Il monastero cistercense di Martano
Luoghi del Salento/ LA CASA SORGENTE
Il Monastero Cistercense di Martano
di Antonietta Fulvio
Immerso nella campagna salentina, nel cuore della Grecìa, all’ombra di palme e ulivi secolari sorge ad un chilometro da Martano, sulla via per Borgagne, il Monastero di Santa Maria della Consolazione, affidato alle cure dei Monaci Cistercensi. Un luogo, una bella e lunga storia da riscoprire e raccontare. Nato probabilmente sui resti di un antico cenobio italo-greco, in quella zona fino al 1686 vi erano tre eremi, poco distanti tra loro, quello di S. Maria della Consolazione, in contrada Liori, e quelli dedicati a San Biagio e a San Giorgio nella contrada della Masseria delle Sinobie; la loro presenza testimoniava una fiorente attività monastica e un intenso culto mariano nel segno di una vita di fede, lavoro e cultura. Lo documenta con i suoi scritti, tra cronaca e storia, Padre Placido Caputo nel suo ultimo manoscritto Il monastero di S. Maria della Consolazione in Martano, dato alle stampe dopo la sua improvvisa e prematura scomparsa. E che questo sia un luogo speciale lo si intuisce subito, basta soffermare lo sguardo. L’aspetto non è imponente, ma semplice e lineare, sembra quasi un’oasi, a metà tra il verde della vegetazione e l’azzurro del cielo e nel silenzio, che fa riecheggiare i passi, la sola visione suggerisce l’intrinseca e profonda spiritualità. Probabilmente, basta già questo primo impatto visivo per capire la predilezione per questo luogo di lavoro e di preghiera, la scelta di abitarlo. Qui lo storico Michele Paone vi trascorse gli ultimi giorni della sua vita, raccontò – in una guida poi data postuma alle stampe – il fascino e la bellezza del Monastero di Santa Maria della Consolazione abitandolo, respirando l’aria del suo chiostro, passeggiando tra gli alberi di magnolia e le orchidee del giardino, guardando zampillare l’acqua della fontana progettata da Padre Girolamo Carrano, lasciandosi stordire tra i profumi degli incensi e delle essenze, osservando i tanti tesori d’arte qui custoditi.
“Un centro operoso di spiritualità e cultura, un attivo esempio di vita associata che funziona al servizio del prossimo, una fervida scuola di perfezione religiosa che esalta tutto ciò che è naturalmente cristiano, un raccolto asilo sereno e tranquillo nel quale si spengono i rumori del mondo e ha corso soltanto l’aureo precetto benedettino ‘ora et labora’, che è poi il segreto di ogni vita autenticamente cristiana”. Così scriveva Michele Paone. E come non condividere ogni singola frase? Il Monastero è una deliziosa scoperta, le sue pietre sono intrise di storia che si intreccia con quella degli Alcantarini ai quali si deve la rigorosa linearità del prospetto della Chiesa, edificata lì dove sorgeva la veneratissima cappella della “Madonna di Liori”, con le pietre delle due chiese eremitiche fatiscenti, S. Biagio e S. Giorgio, su progetto dell’architetto Oronzo Trevisi da Campi, formatosi nel cantiere di Giuseppe Zimbalo, per il quale aveva lavorato al piano superiore del campanile di Lecce.
E basta entrare nella Chiesa per ammirare l’influenza dello Zimbalo, il maggior artefice del barocco leccese, nell’opera di Mastro Trevisi . Questi concepì tre navate sull’altare maggiore e tra un tripudio di santi e angeli scolpiti nella morbida pietra leccese, lì vi incastonò l’affresco quattrocentesco della Vergine della Consolazione. A destra ricavò tre altari firmando quello di San Pasquale Baylon con la scritta “Orontius sculpivi” e datando “19 8bre 1691” quello dedicato a Sant’Antonio da Padova. Dichiarato guardiania nel 1693, il Convento non fu risparmiato dagli eventi della Storia che vide nel 1810 la soppressione degli istituti religiosi e l’abbandono dei monaci che però riuscirono a riaprirlo nel 1816, quando all’indomani della restaurazione, il decreto regio di Ferdinando IV di Borbone li reintegrava in Martano. A quel periodo risale la pavimentazione maiolicata di fattura napoletana, formelle quadrate policrome con motivi floreali e geometrici in 22 tipi diversi, recentemente restaurata, e nuovi arredi tra cui la pala d’altare raffigurante l’Immacolata Concezione di Giuseppe Romano (1857). Chiuso nel 1881 anche il Convento di Martano ha conosciuto l’incuria e la decadenza, passando da luogo di cultura a deposito per paglia e legna, a ricovero per colerosi e vaiolosi, per ritornare ai frati francescani nel 1907, grazie alla generosità di due gentiluomini di Martano, Angelo Comi e Cosimo Marcucci. Il convento fu nuovamente restaurato e valorizzato con la costruzione del campanile a torretta che sostituì quello a vela: le cappelle furono arricchite con e le statue in cartapesta di Sant’Antonio da Padova, Cristo Morto, San Francesco d’Assisi e San Luciano firmate da Giuseppe Manzo e Salvatore Saquegna e il ritorno della statua di Pasquale di Baylon, che era stata trasferita nella Chiesa leccese del Rosario.
Chiuso nel 1921, il convento passò poi ai Cistercensi di Casamari il 21 marzo 1926, dando avvio a quel processo di trasformazione con opere edilizie e apporti strumentali che – scriveva Paone – “hanno migliorato la dimensione sostanziale e lo spessore spirituale dell’antico convento”. Al suo interno una ricca Pinacoteca con annesso Museo, intitolato al pittore gallipolino Giulio Pagliano, (1882-1932) con opere appunto del Pagliano ma anche di maestri meridionali vissuti tra Ottocento e Novecento tra i quali Toma, Palizzi Altamura, Casciaro, Ciardo, Flora, Chetry, Serio, Michele e Mario Palumbo, Caputo, Buscicchio, Ammassari e Scupola. Nel Museo invece fanno bella mostra le preziose porcellane austriache e tedesche, i cristalli di Boemia, le ceramiche napoletane provenienti da Capodimonte, e quelle di manifattura pugliese e abruzzese; e ancora ventagli e bronzi e una serie di medaglie commemorative e di devozione e una piccola raccolta di monete borboniche (1735-1859).
Per tutti gli appassionati di storia, ricercatori e studiosi, d’obbligo è la visita alla Biblioteca del Convento ricostituita da Padre Mauro Cassoni che si adoperò per dotarla di opere rare e pregiate e alla cui memoria nel 1990 è stata titolata. Il primo nucleo del fondo librario fu formato dalla donazione del Barone Comi, si è arricchita nel tempo con lasciti di benefattori e donazioni da parte di alcuni studiosi, tra i quali lo storico Michele Paone e il professore Mario Marti, già Rettore dell’Università di Lecce. Sono consultabili opere bibliche, teologiche, filosofiche, giuridiche, storiche e letterarie; di notevole interesse è la sezione riferita alle ricerche sul Salento, in materia linguistica, e alla storia locale di valenti autori tra i quali lo stesso Padre Mauro Cassoni, insigne storiografo del Monastero.
Se è estasiante la passeggiata nel chiostro, dove su alcuni pannelli sono esposte, perfettamente catalogate e illustrate, le erbe medicinali che si raccolgono nel territorio, da non perdere è la visita al presepe permanente, allestito con una particolare scenografia impreziosita da sorprendenti effetti luminosi e sonori. E, dulcis in fundo, una sosta alla liquoreria dove è possibile acquistare i distillati di essenze naturali, lavorati e imbottigliati secondo la tradizione monastica nel laboratorio del convento e diverse tisane, a base di infusi di erbe spontanee del territorio, e ancora miele, pappa reale, caramelle e cioccolato, prodotti dai Cistercensi delle Abbazie di Valvisciolo, Casamari e dai trappisti delle Frattocchie. In perfetta linea con lo spirito della regola, il Convento è una casa aperta all’accoglienza e all’ospitalità, luogo di silenzio e meditazione, una sorgente di bellezza e di pace dove quietare la mente e lo spirito così come ci si può dissetare alla sorgente di acqua minerale che spontaneamente sgorga davanti al monastero.
(pubblicato sul quotidiano “Il Paese Nuovo”, domenica 13 febbraio 2011)