Arte al Festival di Corciano
Dal 4 agosto al 2 settembre 2012 nell’ambito del Festival di Corciano nel Museo di San Francesco
FRANCO VENANTI – DECLINAZIONI DEL POTERE
Il settore arti visive del Corciano Festival 2012 presenta quest’anno nella Chiesa Museo di San Francesco Franco Venanti, uno dei fondatori dell’Agosto corcianese nel lontano 1965. Artista noto a livello nazionale per le atmosfere da Belle Epoque, popolate di donne fatali, ma anche per le denunce ironiche contro ogni forma di sopraffazione e contro il degrado ambientale, verrà presentato con una selezione di una venticinquina di dipinti che spaziano dagli anni Sessanta ad oggi. Con la mostra dal titolo “Franco Venanti – declinazioni del potere”, si potrà leggere l’ampia gamma di specificazioni con le quali l’artista perugino individua il potere: quello femminile, quello militare, l’ecclesiastico, ovviamente quello politico. Un itinerario realizzato per cicli che si conclude con un trittico nel quale l’artista evoca quasi una contestazione totale in una sorta d’entropia.
Venanti è anche un noto promotore culturale, scrittore e grande collezionista di oggetti d’arte. La mostra sarà allestita nella chiesa di San Francesco, curata da Massimo Duranti e Antonio Carlo Ponti, si inaugurerà il 4 agosto e rimarrà aperta fino al 2 settembre a ingresso gratuito e sarà corredata da un catalogo di 76 pagg. a colori della EFFE Fabrizio Fabbri Editore Perugia. È nato il 6 novembre 1930 sotto il segno dello Scorpione, segno d’indomiti volubili, che sanno far passare stravaganze e ribellioni per costanza e fedeltà, di cui Venanti ne manifesta almeno tre: la pittura, Perugia, la casa sul colle di Fontivegge. Non ha mai voluto abbandonare la città, ne separarsi dalla casa, ne della bottega colma di pop-art incettata da rigattieri con quell’amore vagamente metafisico. Gli oggetti del passato, un cappellino liberty e un casco guerresco, una gabbia di pappagalli e un’automobilina a pedali, una stola da monsignore e una mutanda di cortigiana, una bambola rotta e un puzzle intatto, gli sono indispensabili per esorcizzare le insoddisfazioni della giornata, che lo fanno contestatore quando gli altri sono conservatori e conservatore quando gli altri diventano contestatori. Cominciò all’asilo. Suo padre, che era stato calzolaio di rango e aveva messo su un negozietto quattro metri per quattro in Via Bonazzi, lo mandava ai giardinetti con un garzone di bottega. Imparò da lui a disegnare con l’erba, sulle panchine, le favolose invenzioni che fecero dire a Picasso essere la fanciullezza il bagno d’innocenza indispensabile per rigenerare un’arte che abbia compiuto, come un’esistenza, tutto il suo ciclo evolutivo. Ad otto anni scoprì i colori. A tredici si accorse che c’era stata la rivoluzione francese.
A quindici la sua prima mostra nei negozi di Corso Vannucci. Li guardavo stupefatto, incerto se vergognarmi o inorgoglirmi. Per non sbagliarmi, non me ne confessavo l’autore. Era come se mettessero in piazza i miei primi segreti intimi, quelli proibiti, un po’ meravigliosi e un po’ sporcaccioni, di quell’età di scoperte e turbamenti. A bottega, da suo padre, tutti ne parlavano. Sapevano tante cose, vecchi socialisti che sapevano sul fascismo, incalliti mangiapreti che sapevano tutto sul angelo. Li ascoltavo e li bevevo. Erano la mia cultura, dal vivo. E anche la mia etica della rivolta. Allora essere fascisti o antifascisti rappresentava una scelta da pagare. Si profilava la guerra civile. La libertà era una parola catacombale. Eppure era gente che si combatteva, ma non si odiava. Con loro, e tramite loro, cominciai ad individuare le ingiustizie sociali. C’era classismo, allora. Le distinzioni, a diffèrenza d’oggi, si vedevano anche ad occhio, dai vestiti, per le strade, a spasso per il Corso. Ecco la zitella ricca col cappello e la veletta per distintivo, ecco la moglie del gerarca che si avvia a negozio per ordinarmi: “Ragazzo, slacciami le scarpe”, e io che mi rifiuto. Ecco il Vescovo in porpora, ecco il reduce con la stampella, ecco l’odalisca dalle forme inverosimili, da corre- re al bagno per rivederla in trance e con i pantaloni calati. Sono personaggi che ho sempre portato a memoria e che riaffiorano nitidi dalle nebbie di quella mia adolescenza positivamente violentata dai grandi. Alle Medie odiava il disegno geometrico, orinava sull’acquaragia che il bidello portava alla professoressa, un’ ottima acquerellista che aveva il solo difetto di pretendere anche il disegno geometrico. Fu promosso “per eccezionali capacità artistiche” e col consiglio di pro- seguire gli studi presso l’Istituto d’Arte. Andò al Ginnasio e poi al Liceo Classico. E di quegli anni una conoscenza ed una frequentazione che Venanti definisce “essenziale, determinante, insostituibile”. Adalberto Migliorati, “un artista e un uomo raro”.
Aveva soltanto il vizio trino: Bacco, Tabacco Venere, con una certa predilezione per quest’ultima. Forse amava le donne più della pittura, anche se con la pittura emergeva e con le donne si degradava. Da lui imparò, in tutte le sue variazioni e distinzioni, il nudo femminile. Aveva modelle bellissime, o che allora parevano bellissime. Distrutto dall’alcool e dalle donne, Migliorati si spense come una candela. Quella morte pagana insegnò a Venanti, per converso o per catarsi, il misticismo dell’arte sacra: un misticismo violento, polemico. Prese così a dipingere soggetti religiosi: grandi crocifissioni contadini e operai ai piedi del patibolo. Pietà e Addolorate sul panorama del mondo contemporaneo. Croci che gli ricordavano la guerra, la sua Ossessione. Seguivo -continua Venanti -la corrente espressionista; ero finalmente riuscito a rompere i lacci col neoclassico e con la splendida ma statica eredità d Migliorati. A Palazzo Cesaroni esposi quaranta quadri sui tedeschi, li vendetti tutti. Poi, mi disintossicavo con i fiori. Non ho mai concepito l’arte a tema esclusivo, ma sfoghi molteplici. Certo, s’imboccano, volta per volta, strade diverse. Anche percorrendole sino in fondo, ci si può fermare sul ciglio per curiosare nelle vie traverse. Altrimenti ci si annoia o si diventa matti. Il bello, il misterioso, lo stravagante, e anche il doloroso delle donne lo ritrovò più tardi, soprattutto nei cinque anni del suo purgatorio esistenziale intercorsi tra il primo matrimonio fallito e il secondo da reinventare. E lo raccontò nei suoi quadri in chiave cifrata, metafisica e simbolica. Con la politica -continua Venanti -è la stessa cosa. Non sono un animale politico perché la mia animalità è istintiva e selvaggia, non meditata, mai utilitaristica e speculativa. Eppure parlo sempre di politica. Odio il potere. Chi sale su una sedia m ‘infastidisce per il solo fatto che si sceglie il piedistal-lo. Sono stato amico di guevaristi e preti scismatici. Nel gruppo culturale Bonazzi, che sciolsi nel ’74, vissi attimi inebrianti di sfida e protesta. Ma diffido degli aggiustamondo di professione. E poi, alle volte, con raccapriccio, mi sorprendo in fragrante nostalgia di valori che una volta pensavo fosse giusto distruggere e che invece, forse, bisognava conservare. Almeno quelli eterni, che proteggono la nostra individualità, la nostra ansia di libertà e di civiltà. Così con le donne. Mi hanno sempre attirato, nel bene e nel male, quando le rinnego e quando le rimpiango, e quando le cerco di nuovo. Penso che le donne siano gli animali più pittorici, oltre che i più pittoreschi, che possano insegnare ad un artista il gusto di vivere e la voglia del misterioso. Venanti: un poeta, un filosofo, un critico, un maestro che ha saputo tracciare con delicatissima mano sulla carta e sulla tela l’anima della sua ribellione ma anche l’amore per gli indigenti e i diseredati.
(fonte: comunicato stampa)
Comune di Corciano – Perugia
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