A Fabriano: volare alto per ritrovare le radici
Dal 29 febbraio al 29 marzo al Museo della Carta la mostra di Giuseppe Ansovino Cappelli, 31 borghi medievali in punta di matita
di Giuseppe Salerno
FABRIANO. In febbraio si inaugura presso il Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano “volare alto per ritrovare le radici”, mostra di disegni architettonici composta da ben quarantuno opere di Giuseppe Ansovino Cappelli che, a tratto di matita, riconduce all’integrità originaria trentuno borghi medioevali delle Marche.
Docente di composizione presso la facoltà romana di Architettura Valle Giulia, Giuseppe Ansovino Cappelli è originario di Fiastra ed è alla sua regione d’appartenenza che dedica questi suoi lavori recenti su carta Fabriano.
Un ambito quello dell’architettura al quale, congiuntamente agli innegabili meriti, vanno ascritte gravi responsabilità quando, nel rapporto con il mondo di superficie, la gestione dello spazio ha vieppiù incarnato l’aspirazione umana a dominare le forze della natura e l’assurda presunzione di poter tutto controllare e plasmare.
Fondamentalmente al servizio dei potenti, al pari di tutta l’arte figurativa sino alla prima metà dell’800, un architetto dimostra di essere tale quando afferma la sua visione anche nei confronti del committente cui compete dettare le regole. Sta a lui ricavare spazi vitali di espressione all’interno degli ambiti costretti. Altra storia è quando il chiamato a progettare abbracci l’ideologia del potere e faccia proprie altrui visioni.
Privo di un’etica che lo ponga in rapporto con gli equilibri dell’universo, è l’uomo/architetto ad aver conflitto, in tempi recenti, con condizioni ed andamenti naturali ingegnandosi ad incanalare e deviare il corso delle acque, a contrastare gli andamenti delle maree, a perforare le montagne, a creare isole, a mettere in comunicazione terre e ad erigere barriere.
E’ ancora a lui che una società mossa unicamente dal profitto ha chiesto di rendere possibile la massima concentrazione di esseri umani in città verticali che, funzionali ai bisogni della produzione e del consumo, sono le prigioni nelle quali non ci è dato distinguere il giorno dalla notte, il caldo dal freddo.
In combutta con gli interessi della finanza internazionale è l’architettura ad aver sottratto l’uomo all’ambiente naturale, all’alternarsi delle stagioni, alla pioggia che bagna ed al sole che scalda costringendoci in ambienti confortevoli al cui interno il tempo, annullata ogni diversità, scorre sempre uguale.
Architetto amante della classicità e fortemente rispettoso del mondo naturale, Giuseppe Ansovino Cappelli vive la propria estraneità nei confronti di questa società massificata che non concede spazio al pensiero ed all’emozione individuali; società che, dimenticato il senso della vita, va ogni giorno di più alla deriva.
Artista nell’animo, disprezza quel fare scollegato dal sentire profondo che ha prodotto la crescita incontrollata dei grandi agglomerati urbani nei quali si sono succeduti interventi distruttivi e sostitutivi che hanno compromesso ogni precedente armonia d’insieme riducendo le aree cittadine a luoghi dell’accumulo e della coesistenza.
Nostalgico di una idealizzata integrità perduta, Cappelli, uomo/architetto/disegnatore/sognatore, sorvola con la gomma e la matita piccoli e grandi borghi delle amate terre marchigiane per restituirci, liberate da rimaneggiamenti e superfetazioni inquinanti, architetture rivisitate nella loro essenzialità, circoscritte, protettive, protagoniste un tempo di quel dualismo città/campagna oggi sconosciuto.
Al “Less is more” sembrano rifarsi questi suoi interventi giustizialisti su strutture che ancor oggi, nonostante tutto, permangono quali testimonianze preziose d’una concezione urbanistica collettiva, spontanea, a misura d’uomo.
Volare alto per ritrovare le radici è la missione abbracciata da Giuseppe Ansovino Cappelli che, a tratto forte di penna e matita, realizza su carta Fabriano queste sue tavole bianche e nere di fronte alle quali, in scenari architettonici essenziali e silenti di dechirichiana memoria, respiriamo l’equilibrio e la grandezza di un pensiero collettivo.
La mostra resterà aperta al pubblico dal 29 febbraio al 29 marzo.