I gesti scolpiti di Jago al Teatro Antico di Taormina

La mostra personale si protrarrà fino al 3 maggio 2026. Le sculture si inseriscono come gesti scolpiti nel tempo, testimoni di una continua necessità espressiva che attraversa epoche e linguaggi. Ed è record di ingressi, e tra gli eventi culturali più rilevanti dell’anno in Sicilia e nel panorama nazionale

Antonietta Fulvio

TAORMINA. Materia e Memoria si intrecciano su piani molteplici nei Gesti scolpiti nel Teatro Antico di Taormina. Le sculture sono quelle di Jago: Impronta Animale (2012), Memoria (2015), Prigione (2016) e David (2024, bronzo) quattro opere collocate, fino al 3 maggio 2026, all’interno del Parco Archeologico di Naxos Taormina, uno scenario di una bellezza mozzafiato che custodisce un patrimonio millenario, cuore della Sicilia archeologica e che ebbe in Naxos la prima colonia greca sull’isola Trinacria, da sempre crocevia di civiltà e teatro di memorie antiche.
Le prime tre sculture, scolpite in marmo statuario, ruotano attorno al tema della mano: simbolo di contatto, creazione, affermazione personale. È attraverso la mano che l’essere umano lascia un segno, affonda nella materia, costruisce memoria. Non solo strumento, ma autoritratto: presenza viva che attraversa il tempo.


Nell’opera intitolata Impronta Animale, la mano evoca con il suo segno primordiale le pitture rupestri, ed è un rimando al contatto ancestrale con la terra. L’impronta della mano impressa nella pietra è la testimonianza tangibile della presenza umana e rievocazione, dunque, della Memoria: un invito a riflettere sull’eredità di ciò che lasciamo in termini di parole e di gesti. In Prigione, l’immagine scolpita, avvolta nelle pieghe del marmo, sembra voler emergere da una prigione di pietra. I contorni della figura umana sono appena delineati, mentre le membra si estendono con un forte senso di tensione. Il gesto è tutto: urgenza di esistenza, simbolo della lotta per liberarsi da ciò che costringe.
La quarta scultura è la David, realizzata in bronzo e alta 181 cm ed è esposta sulla sommità delle tribune del Teatro Antico, dopo aver compiuto il giro del mondo a bordo della nave Amerigo Vespucci. Reinterpretazione in chiave moderna del mito di David e Golia, l’opera racconta una storia diversa, ma sempre pregna di coraggio e rivalsa. L’iconografia è riconoscibile nella postura fiera della figura femminile (che richiama il celebre David di Michelangelo), nella fionda e nella pietra che stringe tra le mani — elementi che tornano come segni ricorrenti negli ultimi capolavori dell’artista. Il progetto della David nasce nel 2021 con un primo bozzetto in argilla. Da quell’immagine iniziale, sono nate diverse versioni in argilla e gesso, fino ad arrivare al modello attuale, tradotto in bronzo attraverso l’antica tecnica della fusione a cera persa. La versione definitiva, scolpita in marmo di Carrara e alta oltre 4 metri, rappresenterà la pietra miliare del percorso artistico di Jago, impegnandolo in una vera e propria impresa.
La mostra, inaugurata il 4 settembre, è stata caratterizzata da una particolare performance dello stesso artista che armato di nastro adesivo, ha coperto le nudità e la bocca della sua David in segno di protesta contro l’ennesima censura da parte di Meta, che ha oscurato i contenuti social legati all’opera equiparandoli a immagini pornografiche. «Io non accetto che l’AI decida cosa censurare e cosa no. Per questo motivo ho deciso di autocensurarmi», ha dichiarato Jago. Una protesta legittima contro la scandalosa censura dei social che molto spesso, ahimè consentono la diffusione di immagini violente e scabrose, per non parlare di piattaforme specifiche come OnlyFans, ad esempio, ma lo stesso discorso vale per tutti gli altri da Facebook, a Tik Tok e Instagram – che si nutrono di esposizioni di corpi senza nessun tipo di filtro. Attualmente l’opera liberata si può però ammirare nella sua interezza.
Resta il ricordo di una giusta provocazione. Resta la bellezza dell’arte di Jago che continua a dialogare nel luogo delle parole e dei gesti per antonomasia: il teatro. E siamo spettatori di una bellezza antica e contemporanea che invita ad interrogarci sul senso della storia e della memoria. D’altronde questi concetti non sono nuovi per lo scultore soprannominato il nuovo Michelangelo. Vuoi perché predilige il marmo come materiale nobile per le sue sculture, vuoi per le tecniche e i canoni stilistici delle sue opere che riescono però nonostante la classicità dell’impostazione a dialogare e ad affrontare temi più urgenti della contemporaneità. Ma chi è Jago?
Pseudonimo di Jacopo Cardillo, nasce nel 1987 a Frosinone, dove frequenta dapprima il Liceo Artistico, poi l’Accademia di Belle Arti che però abbandona. Ventiquattrenne viene selezionalto da Vittorio Sgarbi per partecipare alla 54esima edizione della Biennale di Venezia dove presenta il busto in marmo di Papa Benedetto che gli vale la Medaglia Pontificia. La sua prima personale a Roma nel 2016 e da lì un ciclo di eventi espositivi che lo hanno portato in tutto il mondo passando per Roma, Milano, New York, Osaka, Bruxelles, Napoli dove nel cuore del quartiere Sanità, nella Chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi ha aperto il 20 maggio 2023 il suo Jago Museum. Il rapporto con la città di Napoli era iniziato quando lo scultore ancora viveva a New York nel 2017, con il progetto del Figlio Velato, realizzato in Marmo Danby del Vermont e ispirato al celebre Cristo velato dello scultore Giuseppe Sanmartino. Inaugurata nel 2019, l’opera si trova nella Chiesa di San Severo Fuori Le Mura, all’interno della Cappella dei Bianchi nel quartiere Sanità diventando un simbolo di rinascita. La condivisione sui social della realizzazione della scultura rese particolare il rapporto di Jago con il pubblico che ha così la possibilità di seguire i suoi progetti. Ricordiamo The First Baby che raffigura il feto di un neonato che è stata la prima scultura ad essere inviata, grazie alla custodia dell’astronauta Luca Parmitano, sulla Stazione Spaziale Internazionale (2020), Pietà (2021, Marmo statuario, 140x80xh150 cm) ispirata nella posa a quella michelangiolesca, rappresenta un padre che stringe tra le braccia il corpo senza vita della propria creatura, diventando icona del peso della perdita e della sofferenza e al contempo memoria dell’amore genitoriale. Nelle pieghe del volto disperato è possibile leggere il dolore disumano e innaturale di chi perde il proprio figlio. Nel 2020 Jago mette in scena il dramma contemporaneo della pandemia con la scultura Lock Down installata a Napoli sulla pavimentazione di Piazza del Plebiscito: un bambino in posizione fetale, incatenato, un’immagine di tenerezza che è soprattutto ha spiegato l’artista – un’opera che nasce da uno sguardo rivolto verso il basso, non per vergogna, ma per consapevolezza. È un invito a dirigere l’attenzione su ciò che troppo spesso ignoriamo: la povertà, l’abbandono, la fragilità che abita le nostre città e il nostro tempo. In questa opera ho voluto raffigurare l’innocenza ferita di milioni di bambini, ma anche la promessa di un futuro che dipende da come sapremo proteggerli oggi.
Lock Down è diventata dallo scorso giugno una istallazione permanente a Palazzo Montecitorio.
«Portare questa scultura – ha commentato lo stesso Jago – nel cuore delle istituzioni della Repubblica, nel cortile d’onore della Camera dei Deputati, è un atto di fiducia nella responsabilità collettiva e nella forza del simbolo. Ogni bambino del mondo rappresenta il nostro futuro: riconoscerne la dignità è il primo passo per costruire una società migliore. Che questo marmo non resti muto, ma continui a parlare a chi decide, a chi rappresenta, e soprattutto a chi guarda. Perché guardare in basso, in questo caso, significa innalzare la coscienza».
E in un momento storico come quello attuale, costretti ad assistere impotenti al genocidio del popolo palestinese per mano di Israele, perché purtroppo i bombardamenti continuano nonostante la tregua annunciata con la pace, il messaggio della scultura di Jago non è solo «una scelta che afferma l’apertura della democrazia alla dimensione culturale, alla creatività, al pensiero critico e alla libertà espressiva» come ha commentato il Presidente Lorenzo Fontana.
L’immagine potente di quel bambino, che è tenera icona di vita e umanità, mi piace pensare diventi anche un monito perché il Governo si attivi per proteggere e schierarsi in favore dei diritti di tutti e fermare questo orrore, ormai quotidiano, che sta decimando una popolazione indifesa e sta rubando l’infanzia e la vita a bambini e bambine, vittime innocenti di abominevoli giochi di potere.

Lascia un commento