Le tombe reali dei Savoia da Superga al Pantheon
Itinerario tra i luoghi di sepoltura di principi e regine
Sara Foti Sciavaliere
La Cripta Reale, costruita sotto la Basilica di Superga, è il tradizionale luogo di sepoltura dei membri di Casa Savoia, con le sole eccezione di alcuni tra loro, che furono re o regine d’Italia e il cui luogo d’inumazione è invece il Pantheon di Roma.
Cripta Reale di Superga
La Cripta dei Savoia è stata realizzata nei sotterranei della Basilica di Superga, sull’omonimo colle a nord-est di Torino per volere del Re Vittorio Amedeo III, ma questo era un desiderio già del nonno, Vittorio Amedeo II. Il progetto fu affidato al nipote del ben noto Filippo Juvarra, l’architetto Francesco Martinez e fu compiuto in quattro anni a partire dal 1774.
Alla cripta si accede dal fianco esterno sinistro della Basilica, e una scalinata in marmo conduce al corridoio del mausoleo con un impianto a croce latina allungata e ospitante sessantadue sepolture di Casa Savoia. Alla fine dello scalone – quasi a custodire le tombe – è posta la scultura in marmo di Carrara dell’Arcangelo Michele in atto di sconfiggere il demonio. Superato lo scalone, percorrendo il breve corridoio, si accede quindi alla Cripta.
L’interno del mausoleo, in stile barocco, è riccamente decorato da stucchi e sculture monumentali. Abbondano, in tutta la struttura, simboli e riferimenti magici, alchemici ed esoterici. I pavimenti e i rivestimenti sono in colori vivaci (in maggioranza nero, bianco e rosso) e sono presenti marmi verdi di Susa, alabastro di Busca, cornici in marmo di Valdieried oro sulle volte stuccate. Lungo le pareti della Cripta sono presenti importanti monumenti funebri in memoria di celebri personaggi di Casa Savoia.
La Cripta Reale ospita, di fatto, al centro il Sarcofago dei Re, monumento funebre riservato alle spoglie dell’ultimo Re di Sardegna, mentre nei due bracci laterali si possono ammirare la Sala degli Infanti e la Sala delle Regine. Nel braccio sinistro si può osservare il monumento funebre dedicato a Vittorio Amedeo II, fondatore della Basilica di Superga e Duca di Savoia, che otterrà il titolo di “Re di Sardegna”, mentre a breve distanza si trova il monumenti del principe Ferdinando di Savoia, Duca di Genova e padre della Prima Regina d’Italia, Margherita. Lungo il braccio destro possiamo notare la scultura commemorativa dedicata a Carlo Emanuele III, secondo Re di Sardegna, con il bassorilievo che rappresenta la battaglia di Guastalla del 1734.
Ci spostiamo nella cosiddetta Sala dei Re – al centro della pianta a croce – dove c’è presente il sarcofago più grande, quello di Carlo Alberto di Savoia. La tradizione voleva che, alla morte di ogni sovrano, egli venisse collocato al centro della cripta per poi, alla morte del successore, essere spostato nei loculi laterali e lasciargli il posto centrale. Carlo Alberto, però, non fu mai spostato da lì, poiché i suoi successori divennero re d’Italia e vennero perciò sepolti nel Pantheon di Roma. Attorno al sarcofago centrale sono disposte, lungo le pareti, quattro nicchie in cui sono collocate altrettante statue in marmo candido, su fondo nero, – opere di Ignazio e Filippo Collino – raffiguranti le allegorie della Fede – che ha fra le mani la croce ed il calice e che ricorda le statue poste ai lati della chiesa della Gran Madre di Dio a Torino – , la Carità, la Clemenza e la Scienza – che tiene in mano un triangolo con il vertice rivolto verso il basso, appoggiato sopra una sfera –. Vicino alle statue, sempre nella stessa sala, sono presenti i loculi con i resti di Vittorio Emanuele I, Vittorio Amedeo III, Maria Teresa d’Asburgo-Este e Maria Antonietta di Borbone-Spagna, ed i cenotafi di Carlo Emanuele IV (sepolto a Roma) e di Carlo Felice (inumato, invece, nell’abbazia reale di Altacomba, in Francia).
Dal 1849, dunque, il Sarcofago dei Re custodisce il corpo di Carlo Alberto, famoso per aver concesso nel 1848 lo “Statuto Albertino”, che trasformò il Regno di Sardegna in monarchia costituzionale. Il sarcofago, su disegno dell’architetto Martinez, è stato realizzato in onice di Busca, con quattro puttini in marmo bianco su due lati, opera dei fratelli Collino. Dal sarcofago centrale partono poi i quattro bracci della pianta a croce: all’estremità del braccio corto, cioè alle spalle del sarcofago di Carlo Alberto, è posto l’Altare della Pietà, mentre nel braccio di destra si trova la cosiddetta “Seconda Sala” – con il monumento funebre a Carlo Emanuele III –, dalla quale una porta conduce alla “Sala delle Regine”. Dalla parte opposta, nel braccio di sinistra, c’è la “Quarta Sala”, dov’è presente il monumento dedicato al primo re di Sardegna, Vittorio Amedeo II, su cui siedono le allegorie della Fecondità con in mano la cornucopia, e della Giustizia, che stringe il Fascio littorio, e ancora sulla sommità troneggia un angelo con un braccio sollevato che sostiene un medaglione con l’effigie del defunto.
Dalla quarta sala si apre poi una porta che conduce alla “Sala degli Infanti”. Era destinata a ospitare le salme dei principi sabaudi morti in tenera età. Attualmente sono conservati i resti di 14 bambini e 9 adulti, tra cui la principessa Maria Clotilde di Savoia, la “Santa di Moncalieri”, donna profondamente devota e moglie di Gerolamo Bonaparte, sepolto accanto a lei. Invece, la Sale delle Regine accogli i corpi delle sovrane sabaude ed è abbellita con diverse opere scultoree in marmo bianco. Di particolare interesse è il monumento funebre di Maria Teresa di Toscana–Asburgo, moglie di Carlo Alberto, realizzato da Sante Varni come personificazione della Carità. Poco distante si può ammirare il monumento funebre che ritrae la Regina Maria Adelaide d’Asburgo, prima moglie di Re Vittorio Emanuele II: la donna, indebolita da numerose gravidanze, morì a soli 33 anni di tifo e benché moglie del Re d’Italia, non divenne mai Regina, perché scomparsa prima del 1861. Per concludere, osserviamo il monumento funebre di Maria Vittoria dal Pozzo, moglie del Primo Duca d’Aosta, Amedeo Ferdinando, Sovrano di Spagna: Maria Vittoria si dedicò molto al prossimo, ma soprattutto la sua attenzione fu per le donne più povere dell’epoca, le lavandaie che, alla sua morte, inviarono corone di fiori di seta realizzate con le loro mani, ancora oggi conservate nella teca.
Profezie di morte su Casa Savoia
Visitando questo luogo non si può fare a meno di ricordare una sinistra e misteriosa vicenda: molti infatti non sanno alcuni di queste coronate personalità sono state al centro di una profezia annunciata dal santo sacerdote di Valdocco, fondatore dei Salesiani, Don Bosco, il quale nel dicembre del 1854, mentre in Parlamento si discuteva la legge di soppressione degli Ordini religiosi e l’incameramento dei loro beni, fece dei sogni destinati a scuotere le sorti famiglia reale: il santo informò il Re che ci sarebbe stati “grandi funerali a corte” e lo invitava a schivare i castighi di Dio impedendo l’approvazione di quella legge, ma Vittorio Emanuele II non diede ascolto al monito e a breve quanto preannunciato iniziò fatalmente ad avverarsi. È in corso la presentazione del disegno di legge ad uno dei rami del Parlamento, quando si diffonde la notizia di un’improvvisa malattia che ha colpito Maria Teresa, la madre del Re Vittorio Emanuele II, e sette giorni dopo, a soli 54 anni di età, la Regina Madre muore; mentre ritornano dai funerali la moglie del Re, Maria Adelaide, che ha partorito da appena otto giorni, ha un grave malore e muore a soli trentatré anni. E non finisce qui: quella stessa sera, il fratello del Re, Ferdinando, duca di Genova, riceve il sacramento dei morenti e muore una ventina di giorni dopo, anche lui a 33 anni. Nonostante il verificarsi di tutte le previsioni di Don Bosco, il Re sarà irremovibile nel suo intento lasciando procedere il percorso di legiferazione sotto accusa, così a un passo dall’approvazione, si verifica una nuova sconcertante morte nella famiglia reale: muore il piccolo Vittorio Emanuele Leopoldo, il figlio più giovane del Re.
Inoltre si trova un ammonimento di Don Bosco a Re Vittorio Emanuele anche in un suo opuscolo, dove rifacendosi ai suoi sogni e alle sue consuete intuizioni, scriveva testualmente – affinché non firmasse quella legge: “la famiglia di chi ruba a Dio è tribolata e non giunge alla quarta generazione”. Un avvertimento duro e inquietante, che trova corrispondenza nei fatti, nella storia della famiglia Savoia. Di fatto, Vittorio Emanuele II muore a soli 58 anni, pare di malaria; il suo primo successore, Umberto I, muore cinquantaseienne a Monza, sotto i colpi di pistola dell’anarchico Bresci; il secondo successore, Vittorio Emanuele III, scappa di notte, di nascosto, dal Quirinale, l’8 settembre del 1943 e tre anni dopo sarà costretto ad abdicare; infine, il terzo successore, Umberto II, fu un re “provvisorio”, per meno di un mese e, perduto il referendum popolare, deve accettare un esilio senza ritorno. E così alla “quarta generazione”, come scriveva don Bosco, i Savoia non sono giunti.
Tombe dei sovrani d’Italia al Pantheon
Nel gennaio del 1878, in occasione della morte del primo Re d’Italia Vittorio Emanuele II, il Pantheon fu scelto quale Sacrario delle salme dei sovrani italiani. Attualmente accoglie le spoglie mortali di Re Vittorio Emanuele II – detto il “re galantuomo” –, di Re Umberto I assassinato a Monza nel 1900 e della sua consorte, la Regina Margherita di Savoia. Qui sono destinate il loro estremo asilo anche le salme dei Reali d’Italia ancora sepolti in esilio: Vittorio Emanuele III, La Regina Elena, Re Umberto II e la Regina Maria Josè, seppure non si sono spente ad oggi le polemiche riguardo a questa possibilità per i resti di Vittorio Emanuele III e di Umberto II a causa del comportamento addebitato ai Savoia nel periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale e nel corso del secondo conflitto.
C’è una curiosità che riguarda anche le sepolture dei Reali al Pantheon, pure questa parrebbe poco nota. In piazza della Rotonda, dove si erge l’augusto tempio, si trova una targa, murata nel palazzo accanto all’Albergo del Sole, che racconta dell’intervento degli Argentini per risolvere un problema che interessò a lungo il Comune di Roma, ossia, per rispetto ai Reali sepolti nel Pantheon, l’Amministrazione civica cercò in vario modo una soluzione per mantenere intorno alla chiesa una zona di rispettoso silenzio, con una serie di vani tentativi, finché non intervenne il governo di Buenos Aires che, bel 1906, decise di donare alla città di Roma il legno necessario a pavimentare tutta la piazza davanti al Pantheon: gli emigranti argentini non solo regalarono a Roma il legno per la pavimentazione, il quebracho, ma si occuparono anche dell’installazione delle assi e della loro manutenzione, garantendo anche la manutenzione e quindi il silenzio il silenzio voluto in prossimità al sacrario reale, almeno fino al 1950, data in cui il legno fu rimosso.