Rubens a Como
RUBENS A COMO
DAL 27 MARZO AL 25 LUGLIO 2010
A VILLA OLMO
I CAPOLAVORI DEL MAESTRO FIAMMINGO
Per il settimo anno consecutivo, Como organizza un grande evento d’arte. I successi delle mostre dedicate a Mirò, Picasso, Magritte, agli Impressionisti, a Klimt e Schiele, e ai maestri dell’Avanguardia russa Chagall, Kandinsky e Malevic,visitate da oltre 500.000 persone per una media annuale di circa 90.000 visitatori, hanno fatto del capoluogo lariano uno dei punti di riferimento del circuito espositivo nazionale. Le sale della settecentesca Villa Olmo sono ora pronte per aprirsi dal 27 marzo al 25 luglio 2010 al genio di PIETER PAUL RUBENS (Siegen, 28 giugno 1577 – Anversa, 30 maggio 1640), maestro del Barocco.
La mostra Rubens e i Fiamminghi, curata da Sergio Gaddi, assessore alla cultura del Comune di Como e da Renate Trnek, direttrice della Gemäldegalerie dell’Accademia di Belle Arti di Vienna, con 25 capolavori del maestro fiammingo provenienti dalle collezioni della Gemäldegalerie dell’Accademia di Belle arti e dal Liechtenstein Museum di Vienna, presenta uno dei nuclei numericamente più importanti finora mai esposti in Italia. Ad essi, si affiancano anche 40 opere di pittori della sua cerchia, quali Anton Van Dyck, Jacob Jordaens, Gaspar de Crayen, Pieter Boel, Theodor Thulden.
“La mostra di Villa Olmo – commenta il curatore Sergio Gaddi – celebra la genialità e la modernità di uno dei maestri assoluti della pittura, una personalità che dopo quattrocento anni continua a sorprendere per la potenza grandiosa ed esuberante del segno che ha reso universale il Barocco europeo. Rubens è sempre contemporaneo perché fissa nel tempo l’ideale della bellezza classica e riesce a dare la vita alle sue figure attraverso la luce e il colore. La sua pittura è una festa per l’anima e per gli occhi, e le opere esposte a Como raccontano la ricerca della perfezione nell’esperienza rubensiana e permettono al visitatore un viaggio appassionante nell’epoca d’oro della pittura fiamminga del Seicento”.
“Con Rubens e i suoi epigoni fiamminghi – sostiene il sindaco di Como, Stefano Bruni – Como si appresta a vivere un’altra straordinaria stagione di grandi eventi, un ulteriore passo di un percorso ambizioso iniziato nel 2004 e che a pieno titolo ci ha già inserito nel circuito delle città d’arte, con importanti benefici per il territorio, per la naturale vocazione turistica e per il prestigio della nostra città. Dopo sette anni, continuo quindi a sostenere e a credere nella straordinaria forza propulsiva delle mostre e nella loro capacità attrattiva”.
Il percorso espositivo, suddiviso nelle nove sale di Villa Olmo, si snoda attraverso i temi caratteristici della pittura di Rubens, come i soggetti sacri, i riferimenti alla storia e al mito, e contempla alcuni dei maggiori capolavori del maestro fiammingo.
Tra questi, le Tre Grazie (1620-1624), vero manifesto dell’ideale bellezza femminile del tempo e che Rubens rappresenta sul modello del gruppo scultoreo ellenistico ritrovato a Roma nel XV secolo. Rubens dipinse o disegnò il motivo delle Tre Grazie diverse volte, come soggetto singolo o inserito in un contesto più ampio. In questo caso, i tre personaggi femminili sono impersonati nella figura delle dee greche delle stagioni, vestite solo di un leggerissimo velo, che reggono un cesto di fiori, donando loro uno straordinario movimento circolare e un naturale ed elegante intrecciarsi di braccia e gesti delle mani.
Borea rapisce Orizia (1615), straordinario capolavoro e immagine guida della mostra, rappresenta il rapimento, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi, della ninfa Orizia, da parte del barbuto e alato Borea, personificazione del vento del nord. Rubens fonde i due corpi in un avvolgente e fluttuante abbraccio, catturando il momento di transizione che dalla paura e violenza del rapimento conduce a un’estasi di amore e fantasia. Il corpo di Orizia, come quello di tutte le figure femminili di Rubens, è reso con un incarnato talmente realistico e vivo da far domandare a Guido Reni: “ma questo pittore mescola il sangue ai colori?”
Il satiro sognante, una delle opere più insolite del maestro fiammingo, dipinta tra il 1610 e il 1612 poco dopo il suo ritorno in Italia, colpisce, oltre che per la sua imponenza, per l’architettura della composizione che contrappone il gruppo composto da Bacco, dal satiro ubriaco e dalla menade, a una traboccante natura morta, composta da un prezioso vasellame dorato e da un’infinità di coppe per bere.
Particolarmente importanti sono le due tele, di oltre tre metri di dimensione, che raffigurano Vittoria e Virtù e Il trofeo di armi, appartenenti al ciclo che Rubens dedicò al console Publio Decio Mure (1616-1617). Il tema dei quadri è ispirato alle vicende dell’eroico condottiero romano vissuto nel IV secolo a.C., la cui storia è stata tramandata da Tito Livio. I compiti di portata tanto vasta hanno sempre stimolato l’artista, tanto da fargli dire, in una lettera del 1621 indirizzata a William Trumbull: “Confesso che una dote innata mi ha chiamato a eseguire grandi opere piuttosto che piccole curiosità. Il mio talento è siffatto che nessuna impresa, per quanto grande e multiforme nell’oggetto, ha mai sconfitto la fiducia che ripongo in me stesso”.
La ricerca della perfezione nell’esperienza rubensiana passa dall’analisi accurata della fisicità, e l’idea pittorica coincide perfettamente con la sua esecuzione pratica. A tal proposito, sono da ricordare, tra le altre, La circoncisione di Cristo (1605), che risponde a precise indicazioni iconografiche dettate dalla Controriforma, e la Madonna della Vallicella (1608), due straordinari modelli per le pale d’altare della Chiesa dei Gesuiti a Genova e di Santa Maria della Vallicella a Roma, nelle quali l’impostazione teatrale della luce e l’atmosfera cromatica rivelano l’influsso dei grandi pittori veneziani del Cinquecento, che Rubens aveva studiato durante il soggiorno a Venezia del 1600.
Un’assoluta rarità è Il giudizio di Paride (1605-1608), una delle sole quattro opere che Rubens realizza su tavola di rame, un supporto inconsueto per un tema che invece rappresenta un motivo ricorrente nella pittura del maestro, più volte ripreso fino al famoso quadro del 1638-39 commissionato dal re di Spagna Filippo IV, ora al Prado di Madrid. È questo uno dei più incantevoli ‘poemi’ dipinti da Rubens, in cui tutto, dall’insieme della composizione, alle figure al paesaggio, al cielo che le sovrasta, si risolve nel colore, nella pittura pura stesa con pennellate fluide, fondendo in un unico indissolubile sia le figure che l’ambiente che le circonda. Il dipinto raffigura la competizione tra le dee Giunone, Minerva e Venere per il titolo di donna più bella dell’Olimpo, giudicate da Paride.
Di notevole pregio, alcuni piccoli oli su tavola di soggetto sacro, dipinti da Rubens come studi preparatori per i 39 dipinti commissionatigli nel 1620 per il soffitto della Chiesa dei Gesuiti di Anversa, in cui è possibile incontrare più che mai la mano autografa dell’artista, che realizzava personalmente i bozzetti preparatori, affidandosi poi alla collaborazione della bottega per il perfezionamento dell’opera finale.
Accanto a questi capolavori di Rubens, la mostra di Villa Olmo propone 40 tele realizzate da pittori fiamminghi della sua cerchia, in particolare di Anton Van Dyck, amico del maestro e certamente l’allievo di maggior talento – di cui è presente, tra gli altri, il famoso Autoritratto all’età di quindici anni – oltre che Jacob Jordaens, Gaspard de Crayer e Theodor Thulden.
Tra i fiamminghi spiccano, per particolare pregio e minuzia del dettaglio, le nature morte di Pieter Boel, Jan Fyt e Jan De Heem in cui è possibile incontrare quella commistione di naturalismo, esotismo e artificialità tipica delle raccolte nobiliari delle kunstkammern tanto di moda nei Paesi Bassi del XVII secolo. E’ il caso di Natura morta con mappamondo, tappeto e cacatua di Pieter Boel o Natura morta con frutta e scimmia di Jan Fyt, o ancora Sontuosa natura morta con pappagallo di Jan Davidsz de Heem. Una variante della natura morta, molto apprezzata nelle Fiandre intorno alla metà del Seicento è quella delle scene di cacciagione, ben rappresentate in mostra da opere come Il pavone bianco di Jan Weenix (1693), o le due Natura morta con cacciagione, rispettivamente di Jan Fyt e Melchior Hondecoeter.
Accompagna la mostra un catalogo Silvana Editoriale.
Biografia
Figlio di un borghese calvinista di Anversa rifugiatosi a Colonia per motivi religiosi, Rubens Pieter Paul (Siegen 1577 – Anversa 1640) iniziò la sua formazione artistica probabilmente a Colonia, ma la proseguì ad Anversa, dove fece ritorno con la madre e i fratelli dopo la morte del padre, e dove, già nel 1598, risulta iscritto tra i maestri della gilda di San Luca. Giunto in Italia nel 1600 – per un soggiorno che si protrasse sino al 1608 – si fermò subito a Venezia, dove eseguì copie da Tiziano, Veronese e Tintoretto. Dopo pochi mesi divenne pittore al servizio di Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova, alternando la sua attività artistica con missioni diplomatiche e politiche. Durante la sua permanenza in Italia sostò ripetutamente anche a Genova e a Roma studiando le opere dei maestri del rinascimento ma attratto anche dalle più recenti esperienze di Annibale Carracci e del Caravaggio. Nel 1602 eseguì a Roma l’Esaltazione della Croce, Gesù coronato di spine e l’Innalzamento della Croce, opere che, con le tre tele per la chiesa della Trinità di Mantova e la Circoncisione (1605) segnano, nel superamento degli schemi disegnativi cinquecenteschi e nell’affermazione di uno stile grandioso e magniloquente, una prima apertura in senso barocco. Nel marzo 1603 lo troviamo in Spagna, dove restò otto mesi, inviato da Vincenzo Gonzaga in missione diplomatica. Tra il 1606 e il 1608 fu scelto per dipingere la pala dell’altare maggiore di Santa Maria in Vallicella Tra le più alte imprese del suo soggiorno italiano è anche l’Adorazione dei pastori (1608) che, nella libertà formale e cromatica e nelle soluzioni luministiche, manifesta chiaramente il significato che ebbe per lo sviluppo della sua arte l’esperienza italiana, dai veneti al Correggio e all’ambiente romano dei primi anni del secolo.
Tornato in patria, con il favore dei reggenti dei Paesi Bassi, Alberto e Isabella, si dedicò a una intensissima attività, fondando la sua famosa casa-bottega dove creò, valendosi della collaborazione di numerosi aiuti (fra i quali anche artisti di primo piano come A. Van Dyck) un numero impressionante di opere. Del 1609 sono Sansone e Dalila, l’Adorazione dei Magi e l’Annunciazione dipinta per i gesuiti di Anversa. Nel 1620-25 fu impegnato in due importanti imprese: le pitture per la chiesa dei Gesuiti ad Anversa e il ciclo delle allegorie della vita di Maria de’ Medici regina di Francia, che segnano uno dei vertici dell’arte di Rubens per fantasia inventiva e splendore di realizzazione. In un continuo intreccio di attività artistica e missioni diplomatiche, che lo condussero fra l’altro in Olanda nel 1627, a Madrid tra il 1628 e il ’29 e subito dopo, per quasi un anno, alla corte di Carlo l d’Inghilterra, Rubens alternò grandi pale di soggetto religioso a opere di soggetto mitologico e allegorico, splendidi ritratti e paesaggi: Paesaggio con Filemone e Bauci (1630 ca), Paesaggio autunnale col castello di Steen (1635) nei quali la descrizione minuziosa si solennizza in un forte sentimento della natura. Dopo i due viaggi in Spagna e in Inghilterra (1628-30) l’arte di Rubens progredì ulteriormente verso una stesura più calda e intrisa di luce, evoluzione da collegarsi all’influenza delle opere di Tiziano viste a Madrid.
Como, febbraio 2010
RUBENS E I FIAMMINGHI
Como, Villa Olmo (via Cantoni 1)
27 marzo – 25 luglio 2010
Orari: martedì, mercoledì e giovedì 9.00-20.00
venerdì, sabato e domenica 9.00-22.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)
lunedì chiuso
Biglietti: Intero: 9 €
Ridotto: 7 € – da 6 a 16 anni, over 65, studenti, gruppi minimo 20 persone
Gruppi scolastici: 5 € – min. 20 persone
Gratuito: bambini fino a 6 anni, accompagnatori di gruppo, disabili con accompagnatore
On line: www.ticketone.it