ponte sanità
Legare un intervento di restauro, l’inferriata ottocentesca del Ponte alla Sanità e il rispettivo basamento, alla ri-scoperta di alcune pagine della storia della città di Napoli. Memoria e urbanistica, un unico progetto che unisce il materiale e l’immaginario, le grandi opere realizzate ai tempi di Murat e la ricerca documentaria che ne ricostruisce la storia.
È questo il senso di “Un ponte per la memoria – il progetto urbanistico murattiano alla Sanità 1809 – 2009”, libro curato da Nicoletta Marini d’Armenia e realizzato dall’Assessorato alla Memoria e e agli archivi storici del Comune di Napoli di concerto con la Soprintendenza per i Beni Architettonici Paesaggistici Storici e Artistici ed Etnoantropologici per Napoli e Provincia.
Duecento anni fa, Gioacchino Murat avviava con la costruzione del Ponte una serie di interventi destinati a modernizzare la città di Napoli e a cambiarne – conseguentemente – il volto.
Al generale francese, cognato di Napoleone, si deve, tra l’altro, la fondazione a Napoli del Corpo degli ingegneri di Ponti e strade, origine della Facoltà di Ingegneria – ricorda il sindaco Rosa Russo Iervolino evidenziando la “funzione problematica” del ponte da un lato “un segno di modernità e una struttura utile alla accelerazione dei traffici e degli spostamenti” ma anche “elemento di separazione fra il centro storico e la Sanità”. Di fatto il ponte sovrastando il vallone della Sanità ha contribuito al suo isolamento dal centro, ma oggi più che mai qualsiasi intervento urbanistico deve configurarsi come progetto di congiunzione di ogni area della città.
Secondo una formula che vuole essere un vero e proprio metodo – spiega l’assessore comunale Diego Guida – che mettendo a sistema deleghe diverse in sinergia tra loro ha recuperato “un pezzo della nostra storia, contribuendo anche alla rivitalizzazione di un dibattito ancora aperto sugli interventi urbanistici realizzati nel corso dei secoli”.
Un modo per riappropriarsi, dunque, della memoria storica ma anche per aprire spazi di riflessione sul presente, partendo inevitabilmente dal passato. La ricorrenza del bicentenario della costruzione del Ponte, la riattazione della storica cancellata posta ai suoi bordi, più volte balzata sulle pagine di cronaca cittadina per diversi casi di suicidio, come segnalato da Alfonso Principe presidente della terza municipalità, offre lo spunto per ricordare e analizzare una delle tante tracce lasciate dal governo napoleonico.
Un periodo straordinario per Napoli e tutto il Mezzogiorno che vide la realizzazione di notevoli opere pubbliche, a firma di architetti quali Giuliano De Fazio, Paoletti e Bartolomeo Grasso e i fratelli Gasse. “Tuttavia, pur nell’opera di restauro urbano all’epoca intrapresa, non si sfuggì a dolorose opere di demolizione” – scrive nel suo saggio il Soprintendente Stefano Gizzi ricordando come a farne le spese furono molti edifici ecclesiastici appartenenti agli ordini religiosi soppressi durante il decennio francese. Emblematico è il caso dei due piloni del Ponte della Sanità che furono edificati all’interno del chiostro dell’omonima chiesa barocca, capolavoro di fra Nuvolo, che diventa icona della contraddizione irrisolta – e oggi ancor più lacerante – tra le istanze del rinnovamento e la conservazione dei beni culturali.
Lettere e tavole iconografiche, conservate tra gli scaffali dell’Archivio di Stato, della Biblioteca nazionale e dagli archivi della Società di Storia Patria, trovano ampia visibilità nella sezione Documenti; la loro accurata trascrizione testimonia il pur breve iter per la realizzazione del grandioso ponte a sette archi che collegava il nucleo cittadino più antico al palazzo di Capodimonte attraverso una nuova più agevole via che superava le propaggini di via Toledo e la collina di Santa Teresa, ergendosi al di sopra della Valle della Sanità.
L’idea della nuova strada, chiamata in omaggio a Bonaparte Corso Napoleone – spiega la curatrice del volume – risaliva al 1780 avanzata dal regio ingegnere Ignazio di Nardo, scartata perché troppo costosa fu ripresa dieci anni dopo dall’ingegnere Gaetano Barba ma fu nuovamente accantonata. Trovò attuazione, invece, solo con l’arrivo dei francesi: un dispaccio, datato 21 luglio 1807 a firma del ministro dell’Interno Andrè Miot, incaricava l’architetto Nicola Leandro di elaborare un progetto per il ponte. I lavori iniziarono il 15 settembre 1807 tra demolizioni, difficoltà di reperimento delle materie e delle risorse economiche. Le ingenti spese furono in parte coperte anche con la vendita dei materiali preziosi – legno e tegole del Convento della Sanità o delle case situate sulla traiettoria. Non mancarono le controversie religiose e gli incidenti gravi con la morte di due operai come si rileva dalla lettura dei rapporti. Tra i fogli dell’interessante carteggio si legge anche della scandalosa scoperta di un assassino di Maiori tra i “travagliatori del Ponte”; episodio gravissimo che allertò le autorità costrette ad emanare un’ordinanza con la quale chiunque doveva essere munito di “carte di soggiorno per far dimora nella Capitale e suo Circondario”.
Nel marzo 1809 il corso Napoleone fu inaugurato e “d’allora il Ponte della Sanità con la violenza dei suoi piloni – scrive la stessa Nicoletta Marini d’Armenia – incastrati nel chiostro ovale del Convento della Sanità continua a sovrastare il quartiere di cui porta il nome, e si erge architettonicamente come simbolo del contrasto, pur armonioso, del vecchio e del nuovo”.