Lo scostumato pop surrealismo di Max Hamlet Sauvage
Ci sono due cose che mi hanno sempre sorpreso: l’intelligenza degli animali e la bestialità degli uomini” (Tristan Bernard)
Dario Ferreri
Il mio primo incontro con la colorata e peculiare arte di Max Hamlet Sauvage avvenne circa una ventina di anni fa grazie alla vista di una sua litografia in casa di una parente. Confesso che il disturbante impatto iniziale, attutito negli anni grazie alle ripetute analisi visive dell’opera, si è nel tempo tramutato in interesse per l’artista grazie all’approfondimento ed apprezzamento dei filoni artistici noti come pop surrealism e lowbrow, di chiara provenienza e matrice americana e che in Italia, almeno fino a pochi anni or sono, hanno goduto di scarsa popolarità nel mondo dell’arte cosiddetta “highbrow” (arte “colta”).
Da circa una decina d’anni, nel nostro paese, sono aumentati gli artisti ritenuti ispirati dal movimento pop surrealista americano (e spesso snobbati dalla critica in quanto, secondo alcuni, meri riproduttori di clichè ed iconografie già sperimentate oltreoceano nei precedenti anni) e che hanno iniziato a far apprezzare l’ universo creativo di riferimento di tale filone artistico che, proprio perchè pop, è immediato, accattivante ed assai apprezzato dal pubblico.
Alcuni di questi artisti, che oggi collaborano con gallerie underground e circuiti lowbrow, pur avendo il loro pubblico e mercato di riferimento, non godono di favore di critica per i motivi sopra espressi, altri, invece, ed a titolo esemplificativo cito quelli assegnati al “progetto” italian newbrow (neologismo coniato dal critico d’arte Ivan Quaroni), collaborano anche con gallerie storiche e sono inseriti in circuiti collezionistici più tradizionali.
In tale contesto, la “strana” presenza ed opera di Max Hamlet Sauvage, attivo sulla scena artistica già dalla fine degli anni ’70, proprio nel periodo in cui emerge in California il pop surrealismo, rappresenta certamente, per cifra artistica, gusto pop ed elementi iconografici e culturali di ispirazione, uno dei pochi casi di artisti italiani originali che possono essere meritatamente ascritti a tale filone artistico.
L’artista dipinge (l’acrilico è il suo medium preferito) e crea statue in molti diversi materiali; l’ossessione per la serialità del pop si traduce anche nell’utilizzo di tecnica mista (serigrafia su tela ed acrilico) che fa riproporre, all’artista, negli anni, alcune sue scene ed immagini iconiche con leggere variazioni di dimensione, colore e/o particolari del dipinto, che vanno a comporre una sorta di “multipli”, solo leggermente differenti gli uni dagli altri, che raccontano l’ispirazione, la vita e le esperienze contingenti dell’artista (e forse anche una strizzata d’occhio al mercato).
Esibizionista, sfrontato, sessista, respingente e talentuoso sono aggettivi che potrebbero calzare a pennello per definire di primo impatto l’artista, salvo poi ricredersi o confermare la prima impressione dopo averlo incontrato di persona.
Max Hamlet Sauvage, classe 1950, nasce a Gallipoli (LE). La formazione di questo poliedrico artista parte dal 1969, anno in cui segue i corsi di pittura della Scuola d’Arte Castello Sforzesco di Milano e successivamente frequenta l’atelier di Arti incisorie sotto la guida del professor Pasquale D’Orlando. Nel 1972 frequenta i corsi della scuola libera di Anatomia a Brera (Milano). Nel 1984 si iscrive ai corsi di fotografia all’Istituto ISAD con Luciana Mulas e successivamente al Circolo Filologico Milanese (sezione fotografica) con l’insegnante prof. Virgilio Carnisio. Fotografa dal 1970. Ha incontrato molti artisti famosi nella sua vita.
Suoi epigoni di riferimento, più volte omaggiati con delle serie tematiche, sono i grandi Andy Warhol, Max Ernst, Renè Magritte, Giorgio De Chirico, Roy Lichtenstein e Salvador Dalì, solo per citarne alcuni.
Se Max Hamlet Sauvage fosse vissuto in America, patria del pop surrealismo, forse le sue fortune artistiche sarebbero nettamente superiori; lo ha penalizzato, ritengo, il fatto di aver frequentato, artisticamente parlando, soprattutto mercati ed ambienti francofoni e nazionali che, come ho già avuto modo di sottolineare, hanno tributato poco interesse ed attenzione al filone artistico cui lui, pur se con le sue peculiarità, potrebbe essere ascritto.
Ciò che colpisce della sua produzione è il rifiuto di indulgere in una iconografia estetica socialmente accettabile, caratteristica invece abbastanza frequente nel pop surrealismo, e privilegiare tematiche di denuncia sociale, critica storica e rivisitazioni artistiche attraverso il suo ormai famigerato “universo zoomorfo metropolitano”.
Il sesso, i soldi, il potere, l’erotismo, l’androcentrismo, il piacere, lo zoomorfismo e la saturazione dei colori rappresentano i leitmotiv della pittura surrealista di Max Hamlet Sauvage, che attinge a piene mani, ma rielaborando originalmente, dal macrocosmo del pop e dall’iconografia dei cartoon. Le sue opere, sia i dipinti che le sculture, non passano inosservate e la carnalità e la crudezza di molti suoi lavori non sono per tutti, soprattutto nel Salento, dove in molte case sovente la fanno da padrone noiosi dipinti che ritraggono paesaggi, fiori, silhouette classiche e visi rassicuranti che garantiscono una confort zone domestica.
Come ha detto Banksy “l’arte deve disturbare il comodo e confortare il disturbato” e le opere di Max Hamlet Sauvage assolvono egregiamente al duplice scopo e molti suoi lavori rappresentano di certo “pezzi da conversazione”.
Nel corso della sua carriera artistica ha sinora esposto in Italia e Francia, con qualche puntata anche, in passato, a Londra, Praga e New York.
Il Museo Pinacoteca “Enrico Giannelli” di Parabita, ospita in permanenza il corpus di sue opere “Sculture biomorfiche- dall’idea all’anima della forma (opere inedite disegni e sculture- anni ’75-85)”. Attualmente Max Hamlet Sauvage vive e lavora a Tuglie (LE).
Per seguire l’artista: https://maxhamletsauvage.wordpress.com/about/;
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