Eravamo innamorati del vero De Nittis, Netti, Toma, De Nigris
Artisti pugliesi da Napoli a Parigi e il linguaggio rivoluzionario della loro pittura. Fino al 18 ottobre 2025 al Must di Lecce
«Eravamo innamorati del vero e ci bastava vedere un bell’effetto di luce, una bella nuvola, un bel crepuscolo per essere felici. Non speranza o desiderio di onori, non di ricchezze; nostra sola speranza era quella di acchiappare il bello fugace del vero, e fissarlo sulla tela»
Così il pittore e architetto teramano Gennaro Della Monica (1836-1917) ricordava nelle sue memorie l’esperienza condivisa con gli artisti della Scuola di Resina legata al verismo e alla corrente dei macchiaioli.
Eravamo innamorati del vero. De Nittis, Netti, Toma, De Nigris. Artisti pugliesi tra Napoli e Parigi è il titolo dato all’esposizione, in corso fino al prossimo 18 ottobre 2025, che ha riunito per la prima volta nelle sale del Must, Museo Storico di Lecce, quattro artisti pugliesi: il barlettano Giuseppe De Nittis (Barletta, 1846-Saint-Germain-en-Laye, 1884), il salentino Gioacchino Toma (Galatina, 1836-Napoli, 1891), il santermano Francesco Netti (Santeramo in Colle, 1832-1894), il foggiano de Giuseppe Nigris (Foggia, 1832-Napoli, 1903). Tutti e quattro, costretti per l’assenza di istituzioni formative artistiche in Puglia, a partire alla volta di Napoli per studiare al Real Istituto di Belle Arti dove insegnavano gli artisti Filippo Palizzi e Domenico Morelli, esponenti del verismo napoletano, che fu la vera forza motrice del cambiamento dell’arte italiana del secolo XIX.

Gioacchino Toma, Roma o morte! 1863, Olio su tela, cm 49×39, Comune di Lecce 
Fête à Grez – 1869, Olio su tela, cm 47×67, Pinacoteca Metropolitana Corrado Giaquinto 
Luisa Sanfelice in carcere, 1874 Olio su tela, cm 63×79, Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli 
Giuseppe De Nittis, Sull’Ofanto, Olio su tela, cm 50×58, Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli
Un secolo segnato da grandi trasformazioni sociali, politiche ed economiche in Italia e in Europa e l’arte ne registrò i fermenti e i turbamenti. «L’epoca artistica – scrive il sindaco Adriana Poli Bortone – è quella dell’Impressionismo dei grandi autori francesi, un periodo che in Italia vide affermarsi un movimento originale che oggi conosciamo come il “Verismo napoletano”, legato alla scuola partenopea dell’Ottocento. Napoli, grande crocevia culturale, culla delle arti e della filosofia, diede impulso alla vena creativa di notevoli talenti, alcuni dei quali pugliesi, che incarnarono questa modernità dando vita ad opere di straordinaria intensità. Grazie alla collaborazione con Isabella Valente, docente di Storia dell’arte all’Università Federico II di Napoli (curatrice della mostra nata da un’idea dell’architetto Claudia Branca, nda), il Must vuole offrire ai leccesi ed ai visitatori l’occasione di conoscere oltre cinquanta opere di quella corrente innovativa. Perizia tecnica, profonda sensibilità ed influenze francesi fanno delle produzioni pittoriche di questi quattro autori espressioni uniche del loro genere e di formidabile impatto emotivo».
Una selezione di cinquantatrè dipinti che evidenzia i differenti percorsi intrapresi dai quattro artisti pugliesi –De Nittis, Netti, Toma, De Nigris – sempre in direzione del vero, unico obiettivo da perseguire sia nella rappresentazione del proprio universo, sia nella ricostruzione immaginata di eventi storici e paesi lontani. Si formarono a Napoli ma volsero lo sguardo al mondo e soprattutto verso Parigi che stava sempre più assumendo il ruolo di capitale delle arti. Dalle opere, infatti, emergono le profonde connessioni che i quattro artisti hanno saputo realizzare tra le loro radici pugliesi e la scuola napoletana ottocentesca, ma acquisendo allo stesso tempo la libertà della pittura parigina degli anni felici dell’Impressionismo, inserendosi così in un mercato ramificato e internazionale.
Significativa è la sinergia che vede collaborare prestigiosi istitutuzioni museali che hanno concesso le opere in prestito: Il Museo e Real Bosco di Capodimonte, il Museo e Certosa di San Martino, la galleria dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, il Museo Civico di Castel Nuovo, le Gallerie d’Italia e la Città Metropolitana, la Pinacoteca Metropolirana Corrado Giaquinto di Bari, La Pinacoteca comunale “Giuseppe de Nittis” di Barletta, il Polo Museale Museco di Conversano, il Must di Lecce e il Comune di Lecce ai quali si aggiungono le opere di collezioni private di Puglia e Campania. Un percorso espositivo che diventa occasione per rinnovare l’attenzione su Gioacchino Toma, la cui ultima esposizione personale risale al 1995, e su Giuseppe de Nigris, al quale viene dedicato per la prima volta uno spazio autonomo che consente di ricostruirne la produzione e la personalità. Un’immersione nella bellezza e nella sensibilità pittorica di questi quattro artisti pugliesi dal respiro internazionale.
Giuseppe De Nittis, di indole ribelle, fu espulso per indisciplina dall’Accademia dove studiava con Smargiassi e insieme ad altri pittori si dedicò alla pittura di paesaggio en plein air come dicevano i francesi. Nel 1864 fu notato da Adriano Cecioni tra gli affiliati della Scuola di Resìna, fondata alle falde del Vesuvio, nel 1863 da Marco De Gregorio (1829-1876) cui aderirono, tra altri, il napoletano Federico Rossano, Enrico Gaeta e il siciliano Antonino Leto. La Scuola di Resina era in netta contrapposizione con l’ambiente accademico partenopeo e si proponeva come un’arte indipendente, nelle loro tele dipinte all’aria aperta il senso della luce e dell’atmosfera veniva colto attraverso la freschezza dell’immagine. Di quel periodo sono La traversata degli Appennini 1867, (olio su tela, 44 x 76 cm. Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte e Sull’Ofanto, Olio su tela, cm 50×58, opera scelta come immagine guida della mostra. Nel 1866, De Nittis è a Firenze dove si avvicinò ai Macchiaioli, l’anno seguente dopo aver viaggiato in diverse città italiane, si trasferì a Parigi. Qui conobbe Ernest Meissonier e Jean-Léon Gérôme e sposò due anni più tardi la parigina Léontine Lucile Gruvelle. Con la sua arte De Nittis conquistò Parigi, – fu infatti tra i partecipanti all’esposizione nello studio di Nadar a Parigi nel 1874 – e dipinse con una moderna eleganza le giovani dame parigine. L’Esposizione Internazionale parigina, nel 1878, riservò grandi onori e fu insignito della Legion d’onore. Morì – come recita l’epitaffio scritto da Dumas figlio – «a 38 anni nel pieno della giovinezza nel pieno della gloria come gli eroi e i semi-dèi.»
Nato dal ricco proprietario terriero Nicola Netti, il giovane Francesco si formò a Napoli, dove si laureò in Giurisprudenza, al contempo prendeva lezioni private da Domenico Morelli ed entrò nel 1855 nella Real Accademia per poi proseguire a Roma gli studi di pittura (1856-1859). Durante il soggiorno napoletano entrò in contatto con il movimento artistico della Scuola di Resìna e anche lui, come De Nittis, approdò poi a Parigi dove incontrò e strinse amicizia con Giuseppe Palizzi e con gli aderenti alla Scuola di Barbizon. Tra i lavori esposti ammiriamo del periodo parigino Fête à Grez – 1869 conservato nella Pinacoteca Corrado Giaquinto e Dopo il veglione (o La sortie du bal), 1872 (Capodimonte). Nel 1871 fece ritorno a Napoli, dove frequentò il gruppo della Scuola di Resìna e molti suoi lavori furono ispirati agli scavi archeologici che stavano svelando i volti di Pompei ed Ercolano. Dopo un viaggio in Oriente, subì il fascino del mondo orientale e la sua produzione pittorica si rinnovò come testimonia ad esempio l’opera Ricamatrici levantine, proveniente dal Museo del palazzo Comunale di Conversano.
Nato a Foggia, a sedici anni, insieme al pittore foggiano Vincenzo Dattoli, Giuseppe De Nigris andò a Roma per ragioni di studio; ma fu tratto in arresto, per sospetta attività di carbonaro e rimandato in patria. Si trasferì quindi a Napoli dove studiò alla Real Accademia come allievo di Giuseppe Mancinelli. Partecipò a mostre della Promotrice napoletana, in particolare nel 1859 espose Paesaggio con Ossian e giovinetta che suona la cetra conservata nella Reggia di Caserta. Dopo una parentesi romana, fece ritorno a Napoli liberata dai Borboni e dopo l’Unità d’Italia aggiunse alle nature morte e alle scene di genere anche i soggetti patriottici e scene neo-pompeiane. Direttamente dalla Città metropolitana sono esposte due sue opere emblematiche: Le merveilles du chassepot che ritrae in un paesaggio desolato un carro francese, come testimonia la scritta “Equipages militaires n. 60”, trainato da due coppie di cavalli, guidati da due soldati, che trasporta i corpi dei valorosi garibaldini riconoscibili dalle loro camicie rosse. Esposto alla VII Promotrice napoletana del 1870 il dipinto fu eseguito nei primi mesi di quell’anno e si riferisce alla disfatta di Mentana delle truppe garibaldine, fermate il 3 novembre 1867 alle porte di Roma dai Francesi accorsi in difesa dello Stato Pontificio.
La mano del ladro, presentato alla Promotrice del 1864 colpisce per l’originalità del soggetto e la grandezza del ‘vero’. Ritrae una scena di vita quotidiana: una porta chiusa e un cane che tenta di mordere la mano del ladro infilata nello sportellino.
Il salentino Gioacchino Toma trascorse la sua fanciullezza in un ospizio di poveri, da cui fuggì per raggiungere Napoli dove prese parte alle lotte di liberazione italiana e conobbe il confino a Caserta e il carcere ad Isernia. Dopo l’esperienza da volontario garibaldino, emblematico il dipinto Roma o morte!. Una volta liberato, tornò a Napoli, dove ottenne il posto di professore di disegno nel Reale Istituto di Belle Arti, arrotondando i guadagni con delle lezioni di disegno presso l’Ospizio femminile di San Vincenzo Ferreri e nella Scuola Operaia. Lasciato in disparte senza riconoscimenti per la sua arte, si isolò dedicandosi allo studio dell’umanità sofferente e delusa, prediligendo gli ambienti interni, i toni grigi e i soggetti femminili, quasi a voler riscattare le donne da una condizione oggettiva di inferiorità in cui si trovano restituendo loro dignità e centralità nella composizione pittorica. Tra le opere in mostra Roma o morte! 1863, Olio su tela, cm 49×39, di proprietà del Must; Luisa San Felice in carcere, Le due madri, 1874, Il refettorio delle cieche, 1890 ca, provenienti dal Museo di Capodimonte e Un rigoroso esame del Sant’Uffizio, 1864, La messa in casa 1877 dal Museo Civico di Castel Nuovo. (an.fu.)

