Rocco Dubini. L’arte e la memoria
Rocco Dubbini
I marinai valgono più delle navi, le opere d’arte valgono più degli artisti
di Dario Ciferri
Galleria Marconi, Ascoli Piceno
fino al 23 dicembre 2011
Ci sono storie che ci colpiscono nel profondo, anche se non le abbiamo vissute, ci mostrano tragedie, dovute alla negligenza dell’uomo, ci dovrebbero essere d’insegnamento, ma poi regolarmente si ripetono, a dimostrazione che troppo spesso guardiamo solo al nostro orto, al nostro benessere e ci sembra assurdo rinunciare a un po’ di questo solo perché qualcuno muore. È un lavoro di memoria che ci offre la possibilità di proiettarci verso un futuro migliore per tutti.
Probabilmente quello che ho scritto finora sembrerà solo un esercizio di utopia, magari di retorica, forse di demagogia, eppure la nostra specie da sempre dimostra un autolesionismo e una tendenza a ripetere i propri errori che, se non fosse tragica, sarebbe quasi ammirevole.
Rocco Dubbini con I marinai valgono più delle navi, le opere d’arte valgono più degli artisti cerca di tessere dei fili di memoria, di mostrarci una rete in cui oggi e ieri sono uniti, perché in fondo non si è mai fatto nulla per creare una discontinuità. Il punto da cui muove l’installazione è un fatto storico che ha coinvolto e segnato profondamente il territorio di San Benedetto del Tronto: la tragedia del motopeschereccio Rodi. Il Rodi affondò il 24 dicembre 1970, era partito due giorni prima da Venezia, dove era stato sottoposto a dei lavori di manutenzione, con un equipaggio ridotto al minimo e non essendo stato sufficientemente zavorrato. Ironia della sorte l’affondamento avvenne a poche miglia da casa, tra Porto San Giorgio e Grottammare. Le operazioni di recupero si mossero a rilento e di fronte a questi fatti la cittadina marchigiana insorse.
Il progetto, nato intorno a una riflessione sul mare, sulla migrazione, sulla vita e sulla morte, ha preso forma dopo che Rocco Dubbini è venuto a conoscenza di questa storia e si è sviluppato pienamente dopo che l’artista ha incontrato una frase, una frase su cui riflettere, perché nella sua elementarità e banalità riesce a dire una verità devastante: <2I marinai valgono più delle navi”. Dubbini, anche per le sue origini geografiche, non conosceva la vicenda e la portata che ha avuto sulla vita del nostro territorio. Realizzando questo progetto però ha avuto l’occasione di plasmare un’installazione che andasse a intrecciarsi con il vissuto e il cuore pulsante della città, intervenendo in un luogo nuovo per l’arte contemporanea, come il Design?, che cerca di rafforzare e ricreare quei fili tra arte e tessuto urbano, che San Benedetto ha sempre avvertito come importanti per la propria crescita.
Chi riconosce in sé un legame con il mare, sa che questo è fatto di amore, rispetto e paura, sa che è fonte di vita, ricchezza, prosperità, ma anche di morte e dolore. Il mare è capace di dividere e nello stesso tempo è un mezzo di comunicazione impareggiabile, probabilmente il primo grande canale di comunicazione che l’uomo ha scoperto. L’installazione è studiata come se ci trovassimo sotto alla linea di galleggiamento, con un senso di insicurezza di chi non sa se riuscirà a venirne fuori. Ecco una barca che affonda/emerge dal pavimento, ecco un albero che sprofonda/spunta da un campo di grano. A fare da filo conduttore a tutto il percorso c’è una parola fissata alla parete IDOR, IDOR è il termine Rodi, come poteva essere letto dopo che si era ribaltato, eppure IDOR è anche la traslitterazione di Ύδωρ che in greco antico indicava l’acqua. È come se emergesse il legame profondo che lega il marinaio all’acqua, un legame che l’incuria, la fretta e l’idea di profitto ha fatto spezzare.
Quando Rocco mi ha raccontato questo, ho fatto io stesso un’operazione di memoria, all’epoca dei fatti non ero ancora nato e se mio padre, che era stato appena assunto dall’armatore del Rodi come cuoco, fosse partito, invece di decidere di restare a casa, non sarei nato. C’è un legame intimo che quindi si lega tra questa storia, altre storie di sofferenza legate al mare e la persona che racconta, Dubbini ci mostra anche questo attraverso il proprio autoritratto, che si concretizza nella realizzazione di due sculture a forma dei suoi guantoni da boxe di quando era bambino.
Un legame intimo e interiore che però trova la forza di ergersi a messaggio universale, perché la dignità umana ha lo stesso valore qualunque sia la latitudine e il colore della pelle, e le tante vite che si perdono nel Mediterraneo sulle carrette del mare, sono di vittime che inseguivano il sogno di un futuro migliore per se stessi e per i propri cari, esattamente come per quegli uomini che fecero la grande epopea della pesca atlantica nella nostra marineria. I marinai valgono più delle navi è un messaggio che si rafforza ogni volta che viene pronunciato in una lingua diversa, e che vale per Libici, Ivoriani, Cingalesi, Tunisini, Eritrei. Il benessere di pochi, la difesa dei privilegi e delle ricchezze acquisite non possono portare sulla strada dell’indifferenza, della sofferenza e della morte altrui. È la dignità del lavoro, la sua difesa e la sua importanza che porta alla solidarietà, all’incontro e al progresso. Un incontro che non è massificazione ma che deve essere una forma di resistenza all’individualismo.
Rocco Dubbini però con I marinai valgono più delle navi, le opere d’arte valgono più degli artisti compie un’operazione di riflessione anche nei riguardi del mondo dell’arte, dove questa tendenza di assolutizzazione individuale sta emergendo sempre più prepotente e la figura dell’artista sopravanza e soffoca la sua opera, spesso dimostrandone l’inconsistenza. La velocità con cui nella nostra epoca vengono prodotte e accantonate le immagini, non lascia spesso il tempo per un’assimilazione e una valutazione completa del valore delle stesse, siamo una società dell’immagine che sta distruggendo il valore di queste stesse. In una situazione come questa è proprio la figura dell’artista che emerge, ma è un’artista che non riesce a staccare le opere dalla propria persona, perché queste una volta staccate da lui non riescono ad avere un proprio ruolo e significato. Eppure quel che dovrebbe restare è proprio l’opera d’arte, il risultato di un lavoro, di una ricerca, di un sentire, che si concretizza ed è capace di dare voce a un’epoca, all’uomo del proprio tempo e a quello del tempo che verrà. All’inizio si è parlato di fili di memoria, sono questi che le opere d’arte creano, attraversando i secoli e guardando fisso negli occhi gli uomini di diverse epoche per ricordare ciò che si è stato, ciò che si è e ciò che si sarebbe potuto diventare, nel bene così come nel male.
Le opere sono state fotografate da Marco Biancucci
La mostra è organizzata da Galleria Marconi e Studio Associato Design
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