Rileggendo Pomodoro
Vicolo dei Lavandai. Dialogo con Arnaldo Pomodoro di Flaminio Gualdoni
Nei luoghi e nell’arte
di Antonietta Fulvio
Quarantotto pagine dense, con traduzione in lingua inglese a fronte, per raccontare un sogno. E se il sognatore è Arnaldo Pomodoro, impossibile non restare affascinati. Inserito nella collana oi dialogoi curata da Gino Fienga per con-fine edizioni, il volume Vicolo dei Lavandai. Dialogo con Arnaldo Pomodoro di Flaminio Gualdoni è il racconto accorato di un luogo, gli spazi espositivi della Fondazione Arnaldo Pomodoro, e di quanto quel luogo abbia rappresentato per la città di Milano e per la cultura in generale.
E come ogni storia ha un inizio, il 1954 anno in cui i fratelli Pomodoro, Arnaldo e Giò, giungono a Milano e aprono il loro primo studio, non lontano da quello di Lucio Fontana. Ma sarà il vicolo dei Lavandai tra vecchie abitazioni e laboratori artigianali che si affacciano sul Naviglio “lo spazio in cui tutta la sua esistenza d’artista si è concentrata e da cui si è diramata nel mondo”. La conversazione con Flaminio Gualdoni parte proprio dal ricordo della Milano dei Navigli, la città di Leonardo e la città d’acqua citata anche dal famoso Hemingway.
Pagina dopo pagina lo scultore ripercorre la propria attività, l’esigenza di avere ampi spazi dove scolpire e poi un luogo dove conservare le proprie opere, facendo fondere in taluni casi le prove d’artista dal momento che i collezionisti difficilmente concedevano le opere in prestito. Fu così che anno dopo anno quel mosaico di abitazioni in Vicolo dei Lavandai divenne la sede della Fondazione nata ufficialmente il 7 aprile 1995 e riconosciuta due anni dopo dal Mibac. Ma ricorda Pomodoro, sin dalla sua costituzione la Fondazione non era solo un centro di catalogazione delle sue opere ma come suggerito dall’amico Giulio Carlo Argan un autentico luogo di studio e di proposta. Fu così che mentre in Vicolo dei Lavandai trovava posto l’archivio e la documentazione la sede espositiva, la vecchia fabbrica di bulloni in via Rozzano, ristrutturata da Pierluigi Cerri, divenne fulcro di attività culturali che hanno lasciato il segno. E’ il caso della “Scuola d’arte del Montefeltro. Opere dal 1991 al 19992 rassegna dei giovani allievi del TAM il centro d’insegnamento dedicato al metallo a Pietrarubbia uno dei luoghi del cuore confessa Pomodoro che ne è stato il mecenate. Perché in queste brevi pagine, da leggere tutte d’un fiato, si scopre l’umiltà dei grandi che non si eclissano nel silenzio della gloria raggiunta ma coltivano il sogno del futuro investendo nei giovani. Non è un caso che la chiusura dell’attività espositiva nel 2004 a Rozzano sia siglata dalla personale di Salvatore Cruschera. E sempre nell’ottica del luogo aperto al dialogo e al confronto quando gli spazi di Rozzano divennero troppo limitati le vecchie officine Riva Calzoni in via Solari sembrarono essere la soluzione ottimale. Quella vecchia fabbrica di turbine e pompe idrauliche fu il laboratorio per realizzare la grande torre a spirale, Novecento, destinata all’Eur in Piazzale Nervi per celebrare il cambio del Millennio. E, grazie al progetto di Pierluigi Cerri e Alessandro Colombo, divenne nel 2005, la nuova sede espositiva della Fondazione, inaugurata con “La scultura italiana nel XX secolo” una grande mostra che tracciava la linea programmatica della stessa fondazione. In quegli spazi sono state allestite mostre storiche, da Gastone Novelli a Jannis Kounellis, da Ugo Mulas a Lucio Fontana fino ad arrivare a quella della stamperia d’arte 2RC nel 2007. E non è tutto. La Fondazione ha dato spazio ai linguaggi trasversali dell’arte, dal teatro alle proiezioni cinematografiche, dai reading ai dibattiti, dai convegni ai concerti e guardando alle nuove generazioni ha istituito il Premio dedicato ai giovani artisti internazionali. Più di un libro, Vicolo dei Lavandai è un ripercorrere di eventi della Storia dell’Arte del Novecento e, soprattutto, un modo per entrare in contatto con il credo di un artista che ha fatto della propria vita un’opera d’arte. “Ho sempre pensato che il compito dello scultore è quello di mettersi in gioco e coinvolgersi con il tessuto urbano della città, facendo sentire l’importanza pubblica di tutta l’arte, non solo della propria”. Nel solco di una filosofia del creare sempre coerente nella sede di Vicolo dei Lavandai, la Fondazione opererà “nel luogo dove si conservano le mie memorie …e dove si avvertono gli odori della vita dell’arte.”
Ispirandosi allo studio di Isamu Noguchi a New York la Fondazione diventa il suo “studio-museo” anche se lui preferisce continuare a chiamarla Fondazione, quel magico luogo di incontri come lo sono stati le precedenti esperienze di Rozzano e in via Solari, semplicemente un punto di riferimento per gli artisti, un luogo per chi ama l’arte.