Le Luci della Centrale Elettrica.A Lecce il cantante ferrarese Vasco Brondi
Sabato 19 agosto (ore 22 – ingresso 15 euro + 3 dp nel circuito BookingShow e su Do It Yourself) nell’Anfiteatro Romano di Lecce appuntamento con Le Luci della Centrale Elettrica. Il progetto del cantante ferrarese Vasco Brondi (foto Magliocchetti) approda nel Salento per una tappa del tour estivo di presentazione del suo quarto album “Terra“. Il concerto – organizzato da Coolclub e Molly Arts con il patrocinio del Comune di Lecce e con il sostegno di Dreher – è una data speciale del Sud Est Indipendente. Dopo la tre giorni di San Cataldo di Lecce – che dal 28 al 30 luglio ha ospitato, tra gli altri, Canova, Colombre, Giorgio Poi, Handlogic, Inude, Dj Vadim e l’inedito incontro tra La Municipàl e La Giovane Orchestra del Salento diretta da Claudio Prima – il festival, diretto da Cesare Liaci, propone alcuni “fuori programma”: Lo Stato Sociale e Baustelle (sabato 12 e domenica 13 agosto a Melpignano nell’ambito della collaborazione con il So What Festival), Mannarino (mercoledì 16 agosto al Parco Gondar di Gallipoli) e per chiudure Vasco Brondi che sul palco sarà affiancato da Marco Ulcigrai (chitarra), Matteo Bennici (basso), Giusto Correnti (batteria) e Angelo Trabace (tastiere).
Dopo Canzoni da spiaggia deturpata (2008), Per ora noi la chiameremo felicità (2010) e Costellazioni (2013), Terra – prodotto artisticamente da Vasco Brondi e Federico Dragogna e uscito nel marzo 2017 – contiene dieci brani inediti: A forma di fulmine, Qui, Coprifuoco, Nel profondo Veneto, Waltz degli scafisti, Iperconnessi, Chakra, Stelle Marine, Moscerini e Viaggi disorganizzati. Dieci canzoni, dieci storie narrate per immagini che fotografano il tempo in cui viviamo. Dieci trame per unico filo colorato, tessuto nel modo visionario e lucido che ha reso Vasco Brondi uno degli artisti italiani più riconosciuti e riconoscibili degli ultimi dieci anni, e che in Terra si dimostra capace di raccontare i cambiamenti culturali e sociali che hanno contraddistinto gli ultimi decenni attraverso una musica che sempre di più sposa l’attitudine cantautorale con i suoni e i ritmi del mondo. «Terra è un disco etnico – ha scritto Vasco Brondi – ma di un’etnia immaginaria o per meglio dire “nuova” che è quella italiana di adesso. Dove stanno assieme la musica balcanica e i tamburi africani, le melodie arabe e quelle popolari italiane, le distorsioni e i canti religiosi, storie di fughe e di ritorni». Il disco è uscito «a forma di libro. Dentro, oltre al disco, c’è il suo diario di lavorazione, si chiama “La grandiosa autostrada dei ripensamenti”, ed è un diario di viaggio e di divagazioni dell’anno e mezzo di scrittura e degli ultimi tre mesi di registrazioni in studio. È ambientato tra l’Adriatica e un’isola vulcanica, tra studi di registrazione seminterrati e paesi disabitati in alta montagna, tra la Pianura Padana, il Nord Africa e l’America». La copertina, che per i precedenti album era sempre stata affidata a dei grandi illustratori (Gipi, Andrea Bruno, Marco Cazzato e Gianluigi Toccafondo), questa volta è stata realizzata utilizzando una foto dell’opera di land art “Seven Magic Mountains” dell’artista svizzero Ugo Rondinone. «Dalla prima volta che ho visto quest’opera su internet, qualche mese fa ho capito che aveva a che fare con quello che stavo scrivendo. Si chiamano Seven Magic Mountains, sorgono nel deserto del Nevada, sono enormi e fosforescenti ma sono solo pietre accatastate l’una sull’altra. Fanno capire come gli esseri umani riescono a rendere spettacolare anche un deserto e contemporaneamente sono una metafora di Las Vegas, a mezz’ora di distanza, ovvero del niente luccicante. O della nostra terra, lo splendido deserto italiano visto con gli occhi di chi cerca di sbarcarci. È un’opera di Ugo Rondinone, un artista svizzero che vive a New York. La fotografia invece è di Gianfranco Gorgoni; originario di un paese che si chiama Bomba, in Abruzzo, si è poi trasferito a New York negli anni Sessanta ed è diventato tra le altre cose un’importante fotografo di Land Art, quando questa forma d’arte non aveva ancora un nome. Ho scoperto anche che era sul palco a Woodstock e sono sue le foto di Jimi Hendrix durante quel concerto e anche molti dei ritratti leggendari di Basquiat o di Keith Haring. Io avevo in casa una sua foto in cui c’erano uno accanto all’altro De Chirico ed Andy Wharol, due mondi distanti vicinissimi».
(fonte: comunicato stampa)