Carlo Cego, questo è il mio paese
“Carlo Cego, questo è il mio paese”
retrospettiva di Carlo Cego a cura di Marinilde Giannandrea e Michele Afferri
Lecce, Chiesa di San Francesco della Scarpa
11-27 marzo 2011
Da venerdì 11 marzo i suggestivi spazi della chiesa di San Francesco della Scarpa a Lecce ospitano le opere della mostra “Carlo Cego, questo è il mio paese”, evento realizzato con il patrocinio della Provincia di Lecce – Assessorato alla Cultura e curato dalla Fondazione Carlo Cego. “Carlo Cego, questo è il mio paese” è la seconda tappa di un percorso espositivo, partito nel mese di settembre da Otranto, promosso e organizzato dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Lecce e dal Museo provinciale “Sigismondo Castromediano” di Lecce. Si tratta di un’ampia retrospettiva, curata da Michele Afferri storico dell’arte, Marinilde Giannandrea storica dell’arte e giornalista e Paola Iacucci, architetto e moglie dell’artista.
Astrazione geometrica e dimensione poetica si coniugano nella pittura di Carlo Cego che ha trascorso lunghi periodi estivi ad Otranto, dove ha lavorato approfittando della luce piena e chiara del Salento. Proprio in quegli anni la sua pittura, vicina al minimalismo, si concentra in semplici linee, rivelando una presenza intensa e affascinante nelle scelte cromatiche.
Carlo Cego nasce a Valdagno (Vicenza) il 10 luglio 1939.
Tra il 1947 e il 1966 vive a Roma dove, nel 1962, si diploma in Pittura con Franco Gentilini all’Accademia di Belle Arti e frequenta assiduamente la libreria-galleria Al Ferro di Cavallo luogo d’incontro di artisti, poeti e scrittori.
Tra il 1966 e il 1968 è a Genova dove lavora come scenografo nella fase inaugurale dello spazio sperimentale del Teatro Stabile e nel 1968 Gastone Novelli lo chiama come suo assistente alla cattedra presso il Liceo Artistico di Brera e a Milano rimane fino alla sua scomparsa.
Profondamente e coerentemente legato alla generazione di pittori che hanno creato e continuato la linea astratta della pittura italiana, Cego non ha mai partecipato a gruppi o movimenti ma ha lavorato dentro una linea di ricerca pittorica legata a una dimensione poetica e luministica. Il corpo della sua opera può essere letto all’interno di un «alfabeto e di una sintassi suscettibile d’infinite variazioni» nelle quali il vero soggetto e la ricerca della luce che entra nelle campiture cromatiche e nella densità della materia pittorica.
A partire dal 1980 trascorre lunghi periodi a Otranto, dove dipinge in una piccola casa-atelier conquistato dalla luce meridiana e dalla umanità del Salento e dove partecipa al gruppo di intellettuali e di artisti che in quegli anni soggiornano nella città salentina (Vittorio Matino, Vanni e Alina Scheiwiller, Carlo Berté, Sergio Sermidi, Franco Vaccari, Guido Ballo, Ugo La Pietra, Dadamaino, Umberto Riva, Luisa Castiglioni, Pietro Coletta, Antonio Trotta), protagonisti di una ricca fase di vivacità culturale. In questi anni la sua pittura, improntata fino a quel momento a un geometrismo lirico, abbandona la forma costruita e sviluppa un linguaggio minimale fatto di linee colorate e ampi spazi bianchi che richiamano le Compenetrazioni iridescenti di Giacomo Balla.
Nel decennio successivo si assiste all’esplosione di un’utopia del colore che si connette con il senso lirico della superficie e con la dimensione reattiva del supporto nelle infinite variazioni cromatiche della materia pittorica. Le opere più recenti sono grandi tele, quasi monocrome, con andamenti per lo più orizzontali che stabiliscono una relazione fra colore e luce e sembrano sospendere i colori nello spazio della tela.
I quadri di Carlo Cego, affermano ancora oggi la dimensione poetica dell’astrazione italiana, «ritrovando valore vivo della pittura come materia assoluta».
Carlo Cego si è spento a Milano il 17 settembre 2003 e ha voluto essere sepolto a Otranto. Sulla sua tomba si legge: Gli piaceva dipingere.
Nella primavera del 2008 la Galleria Civica d’arte contemporanea di Spoleto gli ha dedicato un’importante mostra antologica.
«Fedele per tutta la vita alla qualità della pittura Carlo Cego ha tessuto una storia artistica fatta di permanenze e silenzio. Un percorso che, dagli anni Sessanta romani fino all’apparire di questo secolo, l’ha visto sempre coerentemente legato a una linea astratta, minimale, capace di tessere una storia personale fatta di colore e di luce.
Eppure dentro la pittura di Cego, soprattutto quella che riempie le superfici di tessiture cromatiche e luminose, si avverte costantemente il senso di un orizzonte, l’evocazione di un sedimento naturale. Forse è proprio per questa straordinaria attenzione alle vibrazioni e alle costanti del dato atmosferico che l’artista si lega così profondamente alla luce di Otranto, a un paesaggio inquadrato da una finestra, fatto di una linea tra cielo e mare […].
Prive di titolo, con poche eccezioni (“Notturno a Otranto”, dipinto in un agosto del ’93 con il fondo profondo dei colori di una notte d’estate e d’oriente), le tele degli anni Novanta assumono una sostanziale serialità e forniscono la sensazione che nel plateau dal formato regolare si costruisca una mappatura, immanente e particolare, che relaziona lo sguardo ordinato con l’occhio poetico, lo spazio simmetrico con quello che procede per empatia ed esperienza diretta. Non che la mappatura sia dichiarata, al contrario, ma a ben guardare la dimensione della visione sembra interconnettere quello che i greci chiamavano kairós, il “momento opportuno”, con una cultura del flusso, della fluidità, della trasparenza, fatta d’infinite e mutevoli variazioni […] Le tele dell’ultimo periodo, quello che precede la morte, sono dentro un linguaggio ancora più sintetico, cominciano a esplorare formati più grandi e tessiture ormai sostanzialmente monocrome, nelle quali lo spazio sembra schiacciato dalla luce. Andamenti per lo più orizzontali che stabiliscono una relazione tra trama e colore.» (Marinilde Giannandrea)
Il catalogo della mostra è curato da Michele Afferri e Marinilde Giannandrea con i contributi critici di Antonio Cassiano, direttore del Museo provinciale “Sigismondo Castromediano” di Lecce, Francesco Moschini, docente di Storia dell’Architettura e di Storia dell’Arte presso il Politecnico di Bari, membro dell’Accademia Nazionale di San Luca e Marina Pizzarelli, critico e storico dell’arte. Nel volume è presente una ricca serie di testimonianze di personalità e amici che si sono legati a Carlo Cego durante i suoi lunghi soggiorni salentini e una serie di fotografie realizzate da Caterina Gerardi.
11- 27 marzo
Chiesa di San Francesco della Scarpa a Lecce
Orario: tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19
Ingresso libero
(fonte: comunicato stampa)