Le assaggiatrici, in un boccone la speranza della vita

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Le recensioni di Lucia Accoto

 

Ho messo in fila le emozioni cadendo nel vortice delle parole, della storia. Tutto è stato un appropriarsi di respiri, di sguardi, di paura, di fame. Il teatro della vita, quella balorda e violenta, scivola nei piatti di dieci donne costrette a mangiare per il Führer.

Mia madre diceva che quando si mangia si combatte con  la morte. Lo diceva prima di Hitler, quando andavo alla scuola elementare di Braunsteingasse 10, Berlino, e Hitler non c’era. Lei mi allacciava un fiocco sul grembiule e mi porgeva la cartella, e mi raccomandava di fare attenzione, durante il pranzo, a non strozzarmi. In casa avevo il vizio di parlare sempre, pure con la bocca piena, chiacchieri troppo, mi diceva, e io mi strozzavo proprio perché mi faceva ridere, quel tono tragico, il suo metodo educativo fondato sulla minaccia di estinzione. Quasi che ogni gesto di sopravvivenza esponesse al rischio della fine: vivere era pericoloso; il mondo intero, un agguato.”

Nel romanzo, Le assaggiatrici di Rosella Postorino per Feltrinelli, prende forma ciò che non è mai perduto, lontano, senza tempo. Rosa, la protagonista principale, raccoglie bracciate d’ossigeno per sentire il profumo dell’amore, della speranza. Le dieci donne denudano i contorni della bellezza per restare in vita, per non essere avvelenate, salde nella loro dignità dinanzi alle pietanze destinate ad Hitler. Inalano la speranza per non affogare nell’ultimo battito. Si tengono la pancia, le assaggiatrici, alla fine della loro fame e paura. Sanno ingoiare anche un segreto, masticano sofferenza per poi fabbricare emozioni. Gli sguardi si intrecciano tra loro senza alcuna parola. Lastricano gli attimi che passano, ferme ed in ansia, ogni ora dopo i pasti in mensa, per resistere in silenzio ad un nuovo ordine. Non hanno certezza di vivere o sopravvivere, ma sfiorano la vita negli occhi della stessa miseria umana che le tiene attanagliate nella fragilità di un pensiero. Salvarsi.

 

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