Piero Panesi

Per alcuni c’ è un sempre da sospendere

nell`attimo della creazione.

 

di Francesco Pasca

La Magia del “fare” o “produrre” per chi s’accosta con coraggioso timore all’Arte può mai lasciarla all’oblio, sospesa? Ciò vale tanto per chi lascia, tanto per chi resta.

Antonio Mario Marzo, scrive: «Quando Piero Panesi muore, la sua terra e la sua epoca non ne vogliono sapere di lui. Eppure Piero non è veramente del suo tempo: è troppo giovane o troppo vecchio, come si preferisce …»

Chi ha fin qui scritto di Piero ha avuto doglianza per un’arte che muore giovane, che non può dare più altra speranza se non nel ricordo di un già dimenticato che è giovane.

Ma la Magia dapprima accennata, per chi s’è addentrato in quel coraggio-timore, perché costringerla a fermarsi, a trattenerla nel sé, dal momento che in essa è l’itinere di quella creazione?

Nell’interrogativo per un ossimoro è l’insolubile. L’insondabile piacere dell’innamoramento per fare Arte è l’indescrivibile racchiuso nel big bang di un puro atto d’amore, è la sua deflagrazione nell’affannoso andare per quel cosmo che, da quel momento, non ha mai vissuto, sarà l’osservazione dell’incantesimo attuato per la tempesta perfetta che tutto innalza e fonde nel piacere fra l’essere Artefice e Osservatore.

 Quella Magia non si può raccontare, né svelare nel già difficile atto che sarebbe il narrare. Descrivere può diventare solo il tentativo approssimato del traslarti con apparente piacere e attuarti in un effimero “stato in  luogo”.

Nell’immediatamente poi, l’altrui Magia, si trasformerebbe in repentino percorso intricato, in un “per” che, farà andare sì in un Luogo ma, non più ti consentirebbe la sua Poiesi, sarà altro.

L’itinere in un’Arte si allarga e si restringe con il battito del cuore del suo proprietario. Il tuo itinere di contro sarebbe invece soffiato, espulso via dal già consumato dai polmoni di un altro. Non è il tuo sangue. 

L’Arte-artificio, il pirotecnico esplodere in forme e colori, il creativo, non è più il tuo tangibile.

Il tuo osservare, il tuoi fare si sono altresì condotti alla materia colore che si è spenta nell’informe di quella mescolanza di colori che non è più luce.

Chi dipinge sa che mescolare i primari materia non dà il bianco, chi fa suono e ne fa vibrare il suo tono, sia esso rumore o parola, sa cos’è il vuoto; chi fa danza e disegna nel tempo il suo gesto sa dello spazio; chi compone ed accosta sa cos’è complementare.

Chi muore non più sa. Tocca ad altri conoscere, riconoscere.   

All’uomo tocca morire a volte per banalità e quella triste condizione del non più poter governare il proprio “luogo d’essere” può diventare anche Lutto nel mondo o Lutto in fazzoletti di mondo che appartengono a parti e ne contribuiscono nel genericamente Luogo detto per l’Uomo”.

Il Salento è stato in Luogo, il più turbolento e significativo da sempre; il Salento da sempre è stato “da tutti anche il dimenticato”. Ma il Salento è stato il costretto ad essere provincia e non LUOGO; il Salento ha costretto a fuggire per lavoro o per studiare-conoscere; il Salento. Per i tanti il Salento ha quel cuore espulso con il suo sangue e ha consumato l’energia per un altro.

Tanto più lontano è stato il suo cuore dal mondo tanto più Magia di Poiesi si stratificava. Il lavoro dell’oggi è cercare tra le linee di lettura dei livelli di quella memoria archeologica.

Ad Alessano oggi si scava ed affiorano i colori di Piero Panesi che hanno lasciato e sospeso il suo atto creativo. Di Panesi si è detto: “ … è un artista.” poi a rincalzarne l’affermazione, ma non a sostituirla s’è detto: “… anzi è un Maestro.”    

Paolo e Sergio Torsello hanno già segnato la biografia con i passaggi determinanti di quella sua breve presenza nel Luogo della Poiesi di un artista di luogo.

Come in ogni ricordo da sottolineare troviamo riconoscimenti, mostre, personaggi da lui incontrati per lavoro o per vicissitudini, sappiamo dei libri e delle città che ha amato, troviamo i suoi interessi, i suoi amori. Troviamo anche date come quelle della sua nascita avvenuta in Alessano, in un “lì”, del 29 di giugno 1959 ed ancora la data dell’abbandono, l’identico-diverso, un altro “li”, del 5 maggio 1990.

La lettura di quest’ultima somma di giorni ha un colore di terra secca per le lunghe esposizioni al nostro sole che l’ha rigenera in luce e ha ricordato altre terre, un po’ come quelle dei suoi rappresentati, quelli nel riscontrabile, quelli attesi nel sobrio, nel pacato di un autunno-primavera-estate.

Da osservatore, noto che, ha lasciato non ancora del tutto matura la sua Opera, che avrebbe potuto aggiungere altro al tant’altro, aggiungere, forse, un po’di rabbiosa esistenza costruttiva appena intravista nelle sue forme ancora sospese nel raccontarle.

Leggendolo si ascolta il mondo culturale pittorico che ha amato, si scorge per aver sapientemente digerito i maestri del novecento, Matisse, Mondrian, Morandi, Severini, Carrà, artisti questi, distanti fra loro ma da Panesi coniugati e resi amici uniti e comuni nel colore.  

Aggiungo: Mai nessuna morte o vita può essere mai considerata abbastanza o sufficientemente breve o lunga in un tempo la cui brevità o lunghezza è solo l’apparente di un infinito attimo da big bang.