Eliseo Castrignanò

Chiacchierando con…

il maestro Eliseo Castrignanò

di Antonietta Fulvio

Non è il direttore altezzoso, che si è dimenticato di scendere dal podio, Eliseo Castrignanò giovane pianista e direttore d’orchestra che ci accoglie sorridente nella sede dell’associazione “Orpheo per l’alba di domani” di Lecce. È nato e vive a Calimera e lo dice con orgoglio, ripensando alle sue origini. “Siamo fortunati a nascere in questa terra, è insita nella nostra natura essere solari, positivi, accoglienti, durante i miei viaggi mi capita spesso di recarmi in luoghi grigi e convenzionali, che tristezza… non sopporto molto le formalità, né voglio mettermi una maschera”.

 

 

Ma un direttore d’orchestra in fondo deve essere un po’ snob, sta sul podio e, dunque una spanna in più sugli altri – gli chiedo.

“Capisco l’atteggiamento di alcuni direttori che vogliono far passare di sé l’immagine di una persona al di sopra di tutti, una sorta di despota autoritario davanti all’orchestra, in realtà non è così. Io voglio scoprirmi, gioco a carte scoperte e cerco sempre di essere me stesso.Alcune volte la semplicità viene scambiata per buonismo, invece, è bello conoscere i musicisti con i quali suoni perché la musica non è solo tecnica ma soprattutto cuore. Il rapporto umano con le persone è importante, io mi sento uno che suona insieme all’orchestra”.

Una brillante carriera quella di Eliseo Castrignanò che ha all’attivo numerose esibizioni di rilievo, dalla direzione del concerto di Michael Nyman, con l’esecuzione della prima assoluta italiana della Seconda Sinfonia in presenza dell’autore; alla direzione dei Solisti dell’Accademia del Teatro alla  Scala, del Coro e dell’Orchestra del Bergamo Musica Festival all’orchestra del Teatro lirico di Cagliari. 

Ma come si fa a diventare uno dei più brillanti e acclamati direttori d’orchestra?

In un viaggio a ritroso nel tempo Eliseo Castrignanò ci ha raccontato la sua storia, la passione e il sacrificio, le scelte e i sogni. Di quando bambino, all’età di sette anni, incontra la musica grazie ad un dono dei suoi genitori, una tastiera Bontempi “Mi divertivo a suonare e a riprodurre tutto ciò che ascoltavo in televisione. Mi piaceva farlo e lo facevo con grande naturalezza e chiaramente i miei si accorsero di questa dote, mi chiesero allora se volessi imparare a suonare e fu così che iniziarono le mie lezioni con il maestro violoncellista dell’Orchestra di Lecce, Salvatore Colazzo. All’inizio lo studio della teoria smorzò l’entusiasmo ed ebbi un momento di scoraggiamento, ma fu solo un momento. Cominciai a studiare pianoforte, poi proseguii con la pianista Giovanna Serra che mi ha fatto conoscere e amare la musica”.

Una passione che è valsa ogni sacrificio, rinuncia. E con tono pacato prosegue il racconto di quando sacrificò lo sport, per cui era anche portato: “ero un velocista ma scelsi di dedicarmi completamente alla musica. Entrai in Conservatorio già al quinto anno perché avevo studiato bene e, per tre anni ho frequentato a Lecce. Poi l’incontro, grazie ad un master, con un maestro straordinario quale è Roberto Cappello che mi suggerì di trasferirmi al Conservatorio di Parma per completare gli studi. Era un periodo cruciale, papà non stava bene e morì in quello stesso anno, prima però mi comprò il pianoforte a coda perché ci teneva molto che continuassi la carriera da musicista e immaginava che dopo per mia madre sarebbe stato difficile acquistarlo. E riuscii a conseguire il diploma in pianoforte con Roberto Cappello”.

_Inevitabile che il ricordo di dolori mai sopiti faccia intristire lo sguardo. Il raggiungimento di un obiettivo importante ma in un momento difficile da superare, cosa le è stato di conforto? viene spontaneo chiedere.

“La musica e la fede – risponde con naturalezza. – Quando perdi un genitore cambia il mondo. Il mio trasferimento coincise con un cambiamento drastico, anche economico, ricordo i sacrifici ogni quindici giorni su e giù da Lecce,  di notte in treno e il giorno intero in Conservatorio e poi, finite le lezioni, ancora una notte in treno. Sacrifici enormi pur di studiare a Parma. In quegli anni mi ha aiutato anche molto la fede, non che non fossi un praticante prima, ma l’esempio di mio padre è stato illuminante: quando sembrava stare un po’ meglio dopo la chemio, l’ho visto prodigarsi per gli altri, impegnarsi nel sociale e affrontare con un sacerdote anche dei viaggi umanitari in Albania… e anch’io ho cominciato a partecipare più attivamente con l’Azione Cattolica e come catechista, approcciandomi alla fede in maniera diversa e questo mi ha aiutato molto a metabolizzare poi  il dolore della sua perdita.

Devo tutto a mio padre, mi ha insegnato tanto nonostante lavorasse molto e come per chi ha un’attività in proprio non stava certo con l’orologio alla mano. L’officina sarebbe stata mia solo se avessi voluto, ma la mia strada era un’altra”.

Ed era una strada, certamente in salita, ma costellata di note, di pulsioni ritmiche che si accompagnano al ritmo del cuore. E al cuore si sa non si comanda.

“Volevo fare il pianista. Ho fatto tantissimi master di perfezionamento con grandi maestri tra i quali Aldo Ciccolini, Benedetto Lupo, Charles Rosen. Ero apprezzato, ho vinto tanti concorsi pianistici ma suonare in pubblico e preparare un concerto per me era troppo stressante. Allora ho cantato nel coro, ho studiato musica antica, clavicembalo e organo per circa due anni a Monopoli e alla Scuola civica di Milano; ho collezionato esperienze e acquisito competenze.

Poi arriva un incarico al Festival dei due mondi di Spoleto come maestro sostituto, cioè colui che sostituisce l’orchestra durante le prove di un’opera. Per evitare, infatti, che i costi lievitino, i cantanti provano con un pianista che sintetizza tutta l’opera al pianoforte. Un’esperienza fantastica che mi ha accostato alla lirica, che da pianista puro snobbavo, e ho incominciato ad amarla, ad apprezzare l’aspetto sinfonico e la direzione”.

Galeotta fu Spoleto, dunque se oggi il Salento può vantare tra i suoi talenti un brillante direttore d’orchestra.  “Mi ha affascinato il fatto di poter gestire la musica, anche se impalpabile, il non suonarla ma dare un’idea mia della musica alle persone che ho davanti. Lì a Spoleto è maturata in me la convinzione che avrei potuto studiare per la direzione d’orchestra. Una scelta difficile, ma anche se qualcuno mi ha scoraggiato, io ho proseguito in questa direzione. Dopo tre anni di insegnamento a Milano ho rinunciato alle supplenze e a diventare docente di ruolo e mi sono gettato a capofitto nello studio”.

Uno studio intenso con i maestri Fabrizio Dorsi, Bruno Aprea e Nicola Samale. I corsi speciali presso i “Pomeriggi musicali” di Milano e quelli di perfezionamento alla “Scuola di Musica di Fiesole” tenuti dal maestro finlandese Jorna Panula vincendo la borsa di studio come migliore allievo. E ancora il master al Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia dove studia con i maestri Donato Renzetti, Bruno Bartoletti, Lu Lja, Lior Shambadal, Piero Bellugi che lo decretano migliore allievo del master e gli assegnano la borsa di studio e la direzione di numerosi concerti sinfonici e lirici.  Un percorso estremamente impegnativo e faticoso.

“Determinante è stato il sostegno di mia moglie Francesca che ha accettato che stravolgessi tutto e mi è stata vicino. Come anni addietro aveva fatto mio padre.  Non è facile star dietro ai miei a ritmi, a fine mese prenderò sei aerei in meno di dieci giorni per i prossimi impegni che mi vedranno il 28 aprile al “Teatro Sociale” di Pinerarolo, il 3 maggio all’ “Auditorium Nicolò Paganini” di Parma e il 4 alla “Sala Verdi” del Conservatorio di Milano”.

Tre date importanti dopo il recentissimo successo del concerto al teatro lirico di Cagliari: “un’esperienza professionale bellissima ed emozionante con un’orchestra storica e con il pianista Roberto Cappello”.

La conferma di un sodalizio d’arte con colui che è stato il suo maestro. “Dopo il diploma ci siamo un po’ persi. Mi sono specializzato con altri pianisti e non ho frequentato l’ambiente per diversi anni finché ci siamo rivisti qui a Lecce ad un concerto. L’anno scorso gli spedii una mail per informarlo che avrei diretto l’Orchestra sinfonica della Provincia di Bari al Teatro Petruzzelli, contemporaneamente, il maestro Cappello mi chiamava per dirmi che Marcello Rota, al quale aveva chiesto di dirigere un suo concerto, non potendo accettare gli aveva fatto il mio nome. Quando si dice il destino”.

E dopo il debutto al Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” di Modena e alla “Sala Verdi” del Conservatorio di Milano nelle “Serate Musicali” e al Teatro Lirico di Cagliari il sodalizio continua con una nuova serie di concerti. “Sì, prossimamente con le musiche di un grande compositore, George Gershwin, inoltre il maestro mi ha segnalato al festival internazionale di Parma dove il 19 ottobre dirigerò l’orchestra che accompagnerà i vincitori del concorso internazionale “Voci Verdiane” di Busseto, una vetrina di altissimo livello. Devo tutto a Roberto Cappello che continua a credere in me e mi sta scoprendo. Ed essere apprezzati e chiamati per la propria professionalità è davvero gratificante”. A questo punto è inevitabile la classica domanda, a proposito di tactus, che rapporto ha con il tempo?  “Continuo a correre, scherzo, comunque il tempo non è mai abbastanza e anche i viaggi in auto – a meno che non ci siano mia moglie e mia figlia che è una fans di Antonio Castrignanò  – sono un’occasione per ascoltare musica. Esiste il tactus del direttore che interpreta ma anche il tactus di ogni brano che ne ha uno proprio. Ci sono brani che eseguiti ad una determinata velocità funzionano meglio e quando il direttore quella sera ha lo stesso tactus del brano crea un’interpretazione particolare  e riesce  stabilire un feeling tra sé, orchestra e pubblico e tutto funziona particolarmente bene. E alla domanda se c’è stata un’esecuzione particolarmente riuscita con l’umiltà e l’autocritica, propria dei grandi, il maestro ci svela che è difficile essere totalmente contento della direzione di un concerto. “C’è stata una sera, però, non era un concerto particolarmente importante, ma nel secondo movimento della quarta sinfonia di Schubert mi sono emozionato e ho sentito che ero immerso nella musica e stavo godendo di tanta bellezza  e mi sono sentito bene”.

La conversazione, amabilissima, volge al termine e ci congediamo con un’ultima domanda sul sogno nel cassetto, l’opera che si vorrebbe dirigere. “La Turandot di Giacomo Puccini – risponde immediatamente. È come un monumento mastodontico che fa quasi paura ma che hai il desiderio di visitare… e a parte il fascino dell’incompiuto, la Turandot è stata scritta con un linguaggio a sé. Non avrei mai pensato di poter fare alcune cose che ho fatto e, magari, un giorno dopo aver diretto la Turandot, mi piacerebbe dirigere la Sinfonia dei Mille di Mahler…”