La favola de Zoza in scena al Paisiello
Lunedì 4 dicembre (ore 20.30 – ingresso 5 euro – ridotto 4 euro) al Teatro Paisiello di Lecce la Compagnia Diaghilev mette in scena La favola de Zoza. In scena l’attore e regista Paolo Panaro sarà affiancato da Angelo De Leonardis (baritono), Debora Del Giudice(clavicembalo) e Giuseppe Amatulli (violino). Lo spettacolo si ispira a Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile, il più antico libro di favole europee. La sua lingua, un coltissimo, fantasioso e spregiudicato napoletano risponde all’esigenza dell’autore di offrire un sommario di stili che vanno dal campano popolare al repertorio dei comici dell’Arte, fino all’aulico stile di corte.
Il risultato, un vero e proprio delirio barocco, riesce a combinarsi con l’arcaica usanza del narrare intorno al fuoco, perché il Cunto è anche un racconto di nonna: “de chille appunto che soleno dire le vecchie pe’ trattenimento de peccerielle”. La sua destinazione era la lettura nelle piccole corti napoletane, dopo pranzo, quando le tavole venivano sparecchiate. Allora tra facezie, musiche, balli, giochi, piccole azioni teatrali, il Cunto veniva recitato per intrattenere gli ascoltatori. L’appuntamento è organizzato da Astragali Teatro in collaborazione con Regione Puglia, Comune di Lecce eXenia Performing Arts. Per informazioni 3209168440 – teatro@astragali.org.
Giambattista Basile nacque nel febbraio del 1566 a Giugliano, attualmente comune in provincia di Napoli. Scarse sono le notizie sulla sua infanzia: probabilmente apparteneva ad una numerosa ed agiata famiglia e il suo forte legame con la sorella Adriana, nota all’epoca per le straordinarie doti canore, è documentato più volte. Basile divise la sua vita tra l’amore per la letteratura, la parentesi militare (si arruolò come soldato di ventura) e le diverse esperienze politiche come amministratore o governatore presso varie corti e feudi. Grazie a questi incarichi di natura politica, Basile ebbe modo di conoscere meglio il territorio campano, la sua poliedrica natura, le sue sfaccettature multiformi e sempre sorprendenti, venendo così a contatto con una realtà diversa da quella della città di Napoli, delle corti e dei nobili: un realtà che nella sua complessità e nella sua bellezza fu inesauribile fonte di ispirazione per lo scrittore. “Lo Cunto de li Cunti” non trova infatti ambientazione a Napoli, ma nelle zone confinanti. Osservando la vita dell’ entroterra napoletano, salernitano, avellinese, casertano, lucano, fu semplice e naturale attingere al grande patrimonio della memoria popolare, alla tradizione della fiaba e all’elemento della magia che la contraddistingue. Deluso ed amareggiato dalla pochezza degli uomini appartenenti alle classi sociali più elevate, nonostante egli stesso ne facesse parte, preferì dar voce al popolo depositario di una preziosa ed unica saggezza. Basile si accostò al mondo della favola popolare con la sensibilità e con l’abilità tecnica del narratore che non ripete meccanicamente quanto già molti conoscono, ma rielabora artisticamente una materia che da lui attende soltanto un’interpretazione di stile tra l’ingenuo e l’erudito per mettere in luce la propria candida e vivace grazie poetica. La produzione letteraria di Basile non si esaurisce nelle opere dialettali; egli si cimentò anche in lavori in lingua italiana che però trovarono scarso successo anche a causa della maggiore fama di autori già affermati. L’insuccesso delle opere in lingua portò Basile ad uno stato di delusione ed insoddisfazione, tale da contribuire alla scelta di lasciare Napoli per altre zone dell’Italia dando inizio così alla parentesi militare (1604-1607). Fece ritorno, nel 1608, nella sua Napoli, dove poté dedicarsi ad un’intensa produzione letteraria. E’ di questo periodo il poemetto in lingua Il pianto della Vergine (1608) e il volume Madrigali ed Ode. Parte della sua fama di letterato si deve tuttavia anche alla sorella Adriana famosissima cantante nelle più importanti corti del tempo. Basile seguì la sorella alla corte del principe Luigi Carafa, al quale dedicò Le avventurose disavventure (1611). A questa opera seguirono le Egloghe amorose e lugubri e la Venere abbandonata , dramma per musica in cinque atti (1612). Con la partenza della sorella Adriana per Mantova, si chiude il periodo napoletano. L’Autore la seguirà alla corte dei Gonzaga. A Mantova Basile pubblicò tutte le opere poetiche fino allora prodotte dopo averle arricchite di elogi e onori al duca Vincenzo Gonzaga. Dopo un anno però Basile tornò a Napoli e si dedicò all’impegno politico: più volte nominato governatore e amministratore nei vari territori del Regno, venne a conoscenza della realtà politica e sociale del territorio. In questo periodo si sposa con Flora Santora. Durante il suo peregrinare per assolvere agli incarichi politici non trascurò mai l’attività di letterato e quella di filologo. L’ultima corte presso la quale dimorò fu quella di Galeazzo Pinelli, duca d’Acerenza. Dallo stesso Duca fu nominato Governatore di Giugliano e qui, nella sua terra d’origine, morì nel 1632. La sorella Adriana recuperò le carte e i manoscritti dell’artista prima che andassero dispersi e grazie alla sua lungimiranza Lo Cunto de li Cunti ed altre opere sono arrivate fino ai nostri giorni.