Arte liberata. Capolavori salvati dalla guerra
Fino al 10 aprile nelle Scuderie del Quirinale in mostra oltre cento opere salvate durante la Seconda Guerra Mondiale
Antonietta Fulvio
ROMA. Dal Discobolo Lancellotti alla Danae di Tiziano Vecellio a Santa Palazia di Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino, dai celebri ritratti di Alessandro Manzoni di Francesco Hayez e di Enrico VIII di Hans Holbein il Giovane fino a numerosi capolavori custoditi nella Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, quali Crocefissione di Luca Signorelli, l’Immacolata Concezione di Federico Barocci e la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca. Sono solo alcuni delle meravigliose opere salvate durante la Seconda Guerra Mondiale e che oggi possiamo ammirare solo grazie al coraggio e alle azioni di uomini e donne che per esse non esitarono a mettere in pericolo la propria vita. Perché, dovremo ricordarlo costantemente, la guerra distrugge sempre ogni cosa, mirando all’identità dei popoli e annientando i segni della civiltà. E sta accadendo ancora in Ucraina, e continua ad accadere in tanti angoli del mondo sacrificando vite umane in nome del potere. «Ogni guerra – come si legge nell’enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco – lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male».
La mostra “Arte Liberata 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra” ci riporta indietro nel tempo e ci fa riflettere su un ulteriore e drammatico aspetto legato alla guerra. Ad ospitarla fino all 10 aprile 2023 sono le Scuderie del Quirinale tra gli enti organizzatori insieme alla Galleria Nazionale delle Marche, l’ICCD – Istituto Centrale per il catalogo e la Documentazione e l’Archivio Luce – Cinecittà.
«È una mostra di storie. Storie di donne, di uomini, di opere d’arte protette, salvate, perse e recuperate. Il racconto della tutela in tempo di guerra resta un monito sui rischi che corre il patrimonio artistico, messo in salvo dagli interpreti di una vera e propria epopea: le loro gesta eroiche costituiscono un esempio di patriottismo e di senso del dovere, testimoniando l’efficacia dell’azione di un’intera generazione di funzionari dello Stato che mise in salvo l’immenso patrimonio culturale italiano, offrendolo alle generazioni successive.» è il commento di Mario De Simoni, direttore delle Scuderie del Quirinale dove sono esposti oltre cento capolavori salvati durante la Seconda Guerra Mondiale, più un ampio panorama documentario, fotografico e sonoro – riuniti grazie alla collaborazione di ben quaranta Musei ed Istituti – per un racconto avvincente ed emozionante di un momento drammatico per il nostro Paese. La narrazione che ne consegue impone una riflessione importante sulla tutela del patrimonio artistico e architettonico in situazioni gravi come fu all’epoca il secondo conflitto mondiale ma che oggi più che mai, si ripresenta attuale perché la guerra, oltre a distruggere vite innocenti sgretola intere città e con esse anche quei segni tangibili delle antiche civiltà, della bellezza che l’uomo, da sempre, è capace di produrre. Se solo si limitasse a questo la Terra sarebbe un Paradiso e non l’Inferno che le immagini cruente dei telegiornali ci restituiscono. D’altronde la fragilità del patrimonio artistico è una questione estremamente complessa, se si pensa che al tema del pericolo in tempo di guerra bisogna anche aggiungere quello causato dall’incuria e dalle calamità naturali. Il recentissimo terremoto in Turchia e in Siria, ci rimanda proprio in questi giorni alle immagini di una catastrofe umanitaria senza precedenti, ma se è la terra a tremare, a seppellire migliaia di persone e a polverizzare siti archeologici rari, a maggior ragione si dovrebbero far tacere le armi: la loro è una distruzione che, contrariamente ai terremoti, si può fermare.
Recentemente sul piccolo schermo è andato in onda il film dedicato a Fernanda Wittgens prima donna a dirigere un’Accademia prestigiosa come quella di Brera. E non solo, Fernanda Wittgens fece parte di quella schiera di Soprintendenti e funzionari dell’Amministrazione delle Belle Arti – spesso messi forzatamente a riposo dopo aver rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò – che, coadiuvati da storici dell’arte e rappresentanti delle gerarchie vaticane, si resero interpreti di una grande impresa di salvaguardia del patrimonio artistico-culturale. Stiamo parlando oltre alla Wittgens, di Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli, Emilio Lavagnino, Vincenzo Moschini, Pasquale Rotondi, Noemi Gabrielli, Aldo de Rinaldis, Bruno Molajoli, Francesco Arcangeli, Jole Bovio e Rodolfo Siviero, agente segreto e futuro ministro plenipotenziario incaricato delle restituzioni. Senza armi e con mezzi limitati, intuendo la minaccia che incombeva sulle opere d’arte per evitarla si schierarono in prima linea, consapevoli del valore educativo, identitario e comunitario dell’arte. Fu quello un momento determinante per avviare una riflessione sulla tutela dei beni culturali e successivamente sui temi del restauro e della museografia.
«La túche, il destino o la sorte a cui i greci antichi sottopongono le avventure di dei e di uomini, è il sostantivo che meglio si addice alle opere riunite in questa mostra – spiega la curatrice Raffaella Morselli. – Ognuna di loro avrebbe potuto non esserci più se qualcuno non avesse lavorato perché questa o quella fosse imballata, nascosta, trasportata, salvata. La resistenza delle storiche e degli storici dell’arte, in quella che è stata la guerra degli oggetti, è stata la chiave di volta per determinare la fortuna del patrimonio italiano in pericolo durante la II guerra mondiale. Questa mostra cuce, per la prima volta, tante storie di singoli operatori animati da una forte coscienza civica, e trasforma le loro singolarità in una grande epopea collettiva di passione e di impegno».
La mostra si articola in tre principali filoni narrativi. Le esportazioni forzate e il mercato dell’arte – è la prima sezione e si riferisce all’alterazione subita dal mercato dell’arte all’indomani della stipulazione dell’asse Roma-Berlino (1936); per assecondare le brame collezionistiche di Adolf Hitler ed Hermann Göring, i gerarchi fascisti favorirono il permesso di cessione di importanti opere d’arte, anche sotto vincolo, come il Discobolo Lancellotti (vincolato dal 1909), copia romana del celebre bronzo di Mirone – fra le opere di spicco della rassegna – o i capolavori della collezione Contini Bonacossi di Firenze.
Spostamenti e ricoveri è il secondo filone narrativo: nel 1939 con l’invasione della Polonia da parte di Hitler, il ministro dell’educazione Giuseppe Bottai mise in atto le operazioni di messa in sicurezza del patrimonio culturale, con la conseguente elaborazione del piano per lo spostamento delle opere d’arte. Da qui si dipanano molte storie: i rapporti tra i sovrintendenti italiani e il Vaticano, l’impegno dei singoli funzionari per inventariare e nascondere i beni culturali nel Lazio, in Toscana, a Napoli, in Emilia e nel Nord Italia, l’impegno fondamentale di curatrici donne, quali Fernanda Wittgens, Palma Bucarelli, Noemi Gabrielli, Jole Bovio ed altre, nonché la razzia della Biblioteca Ebraica di Roma.
Tra le figure-chiave di questa sezione figura Pasquale Rotondi, il giovane soprintendente delle Marche che fu incaricato di approntare un deposito nazionale e mise in salvo nei depositi di Sassocorvaro e Carpegna capolavori provenienti da Venezia, Milano, Urbino e Roma, per un totale di circa diecimila opere sotto la sua custodia.
Un caso esemplare nella formazione di un’identità professionale degli storici dell’arte italiani.
Il terzo ed ultimo filone – La fine del conflitto e le restituzioni – prende in considerazione le missioni per il recupero e la salvaguardia delle opere trafugate al termine della guerra. Ai funzionari italiani si affiancarono gli uomini della “Monuments, Fine Arts, and Archives Program” (MFAA), una task force composta da professionisti dell’arte provenienti da tredici diversi paesi ed organizzata dagli Alleati durante il secondo conflitto mondiale per proteggere i beni culturali e le opere d’arte nelle zone di guerra.
Con la fine della guerra ebbe inizio l’avventura delle restituzioni dei beni trafugati dai nazisti con oltre seimila opere ritrovate finora.
Il pubblico potrà inoltre ammirare centoquaranta riproduzioni fotografiche e oltre trenta documenti storici e visionare più di una ventina di estratti da filmati d’epoca; testimonianze significative di una delle pagine più drammatiche della storia del nostro Paese.