ULTIMO TANGO A PARIGI. Le persecuzioni dell’Arte

 

ULTIMO TANGO A PARIGI

LE PERSECUZIONI DELL’ARTE

di Giulia Salis

 

 

 

“Quo vadis,baby?” è l’ammonimento di un Brando con la testa di Paolo VI e le mani di Andreotti alla neonata pellicola d’autore, desiderosa di attenzione. Un ammonimento a non varcare la soglia, non vedere la luce, a rimanere ignota nell’ignoto, come la bella Jeanne agli occhi di Paul. Una morbosità, un accanimento viscerale infiammano le istituzioni italiane, riunitesi in una nuova Santa Inquisizione  contro Bertolucci e il suo film, giudicato sovversivo e violatore dei più alti principi del Governo e della Chiesa, e per questo meritevole di condanna.

Fu così che, dopo ripetuti avvisi e indici puntati contro, ignorati sistematicamente dal regista in nome dell’Amore per l’Arte, ebbe inizio la schiavitù biblica di  Ultimo tango a Parigi.

Nonostante il successo della gran première tenutasi a New York, nonché l’acclamazione ricevuta alle prime rappresentazioni di tutta Europa, il capolavoro di Bertolucci fece tremare il  Bel Paese. Non si è più nella plaudente America desiderosa di onestà negli ultimi mesi dell’incubo Nixon. Non si è neppure in quell’Europa occidentale del boom economico, rialzatasi liberale e individualista dopo la crisi post-bellica. Si è in Italia, culla e trono della cristianità, luogo in cui il focolare domestico era ancora alimentato dall’enciclica papale dei  Casti connubii e dagli schieramenti patriarcali e antidivorzisti del partito democristiano.

Risulta quindi evidente perché, agli occhi di chi comanda e controlla, la pellicola risultò pericolosa in quanto capace di calzare perfettamente il ruolo di film-denuncia della grettezza e ipocrisia della società, e di conseguenza di avere un potenziale di convincimento dell’opinione pubblica che rendeva possibile il cambiamento dell’ordine stabilito.

Il primo ad anticipare le potenzialità della pellicola fu un giornalista inviato oltremare, che vide Ultimo tango all’anteprima mondiale di New York. Egli, sebbene teneramente speranzoso, scrisse profeticamente che “Quando fra poche settimane Ultimo tango a Parigi verrà in Italia… diremo con più espiro i pregi stilistici di quest’opera senza eguali…Sin d’ora è però da richiamare l’attenzione sulla ricca sostanza artistica del soggetto, anche per sgombrare subito il campo dei sospetti e delle accuse che il crudo erotismo di certe scene può suscitare in Italia dove da troppe parti tornano a levarsi col pretesto della lotta contro l’osceno, paurosi inviti alla repressione”. (1)

La storia diede ragione ai suoi timori. “C’era nell’aria una sorta di campo magnetico culturale, fatto di convinzioni profonde e quasi obbligate . Erano patrimonio di massa, ma anche le élite si compiacevano di condividerle e di rilanciarle. Appena certe parole chiave venivano dette o scritte, quel campo magnetico dettava dentro immagini, opinioni, idee. In questo clima uscì Ultimo tango. E fu proprio il film di Bertolucci a pagare per quella atmosfera, per quello “spirito del tempo”. (2)

 

In un’Italia fortemente cattolica la nudità, le scene esplicite di sesso annesse a battute erotiche, non erano ammissibili in un film visibile dai cristiani membri delle famiglie italiane, e poteva rientrare nei limiti “dell’accettabilità” solo se ufficialmente bollato come appartenente al genere pornografico.

In tal modo, le istituzioni italiane toglievano voce al verbo predicato da Bertolucci, lo privavano della credibilità e della dignità, lo relegavano a diletto perverso, lo spogliavano della sua poesia, della sua filosofia, della sua logica.

Oltre propriamente al nudismo e all’erotismo frequentemente presenti nella pellicola, la bomba a orologeria era il suo vero contenuto, la sua critica alla modernità e alla tradizione, come il forte tema dell’adulterio, del suicidio, della volontà di annullamento e dell’anonimato. Vi sono ancora il concetto di nichilismo, di “matrimonio pop”, il puerile richiamo al ritorno alla natura e alla semplicità della vita, e soprattutto l’eretica filastrocca contro la santa istituzione della famiglia cristiana, recitata con dolore dai due protagonisti durante un rapporto di sodomia.

I pastori delle anime del potere sacrale e temporale considerarono ciò un oltraggio, e pieni d’ira puntarono il dito sulla pellicola diabolica. Quegli indici tremanti e iracondi nascondevano in realtà la paura: paura di instabilità, di perdita del controllo; paura della reazione del popolo alla lettura di quel messaggio sovversivo in un periodo in cui iniziavano a scontrarsi nuovi e vecchi ideali, e si cominciava a sentire la puzza del cambiamento, della rottura.

 

La nuova pellicola quindi, così come le nuove ideologie che bisbigliavano sinuose nelle città, divenne agli occhi della Chiesa un pericoloso nuovo pastore in grado di condurre le anime in nuovi luoghi. “Le sue sequenze più toccanti sono appunto quelle in cui l’ansia di afferrare le anime attraverso la carne esplodono con inusitata violenza.” (3)

Per tale motivo, come è destino dei predicatori e dei suoi seguaci, diventò prioritario per il nuovo Sacro Romano Impero eliminare le devianze e gli istigatori, mantenere l’ordine e il controllo. Così come fu per i primi cristiani, Ultimo Tango a Parigi, potè vivere e rifugiarsi solo nel buio delle nuove necropoli: le cineteche.

 

Il lungo calvario del prodotto di Bertolucci è però da ricondurre principalmente a un avvenimento. Il film ebbe infatti “una prima sortita nazionale nella eroica Porretta Terme del Festival del Cinema Libero, piccola gloriosa enclave emiliana zavattiniana e progressista, nata 13 anni addietro, quando Venezia era nelle mani di un certo Lonero e l’Italia di un certo Tambroni. In data 30 ottobre 1972, la sezione I (presidente dr. di Majo) e la sezione VII (presidente dr. Mossarini) avevano espresso parere sfavorevole alla concessione del nulla osta di proiezione in pubblico, perché il regista Bertolucci Bernardo si era asserito spiacente di non poter assecondare una richiesta di “alleggerimento” di soli otto secondi.” (4) Quegli otto secondi prevedevano un particolare concentrato di tutti quei soprammenzionati motivi sgraditi dalle autorità.

 

A partire da quel momento, il film fu sottoposto a processo. Quest’ultimo, lunghissimo, fu ricco di tagli di teste, patimenti e dolori. Dolori che andarono dalla condanna per oltraggio al comune senso del pudore nel 1976, alla perdita, da parte di Bertolucci, dei diritti civili, alla condanna al rogo della pellicola. Tuttavia, in questa moderna Crociata contro gli infedeli, Ultimo tango non si trovò solo, poiché presto arrivarono i rinforzi. Infatti “le corazzate della guerra del Tango furono il Corriere della Sera, “il giornale della borghesia”, e l’Unità, “Il quotidiano del Partito Comunista Italiano”. Ma mentre l’impegno dei giornali della sinistra era antico ed “automatico”, lo sforzo del Corriere (e della Stampa, del Messaggero, ecc.) fu assolutamente inedito.” (5)

Pronti gli schieramenti “inizia un’altalena di gradi di giudizio che durerà un quindicennio, fino alla sentenza di non oscenità del 9 febbraio 1987. Sentenza che, si badi bene, non cancellerà quella della Cassazione del 29 gennaio 1976, il cosiddetto “rogo”, passata in giudicato e perciò indelebile, ma semplicemente la scavalcherà e raddoppierà.” (6)

In tanti anni l’opinione pubblica, il costume e il comune senso del pudore erano infatti cambiati e le immagini del film non rappresentavano più un pericolo o un oltraggio agli occhi dei nuovi magistrati, in un’ Italia di Craxi pronta a voltare pagina e far nascere una nuova Repubblica.

Il Paese stava mutando pelle, era diventato un posto in cui l’aborto e il divorzio erano leciti, e in questo clima di acculturazione sessuale avvenne la Pasqua di Ultimo Tango, la sua resurrezione.

Ben presto le condanne e le spedizioni punitive che portarono al rogo delle pellicole conseguirono l’effetto opposto, catalizzando l’attenzione su quell’introvabile opera tabù e “graalizzando” così la ricerca delle 4 mitiche pellicole superstiti.

 

Come un libro, che nell’arco diacronico di una vita, a ogni nuova lettura muta di significato, così anche questo film (e tutte le opere dell’uomo) cambia tono e colore nell’arco dei decenni e dei secoli della storia.

Le opere e i capolavori sono impronte fisse nello spazio. Invece è il pensiero umano, nostra più grande risorsa e unica essenza realmente in movimento, a rendere tali impronte cangianti e differenti nel tempo.

Dopo quindici anni è sparito quel Brando chimerico di cui si leggeva in principio,sono spariti quegli eruditi pronti ad accostare in modo quasi maniacale la finzione scenica con la realtà della vita, e i timorati di Dio ora lo temono diversamente, temono castighi per motivi diversi da allora.

“Oggi sono pochi quelli che alla leggerezza e alla superficialità del cinema davvero antepongono la pesantezza e la serietà della vita “vera”. Noi siamo cambiati, anche e soprattutto in questo. Abbiamo scoperto, o forse riscoperto il valore profondo dei verosimile, del “come se” cinematografico. Il cinema è oggi invaso da nuovi barbari, grandi e creativi come sempre i barbari. E anche entusiasti e innamorati: entusiasti della specificità cinematografica, innamorati della sua leggera superficialità.”  (7)

 

La incredibile storia di Ultimo tango a Parigi, come le parabole bibliche e le favole di Esopo, ha forse per noi contemporanei un ruolo educativo, costruttivo, edificante. Ci può insegnare che uno degli errori in cui incorre da sempre l’essere umano è quello dei pregiudizi e dei giudizi a priori, della condanna senza conoscenza, della xenofobia.Quante volte, esemplare è la stessa storia cristiana, le novità contemporanee vennero condannate e poi apprezzate nella loro bellezza soltanto a posteriori? La censura è l’oblio, è far ricadere nel nulla ciò che dal nulla era affiorato; è lo strumento della paura. La soluzione, rivelata inconsapevolmente dagli stessi Paul e Jeanne, è la fiducia nel presente, nell’essenza delle cose, nella natura. Crollano le impalcature. Resta la semplicità.

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

1 Giovanni Grazzini, Corriere della Sera 19 Ottobre 1972.

2 Roberto Escobar Un grande film quindici anni fa- Ultimo tango a Parigi , Cineforum n.262, Marzo 1987.

3Tatti Sanguineti Stazioni di Tango.

4 Ibi.

5 Ibi.

6 Ibi.

7 Roberto Escobar Un grande film quindici anni fa- Ultimo tango a Parigi, Cineforum  n.262, Marzo 1987.