Per una sociologia del corpo

 

Erotica del corpo sociale il libro di Fabio Tolledi, edizioni Astragali

di Carlo Corigliano

 

 

“La nostra società, rompendo con le tradizioni dell’Ars Erotica, si è data una scientia sexualis. Per essere più esatti, ha perseverato nel compito di produrre discorsi veri sul sesso, e questo adattando, non senza difficoltà, la vecchia procedura della confessione alle regole del discorso scientifico”. Così scriveva Michel Foucault nel 1976 ne “La volontà di sapere”. Non è un caso che il bel libro di Fabio Tolledi abbia come titolo Erotica del corpo sociale e non voglia avere come referente semantico il termine “sessualità”. Ciò esprime, a mio avviso, un’ispirazione foucaultiana di fondo nel senso di voler riappropriarsi di una pratica discorsiva sull’erotismo quale antidoto efficace rispetto al dispositivo che costringe a “confessare la verità sul sesso”.

Erotismo non è sessualità, in quanto esso costituisce la forma umana del divenire-animale dell’uomo, l’eccesso del desiderio che si trasforma, in virtù dell’impossibilità di un suo soddisfacimento che coinciderebbe con la morte, in una pratica dei piaceri che, come ci fa notare Tolledi, non si esprime in un “facile edonismo” ma in un’ascesi continua da intendersi non nel senso cristiano di rinuncia, ma nel senso greco-ellenistico di disciplina della voluttà quale strumento di soggettivazione che consente di occupare quello spazio di confine incandescente dove si produce la vita e allo stesso tempo una regione di individuazione indispensabile al conatus conservativo della vita stessa.

 

I riferimenti di Tolledi non si limitano a Foucault ma incontrano le riflessioni di Georges Bataille con la sua esperienza della “vita interiore” quale cornice di una vera e propria trance erotica cui il linguaggio può soltanto far cenno giacchè si tratta di una ferita del logos rispetto a cui il panlogismo concettualistico deve ritrarsi. Ed è su questo punto che le riflessioni di Tolledi mostrano di inserirsi entro un pensiero della differenza non più fallogocentrico ma aperto a quel mistero inesplorato del godimento femminile. Lacan ha distinto il godimento fallico dall’ “altro godimento” ossia da quell’esperienza transindividuale in cui soggetto e oggetto si fondono e si dissolvono, dove dominano non più i significanti ma le intensità che attraversano i corpi. In tal senso si tratta di liberare il concetto di mistica dai suoi connotati trascendenti per ricondurlo all’immanenza di un ‘esperienza, quella erotica, che se da una parte implica un processo di spossessamento dell’io d’altra parte consente il reintegro di quello che Nietzsche definiva Sè corporeo. Non è in questione una dinamica dialettica di sintesi ma una procedura paradossale attraverso cui la parte maledetta non viene forclusa ma accolta in una dimensione relazionale con l’altro. Si tratta di una condizione dinamica di equilibrio sempre da ristabilire e da riconnettere secondo un’etica del viandante in grado di accetare il divenire  e posizionarsi in esso. Il punto non è quindi “confessare la verità sul sesso” ma aprirsi alla possessione erotica che fende il soggetto non per annientarlo ma per consentirli di accedere ad una dimensione paradossale di equilibrio. Soltanto l’accettazione, talvolta dolorosa, di questa condizione di apertura del logos all’eros può schiudere le porte di un edonismo autentico, secondo l’accezione antica del termine, dove la pratica dei piaceri non si confonde con una volgare forma di consumismo, ma diviene ars erotica.