27 marzo Giornata mondiale del Teatro
Esattamente sessanta anni fa a Vienna, durante il IX Congresso mondiale, l’Istituto Internazionale del Teatro istituì la Giornata che, dal 27 marzo 1962, è celebrata dai Centri Nazionali dell’I.T.I. in tutto il mondo
Raffaele Polo
É dal 1961 che l’appuntamento del 27 marzo è con il teatro. Da allora, infatti, è stata istituita la giornata mondiale del teatro. Anzi, la Giornata Mondiale del Teatro, proprio con le lettere maiuscole, visto l’importanza del tema.
Che, adesso, non può festeggiare proprio nulla perchè se c’è una vittima del Covid, una vittima senza speranza di vaccini, è proprio il Teatro.
Tutto bloccato, tutto chiuso, si può soltanto ripassare le parti e leggere un po’ di Eduardo o di Pirandello, un pizzico di Feydeau e magari le brevissime di Campanile.
Ma il teatro, quello affascinante con il palcoscenico e il sipario, ce lo possiamo dimenticare, almeno per il momento.
Così come le prove affollate e piene di risate, i patemi d’animo e le preoccupazioni che aumentano con l’avvicinarsi del debutto…
Il teatro è chiuso, insomma. E questa giornata si veste di malinconia, abbellita soltanto dalla ‘storia’ che vi proponiamo e che ci piace riportare per intero ed offrire ai lettori come un augurio ricco di speranza per tutti gli amanti del teatro, per tutti coloro che si fanno ancora affascinare dagli attori che recitano…
L’autore del Messaggio Internazionale per la Giornata Mondiale del Teatro del 2020 è stato affidato dall’UNESCO a Shahid Mahmood Nadeem, drammaturgo pakistano, nonché attivista per i diritti umani. Il suo intervento si intitola: “Il teatro è un tempio”:
Alla fine di uno spettacolo del Teatro Ajoka sul poeta sufi Bulleh Shah, un uomo anziano, accompagnato da un giovane, si avvicinò all’attore che aveva interpretato il ruolo del grande Sufi e gli disse: “Mio nipote non sta bene, per favore, lo benedica”. L’attore rimase sorpreso e gli rispose: “Non sono Bulleh Shah, sono solo un attore che interpreta questo ruolo”. L’uomo anziano gli disse: “Figlio mio, tu non sei un attore, sei una reincarnazione di Bulleh Shah, il suo Avatar”. Improvvisamente si dischiuse davanti a noi un concetto completamente nuovo di teatro, in cui l’attore diventa la reincarnazione del personaggio che sta interpretando. Esplorare storie come quella di Bulleh Shah, e ce ne sono tante in tutte le culture, può diventare un ponte tra noi, persone di teatro, e un pubblico inconsapevole ma entusiasta. Quando siamo sul palcoscenico, a volte veniamo assorbiti dalla nostra filosofia di teatro, dal nostro ruolo di precursori del cambiamento sociale e ci dimentichiamo di gran parte delle masse. Nel nostro impegno con le sfide del presente, ci priviamo della possibilità di un’esperienza spirituale profondamente toccante che il teatro può offrire. Nel mondo di oggi in cui l’intolleranza, l’odio e la violenza aumentano sempre di più, e in cui il nostro pianeta sta precipitando nella catastrofe climatica, abbiamo bisogno di recuperare la nostra forza spirituale. Abbiamo bisogno di combattere l’apatia, l’indolenza, il pessimismo, l’avidità e il disprezzo per il mondo in cui viviamo, per il pianeta in cui viviamo. Il teatro ha un ruolo, un ruolo nobile, nel dare energia e spingere l’umanità a resistere alla sua caduta nell’abisso. Il teatro può trasformare il palcoscenico, lo spazio dello spettacolo, rendendolo qualcosa di sacro. Nell’Asia del sud, gli artisti toccano con riverenza le assi del palcoscenico prima di salirvi sopra, secondo un’antica tradizione che risale a un tempo in cui lo spirituale e il culturale si intrecciavano. È tempo di riguadagnare questa relazione simbiotica tra l’artista e il pubblico, tra il passato e il futuro. Fare teatro può essere un atto sacro e gli attori possono davvero diventare gli avatar dei ruoli che interpretano. Il teatro ha il potenziale per diventare un tempio e il tempio uno spazio dello spettacolo.
Un messaggio, una parola che facciamo nostro, totalmente. E che ci trova completamente d’accordo, soprattutto in questa realtà velata di amarezza e malinconia.