Uno sguardo sui numeri della pandemia
In meno di nove mesi sono morte quasi 45000 persone. Ecco perché il Covid fa paura
Stefano Quarta
Una materia strettamente legata all’economia è la statistica. Non a caso già al primo anno di un corso di laurea c’è un esame di statistica. Il perché è presto detto: la teoria economica deve essere in qualche modo verificata. In questo articolo voglio affrontare il tema più caldo, l’epidemia! Ovviamente non dal punto di vista medico, bensì statistico.
Siamo ormai abituati ad essere giornalmente informati sui nuovi contagi, ma quello che non si vede quasi mai è un approfondimento della situazione attuale veramente baso sui dati. Col DPCM del 3 novembre abbiamo iniziato a “vedere” l’Italia in base ai colori delle regioni. Tuttavia quei colori, non solo sono spesso criticati, ma sono anche frutto di valutazioni a volte soggettive, o quantomeno qualitative. Iniziamo col vedere i famosi 21 indicatori che il CTS (Comitato Tecnico Scientifico) adotta ormai da mesi:
1.Numero di casi sintomatici notificati per mese in cui è indicata la data inizio dei sintomi, sul totale di casi sintomatici notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo.
2.Numero di casi notificati per mese con storia di ricovero in ospedale, in reparti diversi dalla terapia intensiva, in cui è indicata la data di ricovero, sul totale di casi con storia di ricovero in ospedale, in reparti diversi dalla terapia intensiva, notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo.
3.Numero di casi notificati per mese con storia di trasferimento/ricovero in reparto di terapia intensiva in cui è indicata la data di trasferimento o ricovero in terapia intensiva, sul totale di casi con storia di trasferimento/ricovero in terapia intensiva notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo.
4.Numero di casi notificati per mese in cui è riportato il comune di domicilio o residenza, sul totale di casi notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo.
5.Numero di checklist somministrate settimanalmente a strutture residenziali sociosanitarie (opzionale).
6.Numero di strutture residenziali sociosanitarie rispondenti alla checklist settimanalmente con almeno una criticità riscontrata (opzionale).
7.Percentuale di tamponi positivi, escludendo per quanto possibile tutte le attività di screening e il “re-testing” degli stessi soggetti, complessivamente e per macro-setting (territoriale, pronto soccorso/ospedale, altro) per mese.
8.Tempo tra data inizio sintomi e data di diagnosi.
9.Tempo tra data inizio sintomi e data di isolamento (opzionale).
10.Numero, tipologia di figure professionali e tempo, sul totale delle persone dedicate in ciascun servizio territoriale al contact-tracing.
11.Numero, tipologia di figure professionali e tempo, sul totale di persone dedicate in ciascun servizio territoriale alle attività di prelievo/invio ai laboratori di riferimento e monitoraggio dei contatti stretti e dei casi posti rispettivamente in quarantena e isolamento.
12.Numero di casi confermati di infezione nella regione per cui sia stata effettuata regolare indagine epidemiologica con ricerca dei contatti stretti, sul totale di nuovi casi di infezione confermati.
13.Numero di casi riportati alla Protezione civile negli ultimi 14 giorni.
14.Rt calcolato sulla base della sorveglianza integrata ISS (si utilizzeranno due indicatori, basati su data inizio sintomi e data di ospedalizzazione).
15.Numero di casi riportati alla sorveglianza sentinella Covid-net per settimana (opzionale).
16.Numero di casi per data diagnosi e per data inizio sintomi riportati alla sorveglianza integrata Covid per giorno.
17.Numero di nuovi focolai di trasmissione (2 o più casi epidemiologicamente collegati tra loro o un aumento inatteso nel numero di casi in un tempo e luogo definito).
18.Numero di nuovi casi di infezione confermata da SARS-CoV-2 per regione non associati a catene di trasmissione note.
19.Numero di accessi al pronto soccorso con classificazione ICD-9 compatibile con quadri sindromici riconducibili a Covid-19 (opzionale)
20.Tasso di occupazione dei posti letto totali di terapia intensiva (codice 49) per pazienti Covid.
21.Tasso di occupazione dei posti letto totali di area medica per pazienti Covid.
Se avete scorso velocemente la lista, leggendo qua e là, siete più che giustificati. Infatti, iniziamo col dire che in statistica “di più, non è necessariamente meglio”. Esiste la cosiddetta rilevanza delle variabili, per cui una variabile (o indicatore) può essere usato solo se aggiunge informazioni in maniera rilevante. Esistono dei test che ne calcolano l’impatto, giungendo ad una sorta di voto, utile a capire se quella variabile vada inserita oppure no. Nel nostro caso, esistono 2 problemi principali:
I. Troppi indicatori possono compensarsi tra loro. Cioè, è difficile che una regione abbia tutti indicatori negativi. Ciò che accade è che ogni regione ha alcuni indicatori in cui “va bene” e altri in cui “è critica”. In questi casi si finisce sempre per considerare solo gli indicatori veramente rilevanti. Ma allora perché avere così tanti indicatori?
II. …perché in una situazione non critica, come quella di quest’estate, si ha tutto il tempo per analizzare ogni aspetto del problema. Si può vedere l’efficacia e l’efficienza del tracciamento dei contatti. Si può badare a quanto personale sia impiegato in ogni attività. Ma sotto pressione (cioè da settembre) occorre essere veloci. È accettabile perdere un po’ di precisione, se in cambio il giudizio è veloce e sempre aggiornato. Questi indicatori, invece, si riferiscono a dati consolidati…in altre parole vecchi. Non può esserci un aggiornamento settimanale dei colori delle regioni se si usano dati mensili. È come voler sparare ad una mosca.
In fin dei conti perché attuare tutte queste misure restrittive? Cioè, perché il Covid fa tanta paura? Semplicemente perché ha un tasso di mortalità non così basso. Perciò il dato più importante da considerare è sicuramente il numero di morti. Ovviamente, qualunque dato va sempre rapportato alla popolazione, perché è chiaro che in Lombardia ci saranno sempre più casi che in Valle d’Aosta. Considerando il numero di morti per milione di abitanti abbiamo già l’impatto dell’epidemia sul territorio. Questo perché se la stratificazione demografica è tutto sommato simile nelle varie regioni, l’impatto della malattia sarà più o meno lo stesso ovunque. Quindi il contagio può produrre sintomi oppure no, può avvenire in famiglia oppure in luoghi pubblici, può essere preventivamente rintracciato dalla ASL oppure essere scoperto “per caso”, ma alla fine il tasso di mortalità della malattia è fisso. Quindi più morti equivalgono tendenzialmente a più contagi. Questo è il rasoio di Occam che, tra più ipotesi per la risoluzione di un problema, esorta a scegliere, a parità di risultati, quella più semplice. E allora ecco in Tabella 1 il numero dei morti medi per regione. Tutte le medie, in questo articolo, sono calcolate sui giorni dal 07/11/2020 al 13/11/2020.
I dati sulla mortalità ci restituiscono un quadro solo parzialmente compatibile con le decisioni prese. Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia e Provincia di Bolzano non potevano che essere “rosse”. Così come le preoccupazioni per Liguria e Toscana non erano infondate. Ma vediamo che le due regioni da subito “arancioni”, Puglia e Sicilia, in realtà si trovano in una condizione migliore rispetto ad altre regioni considerate tuttora “gialle”. Il caso della Calabria evidenzia, invece, la componente qualitativa del giudizio del CTS e del governo. Pur avendo un bassissimo numero di morti, è da subito inquadrata come regione “rossa”. Il motivo risiede nella preoccupazione sulla capacità del sistema sanitario calabrese di affrontare un inasprirsi dell’epidemia. In altre parole si tratta di una decisione precauzionale, preventiva (fondata anche sulle dichiarazioni recenti di alcuni suoi responsabili). Considerazioni analoghe sono state fatte per altre regioni, come Puglia e Sicilia. Ma rimanendo sui numeri, proviamo ad ampliare lo sguardo verso il tasso di occupazione delle terapie intensive e sub-intensive (malattie infettive, pneumologia e medicina generale; Tabella 2).
Anche in questo caso la classifica delle regioni è abbastanza simile, al netto di qualche scalata di posizioni, come per l’Umbria, che presenta una situazione molto critica. Si consideri che una terapia intensiva piena al 40% si traduce in una notevole difficoltà operativa. Oltre il 50% la situazione è già critica. La situazione negli ospedali, però, dipende non solo dalla diffusione del virus, ma anche dal numero di posti disponibili (Figura 1).
Vediamo ora, in Tabella 3, la media dei contagi giornalieri, il famoso Rt, i tamponi fatti e la relativa percentuale di positività.
Innanzitutto occorre spiegare l’importanza di Rt. Mentre tutti gli altri indicatori mostrano una fotografia in un determinato momento (in questo caso gli ultimi 7 giorni), Rt mostra l’accelerazione dell’epidemia. Immaginate di guidare un’automobile. Rt pari a 1 vuol dire mantenere la velocità costante. Rt minore di 1 vuol dire decelerare. Rt maggiore di 1, ovviamente, equivale ad accelerare. Pertanto, maggiore è l’indice Rt, maggiore sarà la crescita dei nuovi casi rispetto ai nuovi casi del periodo precedente. In questa analisi, il confronto è tra i nuovi casi degli ultimi 7 giorni e i nuovi casi dei 7 giorni antecedenti. Vediamo come questo indice restituisca un’accelerazione, quindi una prospettiva di crescita dei casi, minore in alcune delle regioni “rosse” o “arancioni”. Quindi ci sono regioni in cui l’epidemia ha già avuto la sua esplosione ed ora sta rallentando. Altre regioni si trovano, invece, in una fase più acuta di diffusione del virus. In generale, si noti che l’indice Rt è pressoché sempre maggiore di 1. Infine, vorrei affrontare brevemente il capitolo relativo ai tamponi. Consideriamo l’Umbria e la Lombardia, in cui l’elevato numero di contagi rilevati può essere spiegato dall’elevato numero di tamponi effettuati. Nelle Marche e in Basilicata, invece, potrebbero riscontrarsi pochi contagi perché si fanno pochi tamponi. Come possiamo validare tale conclusione? Grazie alla percentuale di tamponi positivi. Questo dato ci dice con che probabilità si può incontrare un positivo nel momento in cui si effettua il tampone. Più alto è il numero di positivi in circolazione, più alta sarà la probabilità di incontrarne uno. Quindi, Umbria e Lombardia effettuano un numero di tamponi pro-capite simile, hanno entrambi molti casi positivi, ma in Lombardia la percentuale di tamponi positivi è molto più alta che in Umbria. Se ne deduce una maggiore diffusione del virus in Lombardia. Allo stesso modo, tra Marche e Basilicata, la prima presenta una situazione decisamente più grave.
Abbiamo finora analizzato solo 7 indicatori, contro i 21 utilizzati dal CTS eppure, vedendoli tutti insieme, ne risulta solo una gran confusione. Come detto in apertura, ci sono casi controversi. Il Veneto, ad esempio, ha abbastanza nuovi positivi, un Rt alto (quindi la diffusione del virus accelera molto) ed effettua un numero medio di tamponi con un tasso di positività elevato. Tuttavia, negli ospedali ha ancora molti posti letto liberi ed ha una bassa mortalità. Al contrario, in Toscana, nonostante si facciano molti tamponi, la percentuale di tamponi positivi è bassa e l’indice Rt è prossimo all’unità. Tuttavia, qui le terapie intensive sono “piene” e la mortalità è alta.
Tornando invece al problema numero II di cui sopra, abbiamo detto che l’utilizzo di dati mensili fa si che le scelte arrivino, per così dire, in ritardo. In Figura 2 possiamo vedere l’andamento dell’indice Rt da inizio settembre ad oggi.
È evidente che, al netto di episodici valori estremi (tipici delle regioni molto piccole), tutte le regioni seguono più o meno l’andamento dell’indice Rt riferito all’Italia nel suo complesso (linea nera tratteggiata). In arancione possiamo vedere la Puglia. Cosa ci dice questo grafico? Che in estate viaggiavamo a velocità costante (300-500 casi al giorno), a fine settembre l’epidemia ha iniziato ad accelerare sempre più fino a metà ottobre. Da quel momento, pur accelerando, lo ha fatto con sempre minor vigore. Ricordiamo che valori maggiori di 1 indicano comunque un’accelerazione nei contagi. Se questo trend continuerà, fra un paio di settimane l’indice sarà minore di 1, cioè inizieremo a vedere una decelerazione dei contagi giornalieri. Tuttavia, un ultimo aspetto da considerare è l’equilibrio nella diffusione di un’epidemia. Esistono i cosiddetti modelli evolutivi, che nascono in biologia, ma spesso si applicano anche in altri ambiti, come quello economico. Il concetto sottostante questi modelli è che, individuate due (o più) specie, legate ad esempio da un vincolo di predazione (o entrambe predatori delle stesse prede, o l’una preda dell’altra), la numerosità delle due specie ha un valore di equilibrio. Poniamo che su di un’isola ci siano solo volpi e conigli. I conigli mangiano erba, le volpi mangiano i conigli. Se le volpi mangiassero quasi tutti i conigli, in seguito molte volpi morirebbero di fame per carenza di prede. Se invece per una malattia le volpi diminuissero, i conigli avrebbero vita facile e si moltiplicherebbero, aumentando di numero e divenendo una preda più abbondante, quindi più facile da cacciare, facendo si che le volpi ben nutrite ri-aumentassero. E così via. Esiste cioè un equilibrio tra le due specie. Questo equilibrio è l’ecosistema. Modificando l’ecosistema, si modifica l’equilibrio preesistente. Se ad esempio introducessimo nell’isola un predatore della volpe, queste si ridurrebbero e i conigli aumenterebbero. Bene, noi siamo i conigli; il virus corrisponde alle volpi; mentre mascherine, distanziamento, cure e vaccini sono i nuovi predatori delle volpi.
Il decreto del 3 novembre è arrivato in un momento in cui l’indice Rt stava già calando. Forse senza le misure adottate, avremmo raggiunto un livello stabile di 60 mila contagi al giorno o più. Tuttavia, il nostro obiettivo deve essere quello di rendere il virus il più innocuo possibile. Per questo non potremo fare a meno di nuove cure e vaccini. In futuro questo virus potrebbe far parte del cocktail influenzale stagionale e, con adeguate cure, riusciremo a non preoccuparci più di lui, come già successo per tante malattie del passato. Per il momento, in meno di 9 mesi sono morte quasi 45 mila persone. Secondo i dati Istat più recenti, nel 2017 in Italia sono morte complessivamente 650.614 persone, di cui solo 663 per l’influenza stagionale (a fronte di milioni di contagiati). Questo dato fu ampiamente distorto a marzo, nell’idea di tranquillizzare la gente. È difficile stimare il numero di vittime che raggiungeremo al compimento dell’anno dalla prima vittima Covid però, per fare un confronto, il tumore che nel 2017 ha fatto più vittime è quello della trachea, dei bronchi e dei polmoni con 33.904 vittime; mentre, tutte le malattie del sistema respiratorio contano complessivamente 53.372 vittime.
Ancora una volta, prudenza! E siate indulgenti con i tecnici del CTS che, come voi dopo la lettura di questo articolo, avranno sicuramente un mal di testa cronico dovendo trattare ogni giorno questa marea di dati.