Dipingendo (in jeans) la Sardegna
LUIGI DE GIOVANNI
Dipingendo (in jeans) la Sardegna
Luigi De Giovanni alla Bacheca di Cagliari: l’anima di un ex sessantottino racconta la selvaggia Barbagia di Seulo e la fine dell’utopia
di MAURO MANUNZA
Dal raffinato barocco del Salento al naturale espressionismo della Barbagia di Seulo il passo non è breve. Soprattutto per Luigi De Giovanni, pittore che ama i ricchi ornati della sua terra natale, che dipinge preferibilmente i selvaggi angoli del centro Sardegna e che si rifiuta di salire in aereo: ragion per cui, i periodici trasferimenti tra le dolci alture pugliesi e i ripidi tacchi del meridione barbaricino si trasformano in avventura comunque irrinunciabile.
Da quanti anni sia diventato sardo, l’artista neppure si ricorda. La doppia cittadinanza è sua misura di vita, esattamente come la sovrapposizione dell’esprimersi artistico. Nato popista, si è via via inoltrato nelle trasparenze dell’atmosfera naturale, superando poi le strutture formali per evocare immagini e sensazioni attraverso coloratissime aggregazioni astratte. Si direbbe un tormentato percorso accademico-spirituale, una coerente maturazione di ricerca, se non fosse che tanto pendolarismo pittorico si rivela infine di natura circolare. Tutto infatti continua a convivere, replicandosi senza ripensamenti né abbandoni: i jeans incollati, le geometrie disarticolate, i colori cupi e il segno rabbioso, le rappresentazioni idealizzate, le allegrie cromatiche di fiori, gli alberi primaverili, gli inni alla natura, la disgregazione di equilibri cromatici, le macchie informi che negano la figura. Nato anarchico, De Giovanni se ne andrà testardamente anarchico.
Le apparenti contraddizioni di un artista così particolare sono ora in mostra alla Bacheca di Cagliari. La parte preponderante dell’allestimento (tutte opere di quest’anno, esposte sino alla fine di dicembre) è un omaggio alla spettacolare natura seulese: paesaggi ricchi di fitta vegetazione, grovigli di rami e foglie, vallate incorniciate da creste inaccessibili, pareti che precipitano nel verde, improvvisi bagliori di torrenti e cascate, rocce, antichi lecci, ciliegi in fiore, robusti noci, ombre e luci, frastagliati orizzonti che fra cielo e terra si combattono con delicate sfumature e violente tonalità. Chi va per trekking lungo le andalas di quel paradiso quasi inesplorato può riconoscere scorci di Perdabila, Taccorì, Perdaxinonpesada; e Genn ‘e Serra, dov’è la casa di Giorgio e Maria, il nido d’infanzia di Federica che è moglie del pittore.
Luigi e Federica vivono a Cagliari, ma dividono l’anno spostandosi tra Specchia, Seulo, il capoluogo sardo e i luoghi di allestimento delle mostre. Paesaggi verdi, alberi e cieli nascono barbaricini, mentre i fiori sono “nature vive” che si fanno ritrarre nella città vecchia, rione Villanova. I fiori di De Giovanni sono una continua esplosione di colori vibranti e rifrazioni solari; e sono anche un bignamino di correnti artistiche, offrendo passi che variano dal naturalismo all’impressionismo, dall’espressionismo all’astrattismo, a seconda dell’occasionale tensione dell’autore.
Tensione mai attenuata, sebbene delusa nel correre degli anni. De Giovanni era convinto sessantottino e tale un po’ è rimasto nel profondo. I suoi progetti di scenografia teatrale, quattro decenni fa, sono scuri. L’adesione al pop lo converte alla pittoscultura, perciò strappa pantaloni jeans e li trasforma in quadri materici visionari, animati di colori cupi e di parole che gridano malumore sociale: morte, distruzione, sos, caos, aiuto! Le sue “urla nel buio” denunciano la caduta delle speranze, la fine dell’utopia. Tanti giovani hanno urlato assieme a lui, poi la rabbia si è attenuata, l’epopea della contestazione si è disciolta nei mille rivoli della rassegnazione, dell’ottimismo, dell’adeguamento e dell’opportunità. Anche De Giovanni è cresciuto incontrando svolte positive, ma non ha abbandonato la protesta: ecco i jeans lacerati, incollati al telaio, spennellati e accomunati da due costanti: l’ossessiva scritta “68” e una selva di scale a pioli. Sono le scale dell’arrampicamento sociale di chi, secondo lui, ha “tradito” quella spinta giovanile. Però, a distanza di tanti anni, anche le scale dipinte da De Giovanni sono inserite in ambiente di soffice luce, forse segnale di chiarimento.
(fonte: pubblicato su L’Unione Sarda, 13 dicembre 2010)