Amalfi, delizia della costiera della Campania Felix
La più antica repubblica marinara, meta del Grand Tour
di sara Foti Sciavaliere
Vi parlerò della più antica repubblica marinara, luogo simbolo della costiera amalfitana, che ancora oggi incanta, come ai tempi del Grand Tour. La dolcezza del clima e le bellezze architettoniche resero di fatto Amalfi una delle tappe preferite del Grand Tour in costiera, quando nella seconda metà del 1800 Ferdinando II di Borbone fece realizzare la strada litoranea da Vietri sul Mare a Positano, la stessa strada che ancora oggi in molti percorrono per raggiungere le località su questo tratto di costa tra le più famose al mondo. Personalmente mi è capitato più volte di raggiungerla via mare, dal porto turistico di Salerno quindi in navigazione sul Tirreno, da dove si vedono i Monti Lattari declinare sulle acque in pendii rocciosi e promontori su cui sono incastonati pittoreschi borghi, tra i quali Amalfi. Una volta attraccati ai moli, in pochi passi si è già nel cuore del centro.
Ma soffermiamoci prima sul piazzale che si affaccia sul mare, qui si erge il monumento bronzeo a Flavio Gioia, amalfitano nato nel 1302, che, come si può leggere sul basamento “rese agevole la navigazione e possibili le più grandi scoperte”, per la sua invenzione della bussola, come vorrebbe la tradizione locale; seppure storicamente si tratterebbe del frutto dell’ingegno cinese, poi passato agli Arabi, che la introdussero nel mondo occidentale e quindi sarebbe approdata per prima ad Amalfi, essendo questa in stretti rapporti commerciali con le popolazioni arabe e pertanto fu, molto probabilmente, fra le prime a venire a conoscenza della bussola e delle sue applicazioni marinaresche.
Se ci avviciniamo a Porta della Marina – l’antica porta De Sandala – notiamo, sulla parete, il magnifico pannello ceramico di Renato Rossi che illustra perfettamente la grandezza marinara di Amalfi e la portata de i suoi traffici. Dal pannello si evincono di fatto le rotte virtuose dei suoi commerci: da Amalfi, cariche di legname, le navi amalfitane giungevano sulle coste dell’Africa Settentrionale ove scambiavano il loro carico con oro, che in seconda battuta impegnavano sulle coste siriaco-palestinesi acquisendo stoffe preziose, oggetti di oreficeria e spezie , che in un’ulteriore terza fase rivendevano in molte città italiane. A sinistra del pannello c’è l’entrata degli Antichi Arsenali della Repubblica Amalfitana, unico esempio di cantiere nautico meridionale, seppure le undici arcate attuali siano solo la metà superstite delle originali che si aprivano un tempo direttamente sul mare. In esso venivano costruiti gli scafi delle galee da combattimento, impostate su centoventi remi. Le navi mercantili, in genere di basso cabotaggio, venivano costruite invece sugli arenili, che, pertanto, erano indicati con il termine bizantino di scaria. Lo scarium di Amalfi medievale si trova oggi sotto il mare di fronte alla città, dove sono stati di recente scoperti moli e attracchi di età medioevale.
Oltrepassato l’arco di Porta della Marina, si passa tra botteghe e locali di prodotti tipici, i profumi della cucina di pesce, il giallo brillante dello sfumato di Amalfi, il limone I.G.P. coltivato nei caratteristici “giardini” a terrazze dell’intera costiera, usato per alcune specialità tra le quali il limoncello, dal profumo e il sapore intenso, o anche le granite dei chioschi da consumare continuando a passeggiare. Tra le tipicità non bisogna neanche dimenticare le i piccoli negozi dove acquistare la carta di Amalfi, in bambagina, tradizione antica ancora attuale nelle cartiere locali in un’area dell’entroterra, nella Valle dei Mulini.
L’attuale centro urbano di Amalfi coincide grosso modo a quello della città medievale, quindi conserva tuttora le vestigia del suo glorioso passato e può essere considerato a giusta ragione una sorta di museo vivente. Tra queste emergenze architettoniche si segnalano chiese e cappelle, monasteri e conventi (alcuni dei quali diventati alberghi già nel XIX secolo), dimore dell’aristocrazia mercantile medievale, torri e mura.
Al centro della Piazza del Duomo, ai piedi della maestosa scalinata in cima alla quale si apre scenografica la facciata del Duomo e del campanile al suo fianco. Nella piazza si riconosce la settecentesca Fontana del Popolo o di Sant’Andrea, con le sculture marmoree del santo patrono e di divinità marine. Originariamente si trovava all’inizio della scalea del duomo, ma ai primi del Novecento fu spostata dove la si può vedere oggi. L’acqua della fontana, proveniente dal fiume Sele, sbocca dalle statue marmoree di quattro putti, da quella di Pulicano, una divinità marina, e da quella di un uccello, sottostanti la più grande statua di Sant’Andrea in croce, allo stesso è dedicata la principale chiesa di Amalfi. Piuttosto che di Duomo, nella celebre località campana sarebbe più corretto parlare di complesso monumentale , in quanto composto da più corpi autonomi, sebbene intimamente collegati tra loro: la scalea che conduce all’atrio di ingresso, due basiliche annesse, una cripta inferiore, il campanile e il Chiostro del Paradiso.
Immaginiamo di visitare il complesso, seguendo un itinerario preciso poiché c’è un percorso obbligato per ragioni di ordine. Ammiriamo prima la facciata policroma, completamente ricostruita nel 1800 a seguito di un rovinoso crollo, mentre il campanile rivestito di maioliche multicolori fu ultimato nel 1276. Intanto risaliamo la scalea e facciamo attenzione a una superstizione: se siete scaramantici non salite le scale del Duomo di Amalfi mano nella mano perché secondo la leggenda popolare la coppia che sale insieme questi gradini non si sposerà mai.
La posizione in cui è sorto il Duomo di Amalfi è strategica non solo perché è centrale rispetto al resto della città, consentendo uno sviluppo urbano ordinato, ma ha protetto la stessa dagli attacchi dei nemici. Il pianoro rialzato di 20 metri rispetto al mare è fatto di pomice vulcanica molto dura e resistente, in gergo i produttori la chiamano “torece”.
In cima alla scalinata non si può non ammirare il portone principale (solitamente chiuso per lasciare defluire i visitatori da un più controllato ingresso laterale da considerarsi uno degli elementi artistici di maggior valore della nuova Cattedrale. La porta di bronzo fu realizzata a Costantinopoli per volere del ricco mercante amalfitano Pantaleone de Comite Maurone, il quale la donò all’Episcopio della sua città verso il 1060; essa presenta quattro figure ageminate in argento, raffiguranti Cristo, la Vergine, Sant’Andrea e San Pietro, inoltre rappresenta il prototipo per una serie di coeve porte bronzee donate dallo stesso Pantaleone e dalla sua famiglia a San Paolo fuori le mura (Roma), a Montecassino, a San Michele Arcangelo sul Gargano.
Ricordiamo che la cattedrale cittadina, in origine dedicata all’Assunta, è dedicata a Sant’Andrea, come potrebbe far desumere la fontana in piazza, in ringraziamento del miracolo del 27 giugno 1544. Le fonti raccontano che in quella data le navi dei pirati stavano per entrare nel porto della città e gli amalfitani si ripararono in chiesa chiedendo l’aiuto del santo, allora un vento forte si abbatté contro le imbarcazioni dei nemici, impedendo loro di realizzare l’offensiva.
Faremo il nostro ingresso nel complesso monumento dal Chiostro del Paradiso, a sinistra delle due basiliche, sul fronte settentrionale. Qui l’Arcivescovo Filippo Augustariccio edificò, nel 1268, questo spazio come cimitero per nobili e cittadini illustri, identificato da un quadriportico con archi intrecciati poggianti su colonnine binate, nel quale sono evidenti sei cappelle affrescate; l’opera pittorica di maggior rilievo è, a tal proposito, la Crocifissione attribuita alla scuola napoletana di Giotto.
Al centro del Chiostro del Paradiso, di gusto arabeggiante, c’è un giardino con palme che con molta probabilità è stato realizzato dopo il restauro del 1908 visto che dagli inizi del XVII secolo era stato abbandonato. Di fronte al chiostro si erge il campanile della cattedrale, che fu realizzato in stile romanico tra il 1180 e il 1276, e in quest’ultima data fu costruita la cella campanaria in stile moresco sempre per volere dell’Arcivescovo Augustariccio.
Una porticina nel quadriportico fa accedere nell’edificio adiacente. L’elemento più antico della struttura è certamente la Basilica del SS. Crocifisso, edificata prima dell’anno 833; accanto a essa nel 987 sorse l’attuale Cattedrale dando vita a un’unica maestosa cattedrale metropolita a sei navate, – alla fine dei lavori, il Duomo di Amalfi ricordava più una moschea araba che un edificio cristiano – per essere poi nuovamente divisa in due chiese in epoca barocca. Risale al 1206, invece, la costruzione della Cripta, destinata ad accogliere le sacre spoglie di S. Andrea Apostolo, protettore dell’intera diocesi amalfitana almeno sin dalla prima metà del X secolo. Nel 1931 e per sessanta lunghi anni sono stati disposti dei nuovi lavori per recuperare la struttura medievale originaria della Basilica del Crocifisso, mostra colonne e capitelli di spoglio, archi acuti, bifore e monofore duecentesche, affreschi del periodo angioino, e allo stato attuale essa ospita il Museo di Arte Sacra del Duomo, tra i cui oggetti esposti assumono particolare rilevanza una mitra angioina con pietre preziose e ventimila perline autentiche, nonché un calice smaltato del XIV secolo.
Una scala ci porta giù nella cripta della confessione dove è custodita la tomba dell’Apostolo, sulla quale fu realizzato, nei primi anni del Seicento, un altare che presenta la statua bronzea di Sant’Andrea, opera di Michelangelo Naccherino, e quelle marmoree dedicate da Pietro Bernini ai Martiri Lorenzo e Stefano. In quegli stessi anni furono affrescate le volte a crociera della cripta, mediante scene della vita di Cristo. Sin dal 1304 sulla tomba dell’Apostolo si verifica un “segno particolare”, cioè la comparsa in quantità variabili di un liquido oleoso, incolore e inodore, la cosiddetta “manna”, che secondo la tradizione avrebbe compiuto numerosi miracoli, guarendo fedeli locali e pellegrini. Le reliquie furono sistemate in modo che la manna potesse venir raccolta, mediante un canaletto, in occasione delle sue frequenti e miracolose emanazioni, interpretate dagli amalfitani come un segno della protezione dell’Apostolo. Un’altra scala dalla parte opposta della cripta permette risalire nel Duomo, tra la quarta e la quinta cappella, fu trasformato completamente in chiave barocca agli inizi del XVIII secolo per iniziativa dell’Arcivescovo Michele Bologna; testimonianze di questo intervento sono le tele del pittore napoletano Andrea d’Aste, rievocanti il martirio di Sant’Andrea, e il soffitto in oro zecchino.
Usciti dalla Cattedrale e ritornando in piazza, è possibile risalire via Lorenzo d’Amalfi che continua in via Pietro Capuano, vocianti e variopinti della folla di visitatore e delle merci esposte lungo questa arteria, che sale verso il Museo della Carta, si incontra, sulla destra, in una breve piazza la Fontana di Cap ‘e Ciuccio, sita poco prima della distrutta Porta dell’Ospedale, limite a nord del paesino. Due mascheroni marmorei gettano acqua nella fontana adornata da un presepe, tradizione sviluppatasi da alcuni decenni. Gli asini – ai quale fa riferimento il nome popolare della fontana – provenienti dalla Valle delle Ferriere, da dove proveniva e proviene l’acqua, vi si abbeveravano. Tale fontana simboleggia la memoria dell’Amalfi rurale e contadina.
Sul lato occidentale della piazza dello Spirito Santo si affaccia il Palazzo Castriota, appartenuto tra la fine del XV e per tutto il XVII secolo alla nobile famiglia albanese dei Castriota Scanderbegh, ramo cadetto della stirpe reale trasferitosi in Italia meridionale con il noto condottiero Giorgio nella seconda metà del Quattrocento. La parte più antica del palazzo sono i primi due piani che evidenziano un’architettura tardo-gotica quattrocentesca.
Subito accanto possiamo notare l’arco di una galleria: è il Supportico Rua, un’alternativa – soprattutto nelle giornate maggiormente assolate – tornare sui propri passi approfittando di questa strada coperta che pare insinuarsi nel ventre delle abitazioni, una delle più antiche vie della città risalenti al Medioevo, nel suo ombroso silenzio appena discosto dalla chiassosa via che corre parallela. Si torna così verso la piazza principale dove si può continuare a scoprire il fascino celato di Amalfi spingendosi al di sotto del complesso monumentale del Duomo, per il supportico Sant’Andrea, dove in un angolo si nasconde la chiesetta di S.Anna Piccola. La via coperta da arcate ogivali si inoltra in un quartiere dalla struttura arabeggiante, con vicoli che si aprono, come ferite, inerpicandosi per strette scale e passaggi. Prossimi alla Piazza del Municipio, si può scegliere di avventurarsi per via Torre dello Ziro che conduce all’omonima torre oppure da una galleria attendere, con un po’ di pazienza, l’ascensore che, risalendo il promontorio, conduce al Belvedere del Cimitero Monumentale, dove si può godere di uno splendido panorama sulla costa.
Ma facciamo un passo indietro… cos’è la Torre dello Ziro?
Sullo sperone di roccia che si protende verso il mare, tra Amalfi e la vicina Atrani, si eleva la torre cilindrica angioina, con uno stretto camminamento, cinto da mura merlate, che la collega al punto estremo della spianata. La parola “ziro” deriverebbe forse dall’arabo “cilindro”, ma è un’ipotesi. La datazione è altrettanto incerta e ha subìto diversi restauri e trasformazioni; uno degli interventi risale al 1480 e fu ordinato da Antonio Piccolomini, Duca di Amalfi. Si racconta che la Torre dello Ziro, nei primi anni del XVI secolo, sia stato teatro di uno dei più sanguinosi episodi della storia della cittadina perché, al suo interno, fu prima rinchiusa e poi giustiziata ferocemente con i suoi tre figli Giovanna D’Aragona, duchessa d’Amalfi. La sua colpa era di aver stretto una relazione col maggiordomo di corte, Antonio Bologna, dopo essere rimasta vedova (ancora ventenne) di Alfonso Piccolomini, uomo dissoluto e corrotto al quale era andata in sposa a soli dodici anni. Giovanna aveva sposato Antonio in segreto e da lui ebbe dei figli, tuttavia, quando i due fratelli di lei, il cardinale Carlo e Federico, scoprirono la cosa, mostrarono il loro dissenso cercando di dividere i due amanti; questi fuggirono, ma, rintracciati, il Bologna fu ucciso e Giovanna ricondotta ad Amalfi dove sparì. La storia, svoltasi nel 1500, è un fatto realmente accaduto, raccontato tra i tanti da uno dei maggiori novellieri rinascimentali Matteo Bandello in uno dei suoi scritti, testimone oculare della vicenda perché era anche amico del Bologna; poi venne addirittura trasposta in forma di tragedia da John Webster, nel XVI secolo, che però conclude la vicenda con l’uccisione di Giovanna da parte di un sicario. La tradizione locale tramanda invece che Giovanna, ricondotta ad Amalfi, fu rinchiusa nella Torre dello Ziro e murata viva insieme ai figli, frutto dell’amore segreto. Non stupisce pertanto che la credenza popolari voglia la Torre come un luogo popolato da fantasmi e da cui stare alla larga.
Ma alleggeriamo un po’ gli animi, perché non si può andare via da Amalfi senza assaggiare uno degli squisiti esempi di pasticceria campana, le delizie al limone, dolcetti dalla morbida cupoletta di pan di Spagna e gustosa crema ai limoni di Amalfi. E possibilmente seduti ai tavolini della storica pasticceria Pansa, in attività dal 1830, con una location non indifferente, integrata nelle architettura di Piazza del Duomo, a pochi passi dalla scalea monumentale, con un occhio agli zampilli della fontana di Sant’Andrea e l’orizzonte meridionale tra cielo e mare ritagliato dalla prospettiva di una delle vie che nella piazza confluiscono.