Alfa e Omega, le poesie di Alessandra Capone
di Laura Madonna
Incontrare le parole, i paesaggi e i silenzi di questa giovane promettente poetessa è stata un’ esperienza esistenziale: la condivisione di sguardi ed emozioni su un mondo solo apparentemente astratto. Un mondo metafisico cui Alfa e Omega dà una visibilità, una connotazione definita attraverso una tavolozza di sfumature. Protagonisti sono un “io” alla ricerca di un “Sé”, tutti i paesaggi abitati da Angeli e da Silenzio: anche quando non vengono evocati; note che si integrano su una tavolozza sulla quale le pennellate di un artista ascetico dialogano con cieli stellati che provocano l’ incantamento. Lo sguardo di Alessandra Capone si estende a perdita d’ occhio e tutto abbraccia con stupore e sentimenti amorevoli che raccontano il divino, il disegno di “un immenso amore” di cui si percepisce, consapevolmente, un frammento luminoso e al quale chiunque la legga viene richiamato. La parola poetica di Alessandra Capone getta un ponte e crea un passaggio tra visibile e invisibile che il lettore attento è invitato a percorrere: la meta può solo essere intuita, il traghettamento è verso spazi notturni e siderali. Simili a quelli mostrati dai voli di Chagall, dalla Notte di Van Gogh o dai notturni di Chopin, dal Chiaro di Luna di Beethowen o dalle note di Bach..
Il sottotitolo, Viaggio nell’ Io Infinito”, ne è l’ anticipazione. Come ne è un’ anticipazione la bella immagine della copertina, presa in prestito dall’incisore Pasquale Urso. Qui si palesa un’architettura barocca abitata da angeli in pietra: osserviamo un cancello chiuso che evoca un’idea di “prigionia” cui si contrappongono una balaustra e due archi che lasciano intuire ipotetici frequentatori del luogo. La scena può essere letta come un dialogo tra materia e anima, tra terra e cielo poiché l’artista ha immaginato che gli angeli si liberassero dalla loro materialità di notte e vivessero una propria vita; ci consegna immediatamente al contenuto del libro, al suo essere un dialogo tra terra e cielo mostrando quel territorio di mezzo che è la Bellezza, col suo implicito invito alla Felicità e alla Leggerezza.
Basti pensare alla definizione che di bellezza ci ha lasciato Goethe: “Che cos’è la bellezza? Non è luce e non é notte-crepuscolo; nascita di verità e non verità-una cosa di mezzo”.
Non è casuale l’idea del “richiamo” in relazione al lettore, perché mostra l’attitudine dei più, in questa società frettolosa che poco concede all’interiorità e alla riflessione, a dimenticarsi di esistere, a farsi sopraffare dal rumore inteso come alienazione dalla “verità”. Si può sovente essere afferrati dal dubbio dell’ inutilità della poesia, tanto sono centrali temi ben differenti: l’utile, il profitto, la pancia, il sesso, l’ambizione sociale e politica. Pare che un silenzio materiale e denso, tenebroso, tolga la voce ad altre dimensioni cui altro tipo di silenzio dà risalto: quelle dell’amore, della contemplazione, della bellezza, di un agire rispettoso dell’ umano, semplicemente di tutto ciò che ha a che fare col mistero:
“la più bella e profonda emozione che possiamo provare” (Einstein)… E così si giustifica tutto quanto questo piccolo libro ci dona: obbedienza ad una domanda di silenzio che si traduce in ascolto e promessa di felicità; spazio che nasce come cavità per accogliere e custodire il senso. Come un vaso vuoto, una casa, una campana: oggetti che racchiudono semplicemente uno spazio, quello che giustifica la loro ragione di essere vaso, casa, campana…Quando la nostra mente è posta di fronte a un oggetto ipoteticamente bello, per comprenderlo deve operare una scissione: da una parte l’oggetto, da un’altra il vuoto. La comprensione passa attraverso l’innalzamento e la separazione dell’ oggetto da ogni altra cosa: allora si rendono riconoscibili la sua unità e la sua integrità e si palesa nella sua prima qualità la bellezza, quale sintesi della facoltà che la apprende. A questo processo seguono l’analisi, la claritas e la quidditas (san Tommaso d’ Aquino) e, da qui, l’ anima, l’ identità di quanto lo sguardo ha incontrato, originano l’ “epifania”, oltre ogni apparenza.
Va dunque letto anche come un omaggio al silenzio e a uno sguardo circolare e illuminato, quanto con eleganza e discrezione affiora sulle pagine bianche del libro, tra gli spazi che separano i versi, nella loro musicale andatura, nel “fluire” di pensieri che fanno di Alessandra un’ autrice che ha avuto ed ha qualcosa da dire e che pertanto appartiene alla categoria di scrittori indipendenti dal tempo perché il pensiero, le considerazioni sul nostro “viaggio” fatto di passi, indubbiamente, ma in egual misura di sguardi, di incontri, di ri-conoscenza non conoscono epoche, tendenze né artifici. Sono, semplicemente, la testimonianza di una domanda di senso che afferra chi ha il coraggio di sostare e di mettersi in ascolto.
è proprio il caso di parlare di coraggio perché l’incontro col mistero che è in noi e che ci circonda richiede proprio audacia. E si tratta di un coraggio che raggiunge gli animi nobili quando intercettano il de-siderio: i piedi sulla terra, il cuore “nel mondo” lo sguardo tra le stelle.
Scrivere con audacia…Ne leggiamo in Joyce, in Stefano Eroe, in Ritratto dell’ Artista da Giovane:
“Per epifania Stephen intendeva un’improvvisa manifestazione spirituale, o in un discorso banale o in un gesto o in un giro di pensieri, degni di essere ricordati. Stimava cosa degna per un uomo di lettere registrare queste epifanie con estrema cura, considerando che erano attimi estremamente delicati ed evanescenti” (Stefano Eroe)
“Lo splendore di cui parla san Tommaso è la quidditas scolastica, l’ essenza di una cosa. Questa suprema qualità l’artista la sente quando la sua immaginazione comincia a concepire l’ immagine estetica. Shelley paragonò stupendamente lo stato d’ animo di questo istante misterioso a un carbone che si spegne. L’istante in cui quella suprema qualità della bellezza, il limpido splendore dell’ immagine estetica, viene luminosamente percepita dalla mente che l’ interezza e l’ armonia dell’ immagine hanno arrestato e affascinato, quell’ istante è la stasi luminosa e muta del piacere estetico, uno stato spirituale molto simile a quella condizione cardiaca che il fisiologo italiano Luigi Galvani, con una frase altrettanto bella di quella di Shelley, ha definito l’ incanto del cuore”.
Accade di pensare, leggendo Alessandra, alla “matita tra le dita di Dio” evocata da Madre Teresa di Calcutta, che “la forma delle cose si distingue meglio in lontananza” (Italo Calvino), che… “Ho chiuso gli occhi per vedere” (Paul Gauguin): la scrittura è per lei il veicolo privilegiato per superare il qui e ora, esplorando l’ altrove nell’ adozione di uno strumento antico che si fa gesto ascetico ed esaltazione di pensiero e sentimenti.
Un altrove illuminato che è Canto alla Vita, Ricerca, Sogno e Risveglio, Dolcezza, Pioggia di Luce, Visione d’ Amore e, in una sola parola, al posto d’ onore, riconoscenza!
Non a caso gli ultimi versi racchiudono un Grazie all’ universalità del creato e dell’ amore. Siamo sulla sponda opposta rispetto al positivismo e all’ idolatria della tecnologia e che riducono la realtà a quanto può essere osservato coi soli sensi e che determinano tragicamente la sudditanza dell’uomo alla tirannia del consumismo e alla pretesa di una conoscenza definitiva. In questo territorio resta poco spazio anche per l’amore, che prima di essere un sentimento è un sentire che coinvolge tutto l’essere umano.” Si sente di amare ancor prima di saperlo”! (Franco Loi)
Viene, anche, da interrogarsi sul senso di una poetica così concepita, quale preghiera, nel nostro tempo. Su chi sia la giovane donna che ci fa dono del suo cuore, su quale sia la sua storia, su un’ ipotesi di cammino futuro.
Ciò che colpisce, oltre all’ assenza di altri volti se non quelli angelici, della dimensione del “fare” che tuttavia si stempera in un “agire” a favore dell’ educazione alla bellezza e ai sentimenti, è l’abbraccio pacificante delle certezze. Un abbraccio che coincide con fiducia, con speranza, con una testimonianza di fede lontana da ogni possibile dubbio.
Dunque: chi è Alessandra Capone? Dove la stanno conducendo i suoi passi, i suoi sguardi, le sue parole? E questa scrittura che è specchio della sua anima la sta cambiando? Le sta dando lucidità o inquietudine?
Ad Alfa e Omega ben si addicono, come augurio di incontri fecondi coi lettori, le parole di Giovanni Pozzi:
“La cella e il libro sono le stanze della solitudine e del silenzio. Della solitudine, la cella… Del silenzio, il libro, deposito della memoria, antidoto al caos dell’oblio, dove la parola giace, ma insonne, pronta a farsi incontro con passo silenzioso a chi la sollecita. Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se richiesto, non urge oltre quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole, tace”.