La prospettiva zenitale L’invisibile di Massimo Sestini

L’Aria del tempo” al Castello Carlo V di Lecce fino al 30 settembre
la personale del fotogiornalista curata da Kunstaun

di Antonietta Fulvio

“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”
Antoine de Saint Exupèry, Il Piccolo Principe

LECCE. L’essenziale è invisibile agli occhi. Così scriveva Antoine de Saint Exupery, il filosofo aviatore, nel suo Piccolo Principe. E viene quasi naturale associare questa frase alle foto di Massimo Sestini nel progetto espositivo “L’aria del tempo” che hanno trovato posto, dal 2 luglio al 30 settembre 2020 al Castello Carlo V di Lecce a cura di Kunstaun in collaborazione con RTI Theutra – Oasimed. Un rimando dettato dalla cifra stilistica di Massimo Sestini capace di trasformarsi in “aviatore” salendo su in alta quota a duemila piedi per mostrare ciò che non si vede. Trovare lo scatto perfetto. Quello della prospettiva zenitale capace di tradurre in meravigliose immagini inaspettate geometrie. Sono le geometrie dei corpi e delle loro ombre viste dall’alto, ma non da un drone, come spesso ci mostrano le pur belle  vedute ad uccello che la fotocamera – telecomandata dall’uomo – riesce a catturare. Le sue foto sono diverse. Sono un concentrato di passione per la fotografia, intuito e abilità tecnica insieme ad una buona dose di rischio, tanta esperienza e un pizzico di fortuna.


Sono insoliti punti di vista vere e proprie sfide quelle che il fotogiornalista internazionale Massimo Sestini riesce a realizzare. E la sua lunga e brillante carriera professionale ne è costellata. Nel suo caso potremmo parlare di una “costellazione di immagini” e la definizione non è poi tanto lontana dalla realtà. Le sue fotografie sono scatti dal cielo, sguardi impossibili per noi comuni mortali con i piedi ben saldati a terra.
Nel 2016 per la Polizia di Stato, ad esempio ha realizzato un calendario zenitale, cioè solo fotografie in pianta ortogonale dal cielo e all’opposto, da sottoterra, dal nadir.
«La mia fortuna è di essere nato appassionato di fotografia, essere riuscito a fare della mia passione un mestiere» ha raccontato in un insolito vernissage – a porte chiuse, riservato alla stampa – a causa delle misure anti covid.
E si è raccontato Massimo Sestini, nel dialogo con lo storico dell’arte Roberto Lacarbonara.
Andando a ritroso, nel tempo, ai suoi esordi. da “paparazzo” a caccia di scoop a Porto Cervo, in Costa azzurra e imparando a scattare “in lontananza”. «Anche il gossip ha una sua funzione nel raccontare la storia sociale del nostro paese e fare il paparazzo mi ha insegnato la caparbietà, la costanza, fare cose che normalmente non si possono fare, travestirsi, avere una faccia tosta. E oltre a fare le inchieste con fotografie da vicino mi ha insegnato che si può fare una fotografia graffiante anche da lontano.»


E di foto graffianti ne ha firmate tante.
Dai concerti rock, la cronaca per i quotidiani locali al primo scatto che gli valse la copertina sulla rivista tedesca Stern: l’attentato al Rapido 904
Oltre a seguire la cronaca, fonda anche l’Agenzia omonima, Massimo Sestini è sempre, come si dice in gergo, sulla notizia. Dagli avvenimenti d’attualità agli scatti “rubati” ai personaggi pubblici: da Carlo d’Inghilterra fotografato a Recanati mentre dipinge un acquerello, a Licio Gelli ripreso a Ginevra mentre è portato in carcere appena costituitosi dopo la fuga in Argentina, al clamoroso bikini di Lady D. Testimone del proprio tempo e purtroppo anche degli eventi che hanno cambiato la Storia: fotografa la tragedia della Moby Prince e sue sono le foto dall’alto degli attentati al giudice Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che documentano la violenza immane, la cattiveria di cui gli uomini sono capaci. Lo ha ricordato quello scatto su Capaci, dall’alto dell’elicottero che sorvolava il luogo della tragedia dove non si vedeva nulla, né tanto meno immaginare di realizzare uno scatto. Inquadrare tanto orrore. «è stato un pugno al cuore” è il commento alla domanda cosa ha provato poi nel vedere ciò che era riuscito a scattare. Un pugno al cuore la visione del cratere prodotto dall’esplosione del tritolo con cui i mafiosi avevano letteralmente riempito il fondo dell’autostrada Trapani Palermo, un pugno al cuore quelle auto accartocciate… La croma bianca del magistrato seppellita dalla polvere, da ciò che restava dell’asfalto… Uccidere senza via di scampo mostrando in maniera inequivocabile il potere del male. Ecco cosa continua a raccontarci quella foto facendoci rabbrividire e ammutolire. Potente è anche l’immagine della simulazione dell’attentato di Capaci realizzata a Cecina (Livorno) un’operazione che doveva restare segreta ma non per Sestini che riesce a scattare la foto a bordo di un biposto. Ci si resta inchiodati davanti a quella inquadrature che raccontano quell’amarissima primavera del 1992. Come, per altri versi fu amarissima quella del 2009 a L’Aquila, ce lo ricorda la foto delle 205 bare allineate delle vittime del terremoto nel funerale di stato a cielo aperto. E ancora l’incendio del teatro La Fenice, (1996), il cimitero dei barconi a Lampedusa (2014).
Impaginata in modo rigorosa ed efficace, “L’aria del tempo” srotola davanti ai nostri occhi eventi storici, esclusivi come il Giubileo del 2000, ripreso dall’alto, gli scontri di Genova, i funerali di Papa Paolo Giovanni II ripresi dallo spazio aereo vietato che Sestini è il solo a sorvolare. Immagini che riportano a galla emozioni del nostro recente passato. Sequenze che mostrano la forza comunicativa ma anche estetica della sua fotografia: la bellezza geometricamente perfetta delle frecce tricolori, la Barcolana, la più importante regata velica del mondo a Trieste (2017), i fenicotteri pronti alla migrazione (2015, Margherita di Savoia), la raccolta dei pomodori nelle campagne salentine. Quando l’immagine si fa poesia. Come quando si osserva dall’alto lo spettacolo del litorale livornese con la spiaggia bianca di Rosignano Solvay e quel rosa che non ti aspetti delle saline di Santa Margherita di Savoia catturate dalla prospettiva aerea che svela strutture uniche.
In una sorta di “ironica” contrapposizione le spiagge affollate di Ostia nel ferragosto 2005 e quelle di Pisa nell’estate 2013 gli ombrelloni perfettamente distanziati sembrano suggerire l’immagine dell’estate attuale post Covid…
Ma da dove nasce l’idea di scattare dall’alto?
«L’input di andare da un’altra parte per fare una foto diversa, magari brutta ma unica, è continuare quella scuola di fotografia graffiante – ha spiegato. Prendendosi rischi e impiegando risorse economiche notevoli. Come ha ricordando a proposito dello scatto fatto a Capaci quando chiese al pilota di portarlo dove si poteva volare e di smontare il portellone dell’aeroplano per dargli modo di fotografare. “Non si vedrà niente da laggiù” – gli aveva detto il pilota. Eppure anche da così lontano dove ad occhio nudo non vedi niente c’è qualcosa che puoi fotografare e se con l’esperienza con gli anni riesci a capire questo meccanismo riesci a raccontare cose “invisibili”.
Andare oltre la paparazzata che “è una forma di giornalismo ma non di creatività particolare” per raccontare cose e fatti di cronaca da un punto di vista diverso.
Ed è ciò che inizia a fare dagli anni 2000, lo scatto in prospettiva zenitale, ovvero fotografie da un punto perfettamente perpendicolare al soggetto ritratto. E a bordo degli elicotteri della Polizia nasce nel 2016 dopo due anni di lavoro la mostra “Orizzonti d’Italia dagli elicotteri della Polizia di Stato” un inedito ritratto aereo del nostro Paese da Lampedusa alle Dolomiti, una mostra approdata in tutto il mondo (MAM di Mosca, Vietnam, Australia).
E rigorosamente dall’alto nascono le foto del progetto “L’aria del tempo” (che è anche un volume edito da Contrasto Books), un racconto narrativo della storia degli ultimi quarant’anni del nostro Paese, raccontati per immagini dallo stesso autore e sempre dallo stesso punto di vista, cioè dall’alto. Alcune foto lo ritraggono in azione, tra cielo e mare a bordo di velivoli talvolta militari, caccia Eurofighter, come è avvenuto per realizzare immagini che hanno fatto il giro del mondo: l’alluvione nel 2011 in Liguria che porta i detriti fino al mare che avvolgono il promontorio su cui si erge il castello Doria mentre tra le rocce si riconosce la cupola della Chiesa di Santa Maria d’Antiochia (La Spezia). La Nave scuola Amerigo Vespucci, “la più bella nave del mondo” all’ombra della luna piena con gli allievi dell’Accademia militare sugli alberi della nave in esercitazione (Livorno, 2013).
O la nave della Marina militare che verifica il funzionamento del faro illuminato dalla tempesta sull’isola di Montecristo (Mar Tirreno 2014). Ancora mare, il Mediterraneo nel 2014, sulla verticale un gommone abbandonato a largo. Quasi un preludio alla foto del secolo, Mare Nostrum, 2014, tra le Top 10 images of 2014 da TIME, vincitrice del secondo premio al World Press Award 2015 nella categoria General News. Una foto che nasce dalla collaborazione già avviata con la Marina militare che gli consente di assistere all’Operazione Mare Nostrum, organizzata dal governo italiano per trarre in salvo migranti e rifugiati dopo la strage di Lampedusa del 2013. Sestini è con i membri dell’equipaggio della Fregata Bergamini, dopo molti giorni di mare in tempesta, il 7 giugno si avvista un barcone stipato di gente. Sono quei volti colti di sorpresa mentre guardano l’elicottero che li sta sorvolando.
La missione si conclude con il salvataggio dei migranti, ma quella foto da sé racconta la tragedia e il rischio, il desiderio di vivere e la disperazione di uomini e donne in fuga verso la speranza.
Se con un pizzico di fortuna (che non guasta mai) lo scatto può essere questione di un attimo, l’idea della foto dei migranti sul barcone nasce in realtà quattro anni prima ha rivelato Sestini «quando da fotografo, viste le migrazioni sempre più crescenti, penso che mi sarebbe piaciuto tantissimo fare una foto di gruppo spontanea nella storia della fotografia. Da fotografo non penso alle migrazioni penso a cinquecento persone su un guscio di noce che forse potrebbe se un giorno riuscissi mai a ritrarli all’improvviso con un elicottero sulla loro verticale, ma davvero all’improvviso, avere questi volti che guardano tutti insieme.»
Ribaltare in pratica il punto di vista che ha sempre caratterizzato i ritratti, impostati sempre frontalmente a chi li ritrae e mai spontanei. Da quella foto è partito il progetto “Where Are You?” nel corso dei cinque anni successivi sono stati rintracciati e fotografati una decina tra i migranti che erano su quella barca, ritratti nella loro vita definitiva, in giro per l’Europa. Realizza così un documentario con National Geographic trasmesso in tutto il mondo. L’idea è di riuscire a rintracciare quei migranti e fotografarli nella loro nuova vita. Dare un seguito a quello scatto, riprendere il racconto ancora da un altro punto di vista. 


La fotografia è un linguaggio universale non ha bisogno di interpreti o traduzioni ha spiegato rivelando il suo stare in prima linea, le sue scelte di documentare gli eventi di cronaca con scatti che sono entrati nell’immaginario collettivo. Come quello della nave Costa Concordia affondata nel 2012 al largo dell’isola del Giglio adagiata su un fianco. Nella sala Maria d’Enghien la troviamo posizionata accanto a quella di Mare nostrum. Il mare è lo stesso sia che lo si attraversi per inseguire un destino migliore sia perché animati dal desiderio di viaggiare e conoscere nella più innocente delle crociere per puro spirito vacanziero. Quasi due facce della stessa medaglia, la miseria e il lusso. Ma se per i naufraghi del Concordia il destino di morte fu una tragica se pur colpevole fatalità per i migranti che la fame e la guerra fanno saltare su un barcone, che è davvero un guscio di noce, il destino lo si può cambiare. Basterebbe poco, recuperare la sensibilità e l’umanità smarrite nella polvere del malaffare e tra le onde dell’egoismo e dell’indifferenza.