil de la souffrance, à travers des témoignages du passé et du temps présent.

[6] Voir liste en annexe

[7] Avant d’accepter cette proposition à candidature, Assia Djebar avait tenu à « réfléchir effectivement par rapport à l’Algérie et par rapport aux années noires, à la décennie noire de 1990, où tant d’amis à moi francophones l’ont payé de leur vie”.

 

[8] Quotidien Le soir d’ Algérie. Mardi 17 février 2015. P. 6.