Dal Concerto di Natale a La dolce vita
Intervista al direttore del Concerto di Natale, svoltosi ad Assisi, e andato in onda il 25 dicembre su Rai 1
Steven Mercurio e la sua dolce vita in Italia
di Paola Butera
Siamo ad Assisi, si è appena conclusa la registrazione del Concerto di Natale, andato in onda il 25 dicembre su Rai 1, e ho la fortuna di passare un po’ di tempo con Steven Mercurio e di entrare un po’ nel suo mondo di maestro d’orchestra e compositore.
Steven, com’è andata, sei soddisfatto del concerto appena concluso?
Sì, devo dire che si respirava una bella energia. Sarà Assisi che è sempre magica, ho sentito una bella sintonia tra l’Orchestra sinfonica nazionale della Rai, il coro di voci bianche “I piccoli musici” , il coro “Coenobium vocale” e le tre soliste. Queste ultime, veramente meravigliose, hanno fatto la differenza.
Tre donne completamente diverse tra loro, se non sbaglio è la prima volta che accade?
Sì, tre donne completamente diverse. E’ la prima volta e devo dire che ha funzionato molto bene. La soprano russa Ekaterina Bakanova, poi Caroline Campbell, la violinista americana che irrompe con la sua energia e, infine, la cantante israeliana Noa. Devo dire che è stata fatta una scelta molto forte, tre artiste provenienti da paesi e culture molto diverse, ma il loro entusiasmo – unito alla professionalità – si è ben amalgamato e sono molto soddisfatto.
Sei spesso in Italia in questi ultimi tempi, solo due settimane fa hai diretto a Milano il concerto di musica del cinema italiano “La dolce vita”. Me ne parli?
Sono stato chiamato a dirigere l’Orchestra Filarmonica “Arturo Toscanini” per questo meraviglioso omaggio alle colonne sonore che hanno fatto la storia del cinema italiano. Nino Rota, Ennio Morricone, Luis Bacalov, Nicola Piovani e altri grandi maestri della musica da film. Sul palco si sono alternati artisti italiani come Alice, Tosca, Morgan, Federico Paciotti, Raphael Gualazzi. Abbiamo iniziato da Parma prima dell’estate e poi Spoleto, Rimini, Cosenza e due settimane fa eravamo a Milano dove per l’occasione ho arrangiato un medley con “Che cosa sono le nuvole” insieme a “O surdato nnammurato” cantato dagli artisti, per ognuno una strofa. Ha iniziato Morgan con il suo stile inconfondibile fino ad arrivare al tenore Federico Paciotti che ha concluso nella parte più intensa de “O surdato nnammurato”. E’ stato magnifico, veramente sorprendente. E poi vedere il pubblico che cantava insieme a loro, uno spettacolo!
Dalla lirica alla sinfonica, nella tua carriera c’è qualcosa che vorresti realizzare e non hai ancora fatto?
Ho diretto tanto, soprattutto nella lirica, in tanti paesi e lingue. Ci sono delle opere che mi piacerebbe rifare come Falstaff o Otello e tutto il repertorio di Strauss. Ma soprattutto mi piacerebbe proporre i miei brani da compositore in Italia, qui non ho mai proposto niente di mio. Per me essere in Italia e realizzare qui i miei sogni è importante, ci sono le mie radici ed è come sentirmi a casa.
L’Italia, ne parli con orgoglio ed enfasi, ci torneresti?
Avrei voglia di tornare in Italia, vorrei tanto dirigere un teatro stabile. In Italia ci sono dei teatri e delle orchestre che possono dare tanto ma sono arenati nei meccanismi burocratici. Troppa politica, troppa burocrazia ha creato un distacco profondo tra il teatro e il pubblico. L’egocentrismo di alcuni direttori poi non ha aiutato. C’è bisogno di umiltà e di creare quella rete, quella forza che solo l’unione può dare. Vedi, ci sono due modi di dirigere un’orchestra: o sei incentrato su te stesso e ti prendi tutto senza lasciare spazio oppure ti metti a disposizione dell’orchestra, cercando di cogliere il meglio da ognuno dei musicisti. Io mi ispiro a Bernstein, quando dirigo cerco di entrare in ogni suono, ogni pensiero dei miei musicisti. Capire come tirar fuori il meglio di ognuno, senza essere concentrati su se stessi, ma coinvolgendo tutta l’orchestra. Che poi quell’energia il pubblico la capta e la capisce, si emoziona e partecipa.
Quindi se ti proponessero la direzione di un Teatro Stabile in Italia, dove ti piacerebbe andare?
Non importa dove, ci sono dei Teatri magnifici, penso a quello di Bologna, o al Petruzzelli di Bari o ancora al San Carlo di Napoli. Vorrei dare quell’apporto utile per far innamorare di nuovo le persone alla musica classica, ma anche sperimentare nuovi arrangiamenti, proporre vecchi classici chiusi in soffitta, darei fiducia ai giovani, porterei l’orchestra nei concerti in giro per il mondo. Mi metterei a disposizione dell’arte, che credo sia importante, ma allo stesso tempo potrei dare una visione più contemporanea e internazionale della musica classica. Certo il teatro dell’Opera di Roma sarebbe il top. Ti racconto un aneddoto: l’ultima volta che sono stato a Roma, alla stazione Termini ho chiesto a cinque/sei persone, prevalentemente giovani, se mi sapessero indicare dov’era il Teatro dell’Opera. Rimanevano allibiti, nessuno mi sapeva dare indicazioni. Poi ho incontrato un signore distinto e di una certa età e in un attimo mi ha dato le indicazioni giuste. Ecco, dobbiamo fare in modo che le persone comuni si avvicinino alla musica classica, di avere l’opportunità di ascoltare della musica diversa dal pop, rap etc. Che la cultura inizia dalle fondamenta, dalla storia, dalle origini. Io vorrei poter dare il mio contributo artistico al paese da dove vengono le mie origini, con l’esperienza di una visione internazionale.
Steven, nella tua vita cos’è “la dolce vita”?
Oh, la mia “dolce vita” è quando riesco a lavorare bene, quando sono appagato nel lavoro di conduzione e riesco ad unire tutti gli orchestrali tanto da trasmettere l’unicità della sinfonia al pubblico. Il mio compito di direttore d’orchestra è soddisfatto quando riesco a convogliare in un unico risultato il lavoro di decine di artisti, cercando di smussare gli errori, di capire dove migliorare. Dove la parola Noi è superiore all’ego. E capisco che il risultato è raggiunto quando, dietro, il pubblico conferma con l’apprezzamento e l’emozione la forza di questa unione. In Italia questo lo sento più forte.