La fotografia come racconto. Intervista al fotografo Riccardo Belardi

 

di Antonietta Fulvio

Ci sono mostre rivelatrici  perché riescono a mettere in evidenza “giovani” talenti.  È il caso di “S Oggetti”, la collettiva di fotografia, che si è svolta a Lecce dal 6 al 16 giugno negli spazi di Set 32, sede di FotoScuolaLecce. Una mostra – e un libro curato dal fotografo Bruno Barillari (Il Raggio Verde edizioni) – che ha messo a fuoco l’importanza della fotografia come strumento di indagine antropologica raccontando, con una serie esclusiva di ritratti, alcuni personaggi di spicco della comunità salentina. A fotografarli sono stati gli allievi della scuola, ideata da Alessandra de Donatis, punto di riferimento nel territorio in ambito di “formazione per immagini” così come recita il suo slogan. Per l’occasione, abbiamo incontrato il fotografo Riccardo Belardi, che firma due foto di S Oggetti, inaugurando, in virtù del sodalizio tra la rivista “Arte e Luoghi” e FotoScuolaLecce, la prima di una serie di interviste dedicate a questi giovani professionisti della fotografia.

India, Marzo 2018Romano ma salentino d’adozione, Riccardo Belardi nella vita è controllore di volo in un ACC (Area Controle Centre) adiacente l’aeroporto di Brindisi. Perché un “uomo radar” ad un certo punto sceglie di andare a scuola di fotografia?

Ogni volta che mi trovavo di fronte a qualcosa che a i miei occhi risultava bello ed emozionante, cercavo sempre di riprodurre in fotografia le emozioni che mi trasmetteva… fallendo miseramente. Vedendo i progressi post corso di FotoScuolaLecce fatti da persone vicino a me, mi sono deciso a seguire questa strada. L’improvvisazione e il fai da te molto spesso portano solo brutti vizi e cattive abitudini, per questo ho pensato fosse la soluzione migliore affidarmi a dei professionisti. Tre anni fa ho iniziato a frequentare i corsi di FotoScuolaLecce  con lo scopo di riuscire ad immortalare in maniera decente ciò che vedevo durante le vacanze… e poi mi si è aperto un mondo, scoprendo molte affinità col mio lavoro. Si dice che mettendo in una stanza un problema con due controllori escano tre pareri diversi, lo stesso vale per i fotografi con un’immagine. Grazie ai corsi accademici che ho frequentato, ho scoperto rami della fotografia che non pensavo esistessero e che esiste un altro punto di vista oltre a quello dell’occhio, quello dell’occhio del fotografo.

Come è cambiato il suo approccio con la fotografia da allievo?

Il programma scolastico non mi ha solo aiutato ad apprendere tecniche e regole nuove, ma soprattutto mi ha indirizzato verso quello che poteva diventare la “mia fotografia”. Inizialmente mi sono dedicato ai paesaggi salentini, sempre cercando di fare la differenza, perché questo è stato uno dei primi insegnamenti della scuola. Ormai la fotografia esiste da secoli e tutti hanno fotografato tutto e in tutti i modi, o quasi. Ed è quel quasi che cerco sempre di raggiungere. La prima “specializzazione”  è stata la fotografia di strada: la presenza umana, in tutte le sue sfaccettature, secondo me dà un altro peso alla fotografia e un’emozione diversa all’osservatore… è un’arma a doppio taglio ma se usata bene può produrre sensazioni positive. L’importante è che la fotografia racconti qualcosa  e che riesca a catturare l’attenzione dell’osservatore come se stesse ascoltando il racconto.

 

 

Qual è stata la lezione più bella di questi tre anni di corso?

Ogni lezione mi ha dato qualcosa, anche quella del modulo riguardante una fotografia che non avrei mai considerato per me, perché mi ha aiutato ad apprezzare meglio il lavoro che c’è dietro. Diciamo che lezioni pratiche, le uscite con la macchina fotografica al collo davano un senso agli studi teorici fatti prima, proprio perché andavano a completare il percorso, teoria e pratica. Grazie alla disponibilità dei docenti le lezioni più belle le vivevi anche al di fuori della scuola e dell’orario scolastico, merce rara ai giorni d’oggi

Luisa Ruggio, foto di Riccardo BelardiNel progetto  “S Oggetti” hai fotografato due importanti donne salentine: la scrittrice Luisa Ruggio e l’assessore comunale ai Diritti Civili Silvia Miglietta. Ci racconta come sono nati questi due scatti?

Luisa è sposata con uno dei migliori fotografi italiani, è stata immortalata in ogni aspetto e momento della sua vita, tranne nella condizione di intimità più estrema che in genere vive una scrittrice, ovvero quando si trova da sola con i suoi pensieri rivolti alla sua prossima opera. Quello secondo me era un istante da immortalare perché raramente viene colto dall’osservatore, e raramente lo scrittore riesce a vedersi.

Silvia Miglietta, foto di Riccardo BelardiSilvia ha la qualità di risolvere problemi essendo diretta, semplice e non preoccupandosi della negatività che la circonda, per questo ho voluto rappresentare il problema con il fuoco, la soluzione con l’acqua, e il suo sguardo in camera diretto ed efficace fa la differenza.

 

A qual progetto si sta dedicando?

La completezza della formazione acquisita con i docenti di FotoScuolaLecce mi ha permesso di esprimermi sotto molti punti di vista e su diversi fronti, di conseguenza su diversi progetti. Al momento siamo a fine anno scolastico e ho deciso di presentare un progetto scaturito da un viaggio in India, un reportage che la racconti cercando di non cadere nel già fatto o già visto. Un altro progetto in ballo tende a raccontare la periferia leccese, cercando di trasmettere a chi vede da fuori la bellezza di zone della città che normalmente non verrebbero considerate. Io vengo da un quartiere della periferia romana e son convinto che ogni quartiere, come ogni città, venga rappresentato dalle persone che lo vivono, per questo ho cercato di rappresentare attività di quartiere grazie ad opere della gente che lo vive e lo vuol far crescere. Il corso professionale darà sicuramente seguito a pubblicazioni e mostre in seguito che racconteranno la mia crescita grazie agli studi fatti.

 

Da qualche anno vive e lavora in Puglia. Il rapporto con la sua città natale raccontato in uno scatto? E con Lecce? 

Si dice che un romano che viva fuori Roma non è “emigrato”, ma sta controllando le colonie. Al di là della battuta, il legame con la città di Roma non può mai spezzarsi, perché il romano la sua città la porta sempre dentro di sé, con la propria romanità. La lontananza mi ha permesso di vivere la mia città da turista, e forse è il modo migliore per farlo evitando tutto lo stress che la quotidianità concerne. Ma siccome il romano è un animale strano, a volte sente il bisogno di respirare anche quella Roma lì, soprattutto situazioni di vita che meritano di essere immortalate. Spesso non basta fare il turista perché la città è una splendida cornice, ma il dipinto è composto dai cittadini, da chi vive la città, e si sente il bisogno di farne parte.

Lecce con la sua composizione urbana e i suoi aneddoti è una Roma in piccolo, e ogni luogo è bello se composto dalle giuste persone e da queste mi sono circondato per viverla al meglio.

Il personaggio che avrebbe voluto o vorrebbe fotografare?

Il primo personaggio che mi viene in mente non è uno che vorrei fotografare, ma che avrei voluto. Da buon romano legato alla romanità, il primo nome che mi viene in mente è Alberto Sordi che ha incarnato l’intera Italia nei suoi film, e ha reso un film la sua stessa vita. Guardando le foto in cui è stato immortalato non posso fare a meno di pensare anche Mohamed Ali, personaggio col quale ad ogni fotografo piaceva vincere facile.

Per Riccardo Belardi la fotografia è…

Per me la fotografia è riuscire a trasmettere il proprio punto di vista. Vorrei poter far vivere a chiunque guardi le mie foto ciò che io ho vissuto nel momento in cui le ho scattate; vorrei far percepire le stesse emozioni sia al più grande intenditore sia a chi vede per la prima volta una fotografia. Cercare di rendere interessante ed emozionante anche il quotidiano, magari quel gradino che si scende ogni mattina senza avergli dato mai importanza.