Segni di Vita. Disegni e incisioni per scavare nell’anima

Intervista all’artista Polina Karpunina attualmente docente dell’Accademia di Belle Arti di Lecce

Antonietta Fulvio

Fresco di stampa, Segni di vita, il catalogo edito da Il Raggio Verde con i testi di Carmen De Stasio, Angelo Maria Monaco e Franco Contini, è una galleria di personaggi per raccontare vite, emozioni in punta di matita o incisioni… Come nasce questo progetto?
Inizialmente non era un vero e proprio “progetto”. Amo la ritrattistica: l’uomo, con le sue espressioni, è sempre stato per me uno dei soggetti preferiti da rappresentare. Cerco di immergermi negli occhi della persona che ritraggo e di restituire ciò che percepisco: la vita vissuta, le sofferenze, le gioie, i pensieri. Per me è un momento di fusione con il personaggio, in cui mi perdo e per un breve tempo divento altro.


Nel tempo dei selfie elaborati con filtri capaci di mistificare e rielaborare completamente un volto, per non parlare dell’intelligenza artificiale per creare nuove immagini, il tuo lavoro rappresenta tutta la forza espressiva del “segno”. Nella sezione disegni, è possibile ammirare una serie di ritratti che colpiscono per l’accuratezza e l’espressività, nella sezione “incisioni” invece ci troviamo davanti ad una galleria di volti che suggeriscono emozioni diverse, come se avessi voluto dare corpo a sentimenti, dal dubbio alla compassione…dall’intelletto alla resilienza che appartengono a tutti e sono il sale della vita. Se dovessi scegliere solo una, quale sceglieresti più affine al tuo essere e sentire il mondo…

Polina Karpunina, Rancore, ritratto di un uomo n. 2 bulino puntasecca, da Semi di Vita, edizioni Il Raggio Verde, 2025


Il primo che mi viene in mente è il ritratto intitolato Rancore. Non parto mai dall’emozione da rappresentare; anzi, faccio sempre fatica a trovare un titolo per i miei lavori e, potendo, li lascerei tutti “senza nome”, anche se non è sempre una buona idea.
In questo ritratto mi piace la sintesi che sono riuscita a raggiungere e quello sguardo rivolto verso l’interno, insieme ai “rumori” della puntasecca. Non saprei definirlo meglio: semplicemente è il primo che mi viene in mente quando penso a questa serie.

Dai ritratti del Fayyum alla tradizione ritrattistica del Quattrocento, che importanza ha oggi il ritratto e la figurazione in generale?
Secondo me il ritratto è un genere eterno: esiste finché esiste l’uomo. Si dice che ogni persona sia un universo e che gli occhi siano lo specchio dell’anima: ecco, il ritratto è un tentativo di cogliere un mistero, qualcosa che sfugge e che, se definito troppo, perde parte della sua profondità.
È anche un atto di attenzione: abbandonarsi per un momento a un altro essere umano. Sono convinta che non si possa realizzare un buon ritratto senza essere innamorati del soggetto, qualunque esso sia: una persona, un paesaggio, una natura morta — che dovrebbe sempre apparire viva. Anche l’astrazione, secondo me, nasce sempre dal mondo reale.
Per questo credo che la figurazione sia e resterà importante. La natura ci insegna a disegnare: solo osservandola attentamente si può diventare un buon artista. Solo con basi solide si può poi abbandonarle e spaziare nell’astrazione.

In un mondo sovraffollato da immagini digitali, affermi l’importanza del disegno così come l’antica arte dell’incisione…Il digitale – o l’AI – potrà mai sostituirsi completamente alla mano dell’artista?
Quando nacque il cinema, si diceva che il teatro sarebbe morto. Invece convivono ancora. Penso che l’AI diventerà presto insuperabile dal punto di vista tecnico-digital, ma ciò che produce resta privo di vita.
Viviamo sommersi dalle immagini, ma la maggior parte sono “rumore visivo”, come accade con l’eccesso di informazioni. Bisogna imparare a distinguere un’opera da ciò che è effimero. L’essere umano avrà sempre bisogno di toccare le corde dell’animo attraverso la bellezza, ovunque si trovi: nelle arti visive, nella musica, nella letteratura, nel cinema, nel teatro… Abbiamo bisogno dell’arte per purificarci: non di solo pane vive l’uomo.

Da diversi anni sei docente dell’Accademia di Belle Arti dove insegni Stampa d’Arte, tecniche dell’incisione e illustrazione cosa suggerisci ai tuoi allievi per rapportarsi al meraviglioso e difficile mondo dell’arte dell’incisione e dell’illustrazione?
In realtà non insegno da molti anni: ho avuto solo due anni di questa bellissima esperienza e ora ho un contratto “fino ad avente titolo”, quindi non so se potrò proseguire.
Quello che cerco di trasmettere ai miei studenti è l’amore per ciò che fanno. La stampa d’arte è un mondo affascinante e vastissimo, ricco di linguaggi e strumenti espressivi. Suggerisco sempre di non avere fretta: l’arte non ama la fretta. Oggi, con i social, sembra tutto rapido, ma l’incisione — più di qualunque altra tecnica — richiede i suoi tempi.


Il 20 novembre sarà la Giornata Mondiale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e lo scorso anno hai illustrato l’adattamento in chiave moderna di una fiaba dello scrittore tedesco Wilhelm Hauff. Morto prematuramente all’età di 25 anni, scrisse fiabe e novelle e il romanzo storico Il castello di Lichtenstein ispirandone poi la costruzione. Cosa ti ha spinto a illustrare la Storia del Piccolo Muck?
Hai altri progetti editoriali legati al mondo dell’infanzia?
Sono nata nell’Unione Sovietica e lì le fiabe degli scrittori europei erano molto diffuse: i fratelli Grimm, Hauff, Collodi, anche più moderno Rodari, grazie ai cartoni animati e ai film tratti dalle loro opere. Da bambina mi impressionò il personaggio del Piccolo Muck: quell’omino con la testa grande, un cappello strano, babbucce e un bastone magici.
Quando ho sentito il desiderio di illustrare una fiaba, mi è tornato in mente lui. Mi affascinano l’atmosfera orientale e quei ricordi che risuonano con la mia infanzia: sono nata in Kazakistan, vicino all’Uzbekistan, e il fascino dell’Asia Centrale mi è molto familiare.
Ho realizzato altri progetti per bambini, sì, ma sono passati ormai dieci anni.

Sei nata in Kazakistan ma da dodici anni sei in Italia e ormai di adozione salentina. C’è un luogo qui nel Salento a cui sei particolarmente legata e che in qualche modo ti rievoca il tuo paese? Raccontami qualcosa di te
Forse il paesaggio pianeggiante, con leggere colline, mi ricorda il luogo dove sono nata. Per il resto sono mondi molto diversi. La mia città è immersa nella steppa, che è meravigliosa: ti dà la sensazione dell’immensità e del cosmo. Anche il cielo è diverso: più alto, e ti fa respirare in un altro modo.
Qui mi sento particolarmente legata al centro storico di Lecce, con la sua architettura splendida che, al primo sguardo, mi sembrò una torta bianca. Anche se non è grande, sembra infinito: ogni volta scopro un dettaglio nuovo, un cortile, una luce che trasforma ciò che già conosco.
Amo andare al mare la mattina presto, quando non c’è nessuno. Il mare, come la steppa, dà la sensazione di essere qualcosa di vivo, molto più grande di te.

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