La fotografia in vetrina
Mazzini 6Box. Una collettiva di fotografi nelle vetrine di Via Oberdan a Lecce
di Carmelo Cipriani
L’arte conquista la vita quotidiana, s’insinua nei luoghi del vissuto collettivo e si presenta laddove non ci si aspetta di trovarla. Né un museo, né una galleria, né un sito monumentale, ma delle semplici vetrine, site in Via Oberdan (uno degli assi viari della nota Galleria di Piazza Mazzini) sono stati nei giorni appena trascorsi (dal 17 al 22 dicembre) il privilegiato contenitore della mostra “Mazzini 6Box”, collettiva urbana curata da Assai Magazine e Positivo Diretto con il sostegno di SettediSette di Gianluca Lubelli e I Move Puglia Tv. Dodici fotografi, tra i più talentuosi del panorama pugliese, nei giorni precedenti alle festività, quelli dello shopping natalizio, hanno impreziosito lo scenario cittadino, restituendo una visione caleidoscopica del paesaggio urbano, tra leziosità decorative, inganni percettivi e contraddizioni semantiche.
Un percorso rettilineo, facile nella fruizione e suggestivo nella visione, composto con equilibrio da ottima selezione di opere fotografiche. Ad introdurlo erano gli scatti di Lorenzo Papadia e Federico Patrocinio, il primo intento a recuperare suggestioni pittoriche, richiamando alla mente le atmosfere delle piazze dechirichiane o dei silenziosi scenari di Hopper, il secondo rappresentato da un primo piano in fuori fuoco in cui il fascino dell’immagine era interamente affidato all’indeterminatezza visuale.
Si proseguiva con Daniele Coricciati che nel bianco-nero ha riprodotto la vetusta bellezza di uno scenario arcaico colto in prospettiva centrale e con fedeltà assoluta ai rapporti simmetrici. Ancestrale, quasi giottesco nella purezza del solido in primo piano, era anche il paesaggio agreste, reso a colori e in piena luce, di Alessandro Signore. Nella sua foto un esile alberello di fico s’impostava in primo piano su una distesa di ulivi secolari caricandosi di significati e mistero. Dall’ombra, invece, emergeva l’eterea e delicata fanciulla di Francesco Sambati. Simile a ninfa, presenza fiabesca e discreta, la donna appariva intenta ad inebriarsi di un’oggetto celato alla vista, ma da cui promanava una luce fioca, origine di un’atmosfera da sogno. Mentre Francesca Fiorella ha imbastito una narrazione surreale in un collage di riprese non consequenziali, Alessia Rollo ha restituito in due accappatoi abbracciati un’immagine delicata, soave, aperta a molteplici letture; una visione capace di trascendere l’intrinseca banalità per farsi portatrice di carica estetica e visionaria. In maniera dissimile Alice Caracciolo ha cantato l’epica della normalità, bloccando con l’obiettivo un frammento di quotidianità colto in taglio accidentale: un brandello di vita che scorre silenziosamente tra idiosincrasie del presente e incertezze del futuro. Per il suo scatto Piero Percoco si è affidato all’estetica del frammento. Il fotografo ha sublimato nel suadente fascino dei colori un’immagine complessa, stratificata, non immune da virgulti decorativi. Rosa Ciano ha firmato una ripresa infantile vagamente vintage: un bambino colto in primo piano sorridente, testimone di un’età spensierata, foriero di valori e suggestioni memoriali. Concludevano il percorso Enrico Carpinello e Antonio Maria Fantetti, il primo intento a proseguire la sua indagine antropologica riformulando il genere del ritratto alla luce della multiculturalità odierna, il secondo impegnato a celebrare la periferia cittadina, la quale, nonostante il grigiore e l’anonimato di un’edilizia tirata su in fretta non manca di regalare scenari suggestivi e frangenti di poesia.