Dolores Feleppa Màdaro, la pasionaria di Napoli
Una petizione promossa da Anci, Associazioni cittadine e dalle Donne di Napoli per intitolarle una strada in ricordo del suo impegno sociale e politico
Antonietta Fulvio
La vita è meravigliosa anche per quegli intrecci che ricama il tempo lentamente come quando si passa il filo tra trama e ordito è alla fine è visibile ciò che si è realizzato. Succede così in un giorno di una strana primavera di imbattersi nel ricordo del volto di una persona cara che ha lasciato un segno indelebile non solo nella nostra storia personale ma in quella di una comunità e di una città intera. Si chiamava Dolores Feleppa Màdaro.
Di lei mi viene in mente immediatamente il suo portamento elegante, la chioma bionda e il volto solare, la sua indole battagliera e lo sguardo di una donna capace di slanci di dolcezza unici pari alla grinta da vera pasionaria. Sì, l’avevano definita la pasionaria laica e l’impegno politico e civile di Dolores è durato tutta la vita. Consigliere nella Circoscrizione del Vomero (Napoli) per molti anni, membro della commissione Pari Opportunità della Regione Campania, assessore della giunta comunale Iervolino nel 2007 rivestendo anche il ruolo di Assessore alla Memoria della Città di Napoli. Su suo invito e quello dell’Archivio Storico Municipale di Napoli Rodolfo Armenio, delegato dell’Associazione Internazionale Regina Elena e Orazio Mamone, Segretario dell’Associazione Culturale Tricolore, donarono alla Città, affinché venisse custodito presso l’Archivio Storico, una bandiera nazionale che guidò le azioni partigiane nella zona di Chiaia durante l’insurrezione popolare del settembre 1943.
Dolores la guerra l’aveva vissuta sulla sua pelle «il ricovero, freddissimo. E noi bimbi, stretti stretti e zitti zitti. Con le coperte addosso sentivamo da lontano ancora l’urlo della sirena e poi lo scoppio delle bombe che cadevano.» Lo aveva spesso raccontato, ricordando come la madre per proteggerla l’avesse mandata a Benevento dalla nonna paterna e lì aveva visto le razzie e i soprusi di cui erano capaci i nazisti. «Lo zio Pietro fu messo con le spalle al muro e beccò una pallottola perché non voleva cedere il maiale, che era la sostanza di tutta la famiglia. E le donne giovani che si nascondevano per non farsi trovare dai soldati. Ricordo l’altarino attorno al quale ci riunivamo, dove c’erano le immagini dei morti e degli uomini partiti per il fronte, che non sarebbero tornati mai più. Vedevo la nonna ammalarsi per la perdita dei suoi figli, di Vittorio, di Attilio. è stata dura. Nessuno mi ha detto di essere antifascista, nessuno mi ha fatto la lezione. Con il calvario che abbiamo vissuto era normale dirsi antifascisti, e da questo nasce la mia vocazione al pacifismo.»
E da una parte la ricerca della verità, dall’altra il perseguimento della pace e la lotta per difendere i diritti di tutti a partire dagli ultimi, dagli emarginati. Dolores si è sempre schierata e ha combattuto in prima linea le battaglie sociali dei quartieri di Napoli da lei tanto amati da Capodimonte, dove era nata, al Vomero al Petraio qui, durante il terremoto, si adoperò, tra le altre cose, in quanto presidente della commissione cultura del consiglio circoscrizionale al supporto dei minori, al sostegno delle famiglie. Promosse la creazione di un consultorio nel Belvedere e si schierò per la salvaguardia dei Giardini di via Ruoppolo strappando lo storico parco del quartiere Arenella alla realizzazione di un parcheggio. La sensibilizzazione ambientale fu uno dei capisaldi del suo agire politico, memorabili le battaglie contro la bretella stradale che doveva unire viale Raffaello con il piazzale San Martino, uno scempio che avrebbe stravolto il paesaggio della collina e arricchito affaristi in odor di camorra. Il suo impegno totale e trasversale, in favore dei diritti dei lavoratori, alle battaglie femministe, all’impegno per il riconoscimento delle unioni civili e della comunità LGBT. All’epoca del suo assessorato al Comune di Napoli, lanciò l’idea della costituzione di un Registro per le unioni civili poi realizzato dal sindaco Luigi De Magistris.
«Essere comunista – spiegava in un’intervista del 2007 – significa conservare una idea di trasformazione. Esercitare la critica, la proposta, la battaglia per le idee, anche se sei tu sola. Se l’idea è giusta hai il dovere di dire. E anche di pagare qualche prezzo.»
Spesso osteggiata e criticata, le sue lotte abbracciavano ambiti diversi ma avevano un unico denominatore: la difesa della città e della sua gente. Impossibile sintetizzare in poche righe cinquant’anni di impegno sociale e politico. Dolores fondò il primo coordinamento sull’handicap per dare ai bambini della Darmon l’assistenza comunale e anche nel mondo della scuola la sua attività sul versante delle proteste civili fu esemplare: basta ricordare la battaglia per il reinserimento di Giacomo Alvino un bimbo diversamente abile che negli anni Ottanta aveva subito forti ostilità nell’ambito delle strutture educative della città. Sempre al fianco di chi non aveva voce, per affermare diritti e giustizia sociale sapendo interpretare i bisogni della gente, delle categorie fragili. Per questo è partita una petizione da parte dell’Anpi e delle associazioni cittadine di intitolare una strada in memoria di Dolores nel centenario della nascita del partito comunista. Una petizione che facciamo anche nostra perché il ricordo del percorso umano e politico di Dolores non affievolisca ma sia di esempio alle generazioni che lei ha difeso e ha aiutato a costruire. Già costruire, che bella parola! Di questi tempi di demolizione, perché è sempre facile demolire il pensiero e l’operato altrui, che costruire mattone dopo mattone, giorno dopo giorno con impegno e coscienza un tempo e una società migliore. Ci vuole coraggio a costruire. E lei ha costruito. Tenacemente.
La sua passione politica probabilmente era connaturata alla sua indole, legata al nome che volle darle suo padre, emigrato in america giovanissimo e rientrato in patria perché continuamente minacciato in quanto sostenitore della causa di Sacchi e Vanzetti. Lui scelse per lei il nome dell’attrice Dolores Del Rio e forse di Dolores Ibárruri, la grande combattente spagnola. E anche Dolores è stata una militante, dapprima nelle fila del Pci e poi in Rifondazione Comunista (che contribuì a fondare) e poi nel partito dei Comunisti Italiani senza tralasciare mai l’impegno anche nell’associazionismo partecipando attivamente all’Udi e all’Arci. Nei terribili anni della guerra del Golfo, fu animatrice delle Donne in Nero e collaborò attivamente all’Anpi, l’associazione a cui teneva molto e di cui fu vicepresidente, che considerava un baluardo vivente degli orrori che bisognava combattere perché era necessario non abbassare mai la guardia. Dolores ricordava come le persecuzioni naziste avessero riguardato non solo gli ebrei ma anche i rom, gli zingari, i gay, i comunisti, un po’ anche le donne. E mi piace ricordare ancora una volta l’efficacia del suo attivismo e la lungimiranza del suo pensiero riportando una sua bellissima poesia che a distanza di anni aderisce perfettamente al complicato tema dell’essere donna oggi nella società contemporanea.
Ringrazio sua figlia Diana Màdaro che sta ricucendo, non senza dolore ma con gioia, il meraviglioso pactwordk della politica del fare e non delle parole che ha caratterizzato la vita di Dolores, dell’impegno che sta riversando perché la storia personale di sua madre che coincide con quella di alcuni anni della città di Napoli sia strappata al grigiore della dimenticanza in un momento buio come quello che stiamo vivendo e in cui abbiamo bisogno più che mai di una parentesi rosa. Come lei ci ha indicato sia in fondo possibile fare.