Lo zoo fantastico di Peter Opheim

Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell’arte contemporanea

“Nell’uomo autentico si nasconde un bambino: che vuole giocare” (Friedrich Nietzsche)

Dario Ferreri

Peter Opheim è un artista americano, nato nel 1961 a Landstuhl, in Germania. Cresciuto in Minnesota e laureato al St. Olaf College, ha trascorso un semestre in Thailandia prima di laurearsi e molti dei suoi anni post laurea viaggiando in tutto il mondo, consapevole della necessità di basi culturali ampie ed internazionali. Attualmente vive e lavora prevalentemente a New York.


Dopo 25 anni di attività artistica nell’astrazione, dal 2011 Opheim vira verso la figurazione ed ha come obiettivo quello di rappresentare immagini mai dipinte prima e che non esistevano, se non, esclusivamente, nella sua immaginazione.
E così che nascono i suoi lavori raffiguranti immaginifiche e strane figure di play-doh (nome commerciale di un materiale plastico modellabile -tipo plastilina, per intenderci- prodotto e commercializzato dalla Hasbro).
Quello dell’artista è un mondo personale e fantastico dove convivono natura morta e plasticità, ritrattistica e deformata anatomia animale: i soggetti delle sue creazioni non esistono nella realtà, sono strani animaletti e figure irregolari che lo stesso artista, prima di ritrarre ad olio su tele di grandi dimensioni (che le fanno quindi “vivere” a grandezza naturale), plasma manualmente in piccoli modelli.
Il grottesco zoo della sua fantasia è un fiume creativo in piena: pelli colorate, occhi sporgenti, porzioni disarticolate e/o fuori luogo, forme sinuose ed accattivanti ed immagini ludiche di antica memoria che hanno un immediato rimando al mondo dell’infanzia, l’oggetto principale della riflessione artistica di Opheim: una infanzia in bilico tra stupore e curiosità per forme e colori da un lato, ma anche tra paure infantili e paure archetipe celate dietro l’apparente innocenza delle fiabe.
I suoi medium preferiti sono l’olio su tela o legno ed anche l’acquerello su carta; l’artista spesso sembra scolpire più che dipingere. Le sue opere sono caratterizzate da superfici spesse ed incredibilmente tattili, grazie a sapienti e strutturate pennellate espressive, che permettono all’artista di riprodurre luci ed ombre molto realistiche e di rendere efficacemente la consistenza del materiale plastico di cui le sue creature sembrano essere composte. In questo processo anche il sapiente accostamento di colori, in grado di evocare differenti sensorialità e sensazioni, perfeziona la tridimensionalità dei soggetti.


Il processo artistico di Opheim è piuttosto dettagliato, come lui stesso ebbe ad affermare durante una recente intervista: “mi piace pensare alle mie opere come a dipinti su dipinti su dipinti su dipinti. Un accumulo di segni, linee, colori e forme diverse, ma anche temi e temperamenti, che crea uno spazio immaginato e una forma di storia”. I suoi soggetti sono fortemente stratificati e densi di pittura, ma, sempre, serenamente aggraziati.
L’artista lavora la superficie delle sue opere strato per strato, costruendo e raschiando via; la superficie finale non solo luccica con sfumature vibranti, ma proietta anche una visione multidimensionale che colma il divario tra il pittorico e lo scultoreo, e, con il suo uso magistrale del colore, lo spettatore viene sfidato ad esplorare le creature dei suoi dipinti sia a livello intellettuale che emotivo.
Peter Opheim riesce ad aggiungere valore artistico a quello che sembra un innocente gioco per bambini: le sue creazioni sono finestre su un mondo diverso da tutti gli altri, popolato dalla giustapposizione non convenzionale e provocatoria di figurazione infantile con background gnoseologici ed emozionali adulti e possono persino essere interpretate come una sorta di parodia del ritratto classico o come una semplice personificazione delle emozioni più comuni.
Peter Opheim ha partecipato e partecipa a molte prestigiose mostre nazionali e internazionali, nel 1995 ha ricevuto il Pollock/Krasner Foundation Grant e nel 1996 ha ricevuto il premio d’artista dagli Amici dell’Arte Contemporanea del Museo del New Mexico di Santa Fe. Sue opere sono state acquisite in importanti collezioni aziendali (Hallmark, Northwest Airlines, Venetian Hotel di Las Vegas, ecc) ed alcune sono nelle collezioni permanenti di diversi musei negli Stati Uniti e nella Corea del Sud.
Espone regolarmente in numerose gallerie americane (Parks Fine Art e Marloe Gallery di New York, Steven Zevitas Gallery di Boston e Zevitas/Marcus Gallery di Los Angeles, solo per citarne alcune) ed in giro per il mondo (Askeri Gallery di Mosca, Columns Gallery di Seul, Johanssen Gallery di Berlino, Hankyu Umeda Gallery di Osaka, Powen Gallery di Taipei, ecc). Un paio di anni fa è stato per la prima volta ospitato in una collettiva d’arte anche in Italia (“Universes” presso la Tales of Art Gallery di Imola, con la curatela di Sasha Bogojev).
Per un tuffo nel suo colorato universo, l’indirizzo web è https://www.peteropheim.com/