L’Aquila, undici anni dopo
Il 6 aprile 2009 il terremoto che sconvolse l’Abruzzo
di Fabio Iuliano
L’AQUILA. Finestre e balconi che si illuminano, con la luce del cellulare o di una candela, alla mezzanotte tra il 5 e il 6 aprile, in occasione dell’undicesimo anniversario del terremoto dell’Aquila che ha causato 309 morti e circa 1500 feriti. Un piccolo corteo immerso in una notte che da undici anni non è più la stessa. Eravamo abituati a vedere una lunga fiaccolata a precedere i rintocchi, uno per ogni vittima. Quest’anno, le misure legate alla prevenzione dei contagi contro il Coronavirus impediscono alla gente di uscire dalle strada. Sarà un anniversario scandito dal silenzio e dall’isolamento quello che si appresta a celebrare L’Aquila. Lo impone la situazione difficile e complessa determinata dal coronavirus che vieta ogni forma di assembramento.
“Il rispetto delle regole – stare a casa – è un obbligo di assoluta e inderogabile civiltà poiché ne va della sicurezza di tutti”, recita un appello divulgato in questi giorni. “Ma possiamo sentirci uniti, nel ricordo, con un semplice gesto: accendendo una candela o un lume alle finestre, ai balconi, nei giardini delle nostre case, la notte tra il 5 e il 6 aprile. In memoria delle 309 vittime di quella terribile notte di 11 anni fa, ma anche di tutte le donne e gli uomini che a causa del contagio hanno perso la vita e se ne sono andati via da soli, senza il conforto di un familiare accanto, senza l’ultima carezza o l’ultimo sguardo di chi li ha amati e senza una cerimonia degli addii. Uno strazio che noi ben conosciamo e che aggiunge dolore al dolore. Chiediamo a tutto il Paese di partecipare a questo rito collettivo: una orazione fatta di luce. Così almeno quella notte saremo tutti meno soli”. Dalla mezzanotte di domenica, saranno illuminati i luoghi simbolo del terremoto.
Alla stessa ora si terrà a porte chiuse la Santa Messa nella chiesa di Santa Maria del Suffragio con la lettura dei nomi ‘dei 309 martiri’, presieduta dal Cardinale Giuseppe Petrocchi. Alle ore 3,32 suoneranno, invece, i 309 nuovi rintocchi. Pierluigi Biondi, sindaco dell’Aquila, la notte del 6 aprile, a 11 anni dal sisma, spiega che “alla fine L’Aquila-Italia sarà non solo per le vittime di allora, ma anche per quelle di oggi: il corpo aquilano è il corpo dell’intera nazione”. Biondi, che il 6 aprile 2009 era il sindaco di Villa Sant’Angelo, paese devastato e tanti morti, racconta che questi giorni “sono quelli nei quali la compostezza del comportamento degli aquilani, senza isterismi o proteste, va omaggiato. Saremo anche abituati alle emergenze, ma la disciplina con la quale abbiamo affrontato le restrizioni è sinonimo di forza d’animo. Lo riconosco io per primo che ho la fortuna di usare tutta la mia adrenalina per lavorare mentre vedo la gente chiusa in casa: ma gli aquilani sanno cosa sono i comportamenti sbagliati e non ci cascano”.
Prima di questo stop legato al coronavirus, la ricostruzione era in pieno fermento. Questo 6 aprile ha un sapore strano perché “la vita ci ha tolto la seconda Pasqua in 11 anni”. Massimo Cialente è il sindaco del terremoto, per anni tra macerie e ricostruzione, prima di passare il testimone a Biondi. “Certo, girare per L’Aquila in questi giorni è un colpo duro: non si può vedere questo deserto, ti ricordi quei silenzi, ti vengono in mente i volti di persone che non ci sono più – racconta Cialente, ora medico in pensione. Da quel 6 aprile 2009 è passata mezza generazione, ma questi giorni ci fanno rivivere il dramma con un’intensità diversa”. Ironia della sorte, anche quest’anno le 3,32 cadranno di lunedì, il lunedì della settimana di Pasqua. “Per noi aquilani è un’altra botta forte alla psiche; paradossalmente ci siamo già passati, sappiamo cosa voglia dire restare chiusi nelle tende o negli alberghi in solitudine o in silenzio. L’unica cosa vera è che con questo isolamento ci sarà più difficile elaborare un lutto collettivo”.
In ogni caso, l’ex primo cittadino giudica L’Aquila potenzialmente come “un esempio per il resto d’Italia in questo periodo di coronavirus. Soprattutto per quello che succederà dopo: se siamo bravi abbiamo 20 anni di crescita. Ci sono paesi evoluti, gli Stati Uniti, l’Italia i paesi del G8, che comprano aerei ma sono in ritardo sulla pandemia e senza mascherine. Eppure si sapeva che a rischio c’era ora. Noi spendiamo soldi per armamenti non investiamo da anni in mascherine per i medici: qui serve una ripartenza keynesiana, un piano Marshall. La rinascita ci può essere solo con infrastrutture, con l’edilizia. E tutto questo significa prevenzione, messa in sicurezza di un territorio – continua – noi ogni volta inseguiamo gli eventi e adeguiamo le nostre risorse andando dietro ai terremoti. Ora invece è possibile mettere mano al fotovoltaico, ai cappotti termici, agli infissi per far ripartire l’edilizia, alle infrastrutture territoriali e alla prevenzione sull’ambiente. È una grande occasione per ripensare la nostra società: e L’Aquila in questo è avanti a tutti”. Cialente fa un altro esempio “il digitale: se aumentiamo le infrastrutture digitali possiamo lavorare per le scuole, ridistribuire il lavoro a casa nei piccoli centri, ridare vita quindi ai piccoli Borghi. C’è tanto lavoro”.