Munch. Il grido interiore

Cento capolavori dell’artista norvegese provenienti dal Museo di Oslo in mostra a Roma nelle sale di Palazzo Bonaparte fino al 2 giugno 2025

Antonietta Fulvio

ROMA. «Non dipingo dalla natura – prendo da essa – o meglio mi servo alla sua ricca tavola. Non dipingo ciò che vedo – ma ciò che ho visto.» Con queste parole Munch spiega la relazione tra impressione ed espressione, visione e memoria che caratterizza la sua pittura. A distanza di venti anni, Roma dedica ad Edvard Munch (Norvegia, 1863 – 1944) una grande retrospettiva ospitando fino al 2 giugno 2025 cento capolavori provenienti dal Museo Munch di Oslo nelle storiche sale di Palazzo Bonaparte. L’evento espositivo, Munch. Il grido interiore, patrocinato dalla Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, dal Ministero della Cultura, prodotta e organizzata da Arthemisia per celebrare il suo venticinquesimo anniversario, racconta la lunga attività artistica di Munch partendo dai suoi disegni giovanili fino agli ultimi lavori che realizzò nel 1943 procedendo per i temi ricorrenti nella sua pittura. Dalle relazioni tra uomo e donna spesso conflittuali, che dopo la passione iniziale finiscono per trasformarsi nella dominazione dell’uno sull’altra e viceversa, all’incomunicabilità della società, ai dolori esistenziali partendo dalle sue esperienze personali fino a scoprire un Munch inedito che, dopo il ricovero per esaurimento nervoso nel 1908, vedrà cambiare atteggiamento nei confronti del mondo e della pittura; la sua tavolozza si schiarirà e i suoi lavori racconteranno un rapporto diverso tra l’uomo e la natura circostante non più filtrata dalle inquietudini ma da un vitalismo straordinario.

Quando si pensa all’artista norvegese, la memoria richiama il suo “Urlo”, un dipinto iconico dove l’azione della figura in primo piano sembra trasformare in onde sonore l’intero paesaggio circostante. L’opera, estremamente delicata da non consentirne il prestito, non sarà in mostra ma la troveremo in una versione litografica in cui Munch, in assenza del colore, si è concentrato sulla linea che disegna il paesaggio filtrato attraverso le emozioni che il volto in primo piano comunica; un volto che non appartiene nè al genere maschile nè femminile perché concentra in sè le emozioni più drammatiche dell’interiorità e in quell’urlo assordante si rivela l’angoscia non solo della sua anima ma dell’intera condizione umana.
Tra i principali artisti simbolisti del XIX secolo e anticipatore dell’Espressionismo, Munch ebbe una vita segnata da grandi dolori: la perdita prematura della madre e della sorella, la morte del padre e la tormentata relazione con la fidanzata Tulla Larsen finirono per incidere sulla sua produzione artistica, contraddistinta dal suo straordinario talento e dalla passione per le energie sprigionate dalla natura. Osservando le opere di Munch è possibile percepire, oltre che vedere, la sofferenza e l’angoscia raffigurate. I suoi volti senza sguardo, i paesaggi stralunati, l’uso potente del colore, la necessità di comunicare dolori indicibili e umanissime angosce sono riusciti a trasformare le sue opere in messaggi universali e fare di lui uno degli artisti più iconici dell’Ottocento.
Sgomento, visioni, violenza emotiva si tradussero in immagini potenti, dall’emotività a volte diretta, altre soffocata, reiterate con l’intento ossessivo di riprodurre il più fedelmente possibile l’impressione delle scene incise nella memoria.
Plasmato inizialmente dal naturalista norvegese Christian Krohg, che ne incoraggiò la carriera pittorica, negli anni Ottanta del Novecento si recò a Parigi dove assorbì le influenze impressioniste e postimpressioniste che gli suggerirono un uso del colore più intimo, drammatico ma soprattutto un approccio psicologico.
A Berlino contribuì alla formazione della Secessione Berlinese e nel 1892 con la sua prima personale in Germania, che fece scandalo, fu percepito come l’artista eversivo e maledetto, alienato dalla società, un’identità in parte promossa dai suoi amici letterati. A metà degli anni Novanta del XIX secolo si dedicò alla produzione di stampe e, grazie alla sua sperimentazione, divenne uno degli artisti più influenti in questo campo. La sua produttività e il ritmo serrato delle esposizioni lo porteranno a ricoverarsi volontariamente nei sanatori a partire dalla fine degli anni Novanta del XIX secolo. Relazioni amorose dolorose, un traumatico incidente e l’alcolismo – vivendo la vita “sull’orlo di un precipizio” – lo portarono a un crollo psicologico per il quale cercò di recuperare in una clinica privata tra il 1908 e il 1909.
Dopo aver vissuto gran parte della sua vita all’estero, l’artista quarantacinquenne tornò in Norvegia, stabilendosi al mare, dipingendo paesaggi e dove iniziò a lavorare ai giganteschi dipinti murali che oggi decorano la Sala dei Festival dell’Università di Oslo. Queste tele, le più grandi dell’Espressionismo in Europa, riflettono il suo sempre vivo interesse per le forze invisibili e la natura dell’universo. Nel 1914 acquistò una proprietà a Ekely, Oslo, dove, da celebre artista internazionale, continuò il suo lavoro sperimentale fino alla morte, avvenuta nel 1944, appena un mese dopo il suo ottantesimo compleanno.
Nel corso della sua lunga vita Edvard Munch realizzò migliaia di stampe e dipinti. Essendo tanto un uomo d’immagini quanto di parole, riempì fogli su fogli di annotazioni, aneddoti, lettere e persino una scenografia per la rappresentazione berlinese della sceneggiatura Spettri di Henrik Ibsen. L’esigenza di comunicare le proprie percezioni, il proprio ‘grido interiore, lo accompagnò per tutta la vita, e proprio questa attitudine è stato il motore della sua pratica come artista, che ha toccato tanto temi universali – come la nascita, la morte, l’amore e il mistero della vita – quanto i disagi psichici necessariamente connessi all’esistenza umana – le instabilità dell’amore erotico, il disagio prodotto dalle malattie fisiche e mentali e il vuoto lasciato dalla morte.
Autoritratto (1881-82), Malinconia (1900-1901) e Il circolo bohémien di Kristiania (1907) sono tra le opere della sezione, Allenare l’occhio, che apre il percorso espositivo dove vengono appunto presentate le opere giovanili. Nei suoi scritti annotò come la vista influenzasse la sua esperienza sensoriale, incluso i suoni che sentiva e gli stati emotivi che provava, producendo capolavori come L’urlo.
Quando i corpi si incontrano e si separano è invece il titolo della seconda sezione incentrata sul “Manifesto di Saint Cloud”, che Munch scrisse nel 1890:
“Un braccio forte e nudo; un collo possente e abbronzato; una giovane donna che reclina il capo sulle curve del seno. Chiude gli occhi ed ascolta con labbra aperte e tremanti le parole che lui sussurra nei suoi capelli lunghi e sinuosi. Vorrei dar forma alla scena come vi assisto ora, ma avvolta in una foschia azzurra. Queste due persone in tale momento in cui non sono sé stesse, ma solo uno delle migliaia di anelli sessuali che concatenano ciascuna generazione all’altra. Le persone dovrebbero comprenderne la santità, la grandiosità, e togliersi il cappello come se stessero entrando in chiesa. Ne realizzerei diversi, di dipinti simili. Non sarebbero più ambienti, o uomini che leggono, o donne che lavorano a maglia a essere dipinti, ma persone in carne e ossa, che respirano e sentono, soffrono e amano…”
Negli anni ‘90 del XIX secolo Munch cominciò a organizzare le sue immagini di desiderio erotico, risveglio sessuale e desolazione in una serie chiamata “Amore” che ebbe modo di sviluppare nel corso dei decenni successivi nella serie intitolata “Il Fregio della vita” in cui ricorrono tutti i temi della sua poetica. In mostra sono presenti opere come Bacio vicino alla finestra (1891), Coppie che si baciano nel parco (Fregio di Linde) del 1904 e Madonna (1895).
Nella terza sezione – Fantasmi – è raccontato il mondo interiore e i ricordi dolorosi dell’artista manipolati attraverso la pittura e la scrittura: “La malattia fu un fattore costante durante tutta la mia infanzia e la mia giovinezza. La tubercolosi trasformò il mio fazzoletto bianco in un vittorioso stendardo rosso sangue. I membri della mia cara famiglia morirono tutti, uno dopo l’altro”.
Aveva solo cinque anni quando sua madre morì di tubercolosi e la sorella maggiore Sophie, a cui era molto legato, fu portata via dalla stessa malattia un mese prima che Munch compiesse tredici anni. Il decesso del padre sopraggiunse, poi, mentre il pittore si trovava in Francia, e il fratello Peter Andreas morì ad appena trent’anni. Questa serie di lutti familiari dolorosissimi furono filtrati in opere come La bambina malata, Sera. Malinconia (1891), Disperazione (1894) L’urlo (1895), Lotta contro la morte (1915) e La morte nella stanza della malata (1893) presenti in questa sezione.
Munch in Italia è il titolo della quarta sezione che prende in esame il suo primo viaggio nel nostro Paese che risale al 1899, quando visitò Firenze assieme alla fidanzata Tulla Larsen. A Roma, si confrontò profondamente con le tradizioni italiane e in particolare con l’arte di Raffaello. Tornò ancora in Italia e in particolare nel 1927 trascorse un mese a Roma e, in occasione di tale viaggio, si recò in pellegrinaggio al Cimitero Acattolico per visitare la tomba dello zio, Peter Andreas Munch, lo storico più famoso di tutta la Norvegia. P. A. Munch, morto a Roma lo stesso anno della nascita di Edvard, fu un accademico di tale rilievo da rientrare nel gruppo dei primissimi studiosi non cattolici a cui fu consentito l’accesso agli archivi vaticani. Munch cercò inoltre ispirazione tra i tesori di Roma: “Dato che sto lavorando con i grandi formati, per me è fondamentale poter ammirare gli affreschi di Michelangelo e Raffaello”, si legge in una delle sue annotazioni.
In questa sezione si possono ammirare La tomba di P.A. Munch a Roma (1927) e Ponte di Rialto, Venezia (1926). L’universo invisibile è il tema della quinta sezione dove troviamo in mostra, tra le altre, Uomini che fanno il bagno (1913-1915), Onde (1908) e Il falciatore (1917). Come molti altri intellettuali del suo tempo, Munch seguì il dibattito in corso in merito al rapporto tra scienza, tecnologia, religione e misticismo e fu attratto dalla dottrina del monismo, secondo la quale la mente e la materia, le forze invisibili e il mondo materiale convergono.
Nella penultima sezione intitolata Di fronte allo specchio (Autoritratto) sono presentati i tanti autoritratti prodotti dall’artista che si mise in posa sempre con grande originalità davanti allo specchio, strumento complice delle sue auto-invenzioni che divennero un modo per condividere il suo stato psicologico. Il viandante notturno (1923-24), ad esempio, raffigura l’artista che sbircia da un lato della composizione, come una vittima dell’insonnia che vaga tra le stanze della propria casa, nel dipinto Autoritratto tra il letto e l’orologio (1940-1943) si rappresentò invece come una figura instabile con le sue mani prolifiche che penzolano inerti ai lati del corpo. Il percorso si chiude con la sezione L’eredità di Munch: in tutta la sua carriera l’artista norvegese è stato un grande sperimentatore, dalla pittura classica al cinema, dall’incisione alla fotografia, la sua ricerca ha mantenuto una straordinaria coerenza ed un potere evocativo ancora oggi estremamente contemporaneo. In mostra sono raccolti alcuni suoi capolavori che permettono di rileggere attraverso precise scelte compositive il suo immaginario disturbante, inquieto, eppure seducente. In opere come Donna sui gradini della veranda (1942), Muro di casa al chiaro di luna (1922-1924) Le ragazze sul ponte (1927) sono presenti elementi architettonici che invitano ad entrare nella scena ed esserne partecipi. La sua ricerca, ancora oggi in parte da spiegare, costituisce la premessa per la nascita delle Avanguardie che nel XX Secolo porteranno gli artisti a cercare soluzioni sempre più radicali, spesso non apprezzate dal pubblico nell’immediato, ma destinate a definire il nostro immaginario e le nostre emozioni come del resto egli stesso scrisse: «Con la mia arte ho cercato di spiegare a me stesso la vita e il suo significato, ma anche di aiutare gli altri a comprendere la propria vita».
Informazioni e prenotazioni
T +39 06 87 15 111
www.mostrepalazzobonaparte.it

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La mostra, curata da Patricia G. Berman, una delle più grandi studiose al mondo dell’artista, con la collaborazione scientifica di Costantino D’Orazio, è realizzata in collaborazione col Museo MUNCH di Oslo. La mostra gode del patrocinio del Ministero della Cultura, della Regione Lazio, del Comune di Roma – Assessorato alla Cultura, della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma e del Giubileo 2025 –Dicastero per l’Evangelizzazione.

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