Napoli dentro. La fotografia e lo sguardo di Augusto De Luca

Intervista al fotografo napoletano autore del progetto fotografico “Napoli Grande Signora” edito da Gangemi. Nato a Napoli il 1 luglio 1955, Augusto De Luca ha ritratto personaggi famosi, luoghi e opere d’arte. Le sue foto sono entrate nelle collezioni di prestigiose istituzioni.

Antonietta Fulvio

Scegliere di raccontare per immagini non è affatto semplice come si può credere. C’è un esercizio che va oltre lo sguardo e coinvolge cuore e testa. Lo sa bene il fotografo napoletano Augusto De Luca che ha ritratto personaggi famosi, luoghi, architetture e opere d’arte. Dal 1970 ha realizzato mostre ad ogni latitudine, firmato progetti artistici che hanno lasciato il segno. Le sue foto sono entrate a far parte di collezioni di istituzioni prestigiose, dalla Biblioteca nazionale di Francia all’Archivio Fotografico Comunale del Museo di Roma, dal Centro Nazionale per le Arti dello Spettacolo di Pechino al Museo de la Photographie di Charleroi e la Collection Polaroid. Nato all’ombra del Vesuvio, ha ritratto Napoli cogliendo l’essenza e la bellezza di una città millenaria oltre il folclore e l’oleografia della Napoli sole pizza e mandolino finito in un bellissimo progetto “Napoli Grande Signora” edito da Gangemi qualche anno fa.

«Non solo un omaggio alla bellezza della mia città, ma anche una profonda esplorazione del suo spirito. Napoli Grande Signora è un viaggio visivo attraverso una città sospesa nel tempo, rappresentata senza la presenza umana, solo attraverso le sue architetture, i suoi spazi e i giochi di luce che la attraversano. Sono nato a Napoli, dove ho vissuto stabilmente fino a qualche anno fa. L’allontanamento mi ha fatto scoprire il grande segreto di questa città che, con i suoi abitanti, rappresenta un unicum straordinario. È lo scontro del FUOCO del Vesuvio con L’ ACQUA del Golfo che governa le funzioni vitali di tutto l’universo partenopeo. Così nascono stimoli creativi e grandi passioni. Ed ecco venir fuori cento, mille Napoli. La Napoli di opere magiche quotidiane legate alle emozioni, alle angosce, alle paure di timbro infantile. La Napoli del mistero che ha per effetto di dare a ciascun accadimento, per quanto familiare e riconoscibile, un carattere di mai veduto e di coltivare, in tale spiazzamento, la più profonda e singolare delle seduzioni.»

Ha già spiegato che il progetto Napoli Grande Signora è dedicato alla sua città ma quando ha concepito il progetto e quando sono state scattate le foto? 

«Nel 1995, fui contattato dagli addetti al marketing della TAV (treno alta velocità), che mi proposero di realizzare dei libri fotografici su  tutte le città che il treno avrebbe attraversato. Io vivendo in quel periodo a Roma iniziai proprio col fotografare la Città Eterna, ma l’anno successivo, mi dedicai completamente alla mia città: Napoli. Però alcune delle immagini che sono nel libro le ho realizzate nel 1986, quando pubblicai per le edizioni Diaframma/Canon, casa editrice della famosissima galleria omonima di Milano, il mio primo libro fotografico intitolato “Napoli mia”».

Napoli Grande Signora è un progetto editato da Gangemi in cui ci sono i contributi di voci autorevoli di Napoli,
tra i quali  Barra, Carosone, De Crescenzo, Murolo, Sastri. Un ricordo per ognuno di loro….

Beppe Barra foto di Augusto De Luca

«Peppe Barra:
realizzai molti scatti sfruttando proprio tutto quello che avevo intorno.Uno lo realizzai al secondo piano della sua abitazione, dove sulla parete è dipinto un trompe l’oeil con una maschera di Pulcinella. Misi la fotocamera su di un cavalletto in modo da avere uno sfondo fisso e chiesi a Peppe di caratterizzare i diversi scatti con un’espressione sempre diversa, replicando i vari stati d’animo di un Pulcinella in carne ed ossa, una maschera che nessuno meglio di lui poteva interpretare.

Renato Carosone foto di Augusto De Luca

Renato Carosone:
mi venne ad aprire e mi fece subito accomodare in un grande salone dove campeggiava un bellissimo pianoforte nero, a coda lunga: una vera meraviglia. Poi per rompere il ghiaccio sorridendo con un’espressione di sfottò mi disse:
“Tu ti chiami Augusto…ma sei romano?” Ed io risposi stando al suo gioco:

“No maestro, non ho rapporti di parentela con Cesare. Sono napoletano verace” Allora lui sorridendo mi diede una pacca sulla spalla e citando le parole di una sua famosissima canzone replicò:

“Sient’ a mme, nun ce sta niente ‘a fa’, ok, napulitan”

Luciano De Crescenzo foto di Augusto De Luca

Luciano De Crescenzo:
ogni parola, ogni frase diventavano motivo e spunto per raccontare aneddoti e storie incredibili. Rimasi affascinato nel sentirlo parlare per un’oretta. A lui piaceva moltissimo conversare, incurante del tempo che trascorreva. Era un uomo che non aveva fretta. Io, chiaramente, non riuscii a dire molto; erano talmente accattivanti i suoi discorsi che avevo solo voglia di ascoltarlo. Il tutto era condito sempre e comunque da uno spiccato senso di ironia e comicità.

Roberto Murolo:
quasi ogni giorno, uscendo da casa mia, passavo in via Domenico Cimarosa, dove, alla finestra del primo piano di un antico palazzo di inizio Novecento, era sempre affacciato Roberto Murolo, che rispondeva, agitando la mano, a tutti i passanti che gli sorridevano. Anche io, ogni volta, lo salutavo, e lui faceva un cenno, alzando la testa, come se mi conoscesse. Appena entrai nel salone della sua casa, Murolo, vestito con jeans, scarpe da ginnastica e un gilet rosa, diede il benvenuto alla giornalista e, rivolgendosi a me, disse:
“Ciao, come stai? Ma abiti qui vicino?” Io gli risposi:
“Sì maestro, proprio qui dietro, non pensavo che mi riconoscesse”. E lui, facendosi una bella risata, replicò:
“Ho ottantadue anni, ma sono ancora lucido e con gli occhiali ci vedo benissimo”.

Lina Sastri foto di Augusto de Luca

Lina Sastri :
io ero un po’ intimorito e un po’ affascinato, sicuramente non mi sentivo a mio agio, né Lina mi aiutava ad esserlo. Sentivo come se ci fosse stata una barriera invisibile tra me e lei. Solitamente gioco sempre molto con il personaggio prima degli scatti, per creare un’atmosfera rilassata ottenendo “verità” dal volto ritratto, quindi quella era una situazione per me sicuramente più difficile e anomala. Nonostante questo, dovevo comunque andare avanti. Ci mettemmo subito al lavoro. Il mio assistente, montò lo stativo con una luce sola senza diffusore per ottenere un’ombra netta ed io trovai la parete che facesse da sfondo. La mia idea, infatti, era quella di creare un’ombra che quasi diventasse la protagonista dell’immagine, come per rappresentare l’altra “faccia”, quella teatrale di Lina, una delle tante che lei magistralmente indossa sul palcoscenico. Lina non capì bene quello che volevo fare, probabilmente io mi spiegai male e così nacque una discussione che durò un po’ di tempo. Allora intuii che non dovevo contraddirla ma utilizzare una tecnica AIKIDO: sfruttare la forza dell’avversario a mio vantaggio…flettendomi. Con molta pazienza e dolcezza le rispiegai la mia idea e ammettendo il mio imbarazzo le dissi:
“Lina, scusami, ma quando sono al cospetto di una bella donna non riesco ad esprimermi”. Lei capì il mio gioco, il ghiaccio si frantumò e il suo volto si illuminò proprio con uno splendido sorriso.»

La Napoli Grande Signora è una città metafisica dove è esaltata la sua monumentale bellezza senza la presenza umana.  
Una scelta stilistica per cogliere l’essenza più autentica, lo spirito dei luoghi…

 «Quando fotografo una città, cerco di raccontare la sua anima che viene fuori dalle sue rughe, dalle storie che l’hanno attraversata. Per fare questo è necessario però eliminare elementi di datazione contemporanei, come automobili, cartelloni pubblicitari, persone ed altre informazioni che possono indicare il periodo in cui è stata effettuata la ripresa. Quindi anche nelle immagini di questa mia Napoli c’è una sorta di sospensione atemporale che rende fruibile e attuale l’immagine in ogni tempo.
Queste mie città sono classiche, moderne, antiche e future…ogni luogo diventa il palcoscenico di un teatro dove si recita ogni giorno la vita di cui si intravede solo il riverbero ma dove regna sovrano il silenzio.»

Per lei che ha ritratto grandi personaggi c’è un artista del passato che avrebbe voluto ritrarre? E tra i contemporanei?

«Sicuramente mi sarebbe piaciuto ritrarre Totò, un personaggio unico, con un talento irripetibile. Certamente un uomo che si faceva amare.
Comunque il mio sogno nel cassetto è senza alcun dubbio ritrarre il Santo Padre. Per la sua età e per la salute non è cosa facile, però è un mio grande desiderio che spero prima o poi di realizzare.»

Il grande Eduardo, di cui ricorrono i quarant’anni dalla morte, diceva “fuitevenne”. Una frase spesso equivocata e le cronache troppo spesso fanno emergere solo gli aspetti negativi di una città bellissima e difficile nata 2500 anni fa…

«Io credo che alcune difficoltà sicuramente ci sono in questa splendida ma contraddittoria città e a mio avviso, sono proprio queste che forgiano lo spirito del napoletano. È grazie a loro che questo popolo ha sviluppato una grande capacità di reinventarsi ogni giorno, la capacità di vivere l’hic et nunc godendo di ogni piccola cosa.
Comunque, forse è solo una mia impressione, ma credo che da un po di tempo Napoli abbia guadagnato anche agli occhi di chi vive altrove una grande credibilità…Certo, come ogni grande metropoli spesso i fatti di cronaca la penalizzano, ma in giro sento anche molti apprezzamenti e conosco tanta gente che farebbe qualsiasi cosa per venire a vivere in Campania.»

C’è un’ inquadratura che quando ritorna a Napoli va a cercare per riempirsi lo sguardo e il cuore?

«…sarà scontato, ma…da via Caracciolo tutto il golfo incorniciato dalle due stupende gobbe del Vesuvio…a me fa sognare.

Quando sono a Napoli mi piace passeggiare alle 6 del mattino per via dei Tribunali. In questa strettissima via c’è un antico palazzo con un portico alto e nero sotto il quale, dopo aver chiuso gli occhi, aiutato da un particolare odore presente solo nei vicoli di Napoli, viaggio a ritroso nel tempo. È una sensazione meravigliosa rivedere immaginandoli quei posti popolati da personaggi con lunghe parrucche bianche, merletti e mantelli, “sentire” gli zoccoli dei cavalli e le ruote dei carri sul selciato sconnesso. È così che entro in sintonia con l’anima della città. La Napoli che era tappa obbligatoria per gli uomini di cultura di tutta Europa. La Napoli che ha ispirato e influenzato artisti di ogni genere e che è ancora presente attorno a me…la Napoli Grande Signora.».

Come si sta lontani da questa Grande Signora? (le confesso che per me la nostalgia è tanta…)
 
«La lontananza ti fa sicuramente apprezzare e riscoprire la città. Quando torni, ogni strada, ogni angolo parla di te e di qualche storia che riaffiora nei tuoi ricordi.
La nostalgia a me piace, perché stuzzica una parte che forse per paura si  tende ad emarginare, mentre invece può diventare la culla di forti emozioni».

Quando e come ha scelto di dedicarsi alla fotografia?

«Ho sempre avuto dentro di me il germe dell’uomo madre; la creatività mi ha sempre accompagnato pur manifestandosi in modi diversi. In gioventù mi realizzavo attraverso la musica suonando la chitarra e solo nella metà degli anni ’70 ho iniziato quasi per gioco a fotografare. Infatti proprio in quel periodo, un mio carissimo amico fotamatore mi invitò nella sua camera oscura. Quando entrai rimasi subito colpito dall’atmosfera dell’ambiente, infatti era accesa solo una fioca luce rossa che i giovani fotografi di oggi non conoscono, utilizzata per poter aprire tranquillamente i pacchi di carta fotografica senza incorrere in alcun problema. Ma la cosa che mi colpì, anzi mi sciocco’, fu quando vidi apparire miracolosamente le immagini sui fogli immersi nell’acido di sviluppo. Proprio in quel momento mi innamorai e decisi che assolutamente dovevo fotografare e stampare. In fotografia ho cercato sempre di esprimermi con uno stile ben preciso ma attraverso tutti i materiali, i formati e i generi, perché desidero scoprire in che modo la mia creatività si manifesta nelle varie circostanze. Ho studiato molto la fotografia da autodidatta  e soprattutto anche la storia dell’arte: questo sicuramente ha formato le mie basi. La tecnica è importante e l’ho imparata sul campo anche sbagliando, la si perfeziona con l’esperienza che é fondamentale». 

Lei è conosciuto anche come il Cacciatore di graffiti, ci racconta il senso di questo progetto che la relaziona al mondo della Street Art?

«Nel 2005, dopo aver trascorso alcuni anni a Roma, tornato a Napoli, mi accorsi che sui muri della città c’erano tanti disegni colorati su carta che mi ricordavano le opere di Haring, Cutrone e Scharf. Ne fui subito colpito, anche se ancora non sapevo nulla di Street Art. Cominciai a raccoglierli perché mi piacevano e perché in questo modo sapevo di poterli preservare dall’usura che li avrebbe rovinati. Da quel momento con mia moglie Nataliya prendemmo l’abitudine di andare “a caccia” in giro per la città muniti di uno scaletto. Poi, venne a casa mia Luca Borriello dell’Osservatorio Nazionale sul Writing e rimase sorpreso dalla inusuale collezione; ne parlò con una giornalista del ”il Mattino” che si innamorò della storia e inaspettatamente mi ritrovai pubblicato in un articolo tutta pagina a cinque colonne intitolato “il Cacciatore di Graffiti”.  Comunque, accumulai un bel po’ di materiale tra foto e video con cui avevo documentato le mie azioni e mi venne l’idea di pubblicare tutto con internet su varie pagine, siti, e blog, sfruttandoli per valorizzare la Street Art; portandola proprio con internet nella casa di tutti, cercando di incuriosire la gente che vedendomi su di uno scaletto in strada mentre staccavo i graffiti sicuramente rimaneva colpita; così chi non conosceva questa forma d’arte in questo modo imparava a riconoscerla. L’operazione diventava popolare. All’inizio mi sono beccato molte accuse da parte dei writers che all’oscuro della natura dell’ esperimento mi accusavano del furto delle loro opere. Ma quando ci fu un crescendo di attenzione verso queste mie pagine su internet, coloro i quali all’inizio erano contro di me, passarono dalla mia parte. Moltissimi erano i writers e gli street artists che dicevano : “continua così, almeno c’è una voce che ci appoggia e fa conoscere la Street Art”. Anche perché proprio in quel periodo, lo Stato contrastava questi artisti con pesanti pene per chi “imbrattava i muri”. All’inizio ero il “ladro di graffiti”, dopo diventai il “paladino” degli street artists. Questa operazione nasceva con un dissenso iniziale e il dissenso spesso è più importante del consenso perché fa discutere: è questa la provocazione. La discussione genera il passa parola e ciò fa si che la gente parli di Street Art. Per quanto riguarda i pezzi della collezione: ho sempre dichiarato che sono a disposizione di qualsiasi ente in grado di assicurare e garantire la loro conservazione e custodia.»

Il ricordo della sua prima mostra fotografica e il progetto espositivo a cui è particolarmente legato (escludendo per ovvie ragioni Napoli Grande Signora)

«La prima mostra fu allestita allo “Spazio Libero” di Napoli nel 1978, dove esposi alcune mie foto a colori. In quel periodo a Napoli c’era prevalentemente fotografia di reportage in bianco e nero, quindi il mio colore spiazzava, incuriosiva e sovvertiva il normale utilizzo del mezzo fotografico.
Di esso fu molto colpito Giuseppe Alario, direttore della Kodak per il centro-sud, che, facendomi letteralmente bruciare le tappe, mi catapultò nell’ambiente della fotografia italiana.
Erano realizzate con macchine fotografiche analogiche. Per ottenere queste foto adoperavo due tecniche: la doppia esposizione sullo stesso fotogramma ed il sandwich.
Con la doppia esposizione, prima riprendevo soli al tramonto e lune con filtri rossi, sottoesponendo lo scatto in modo da avere la restante parte della pellicola ancora vergine e, successivamente, con un secondo scatto, sulla parte vergine dello stesso fotogramma, inserivo una struttura ed elementi architettonici che non solo facessero da sfondo, ma anche da contrappunto a quelle forme rotonde, soli e lune.
Il risultato finale era un’immagine sicuramente veritiera, che però generava uno spaesamento grazie alla sua atmosfera metafisica.
Con il sandwich, invece, la scelta creativa era successiva allo scatto. Infatti, prendevo due diapositive già sviluppate e sovrapponevo le immagini scegliendo l’accoppiamento che più mi soddisfaceva, poi rifotografavo il tutto e ottenevo, così, una sola immagine, che era il risultato di due sovrapposte.
Due tecniche “preistoriche” se rapportate all’attuale Photoshop, ma ancora oggi di grande impatto visivo.
La mostra, invece, che ricordo con grande piacere, è quella nelle sale della “Camera dei Deputati”, dove esposi un’ottantina di ritratti di napoletani famosi. Le immagini furono presentate da Carlo Azeglio Ciampi e Nilde Iotti e all’inaugurazione venne anche il Presidente Giorgio Napolitano.
Per quanto riguarda invece  il lavoro che più ho amato, davvero importante è stato quello commissionato dalla Telecom: sette immagini per sette schede telefoniche che ebbero una tiratura complessiva di diciannove milioni di pezzi. Molte di quelle schede sono ancora in circolazione nei circuiti dei collezionisti.»


 La sua prossima mostra? 

«Nella mia carriera ho avuto la fortuna di partecipare a tantissime mostre in Italia e all’estero  per cui oggi raramente accetto un invito di questo tipo… preferisco invece insegnare in workshop e stage di fotografia.»

(intervista rilasciata ad Antonietta Fulvio il 22 novembre 2024)

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