C’era infinite volte il Sud. Un viaggio nelle parole
Con piacere riceviamo e pubblichiamo il contributo della lettrice Anna Paola Pascali che, a proposito del libro “C’era infinite volte il Sud” di Matteo Greco, scrive: “Ho viaggiato nelle parole e sono tornata nel mio Salento”. Buona lettura!
Ho viaggiato nelle parole e sono tornata nel mio Salento
di Anna Paola Pascali
Si può viaggiare con le parole?
Me lo sono chiesto spesso. Forse non è possibile, dal lato pratico.
Ma ATTRAVERSO le parole si può viaggiare permettendo alle stesse di ATTRAVERSARTI e portarti a spasso nel tempo e nello spazio in situazioni dove riesci a vedere, a sentire, a vivere.
Pennellate di vita, dunque, a volte delicate e fresche, a volte rudi ed amare, ma pur sempre VITA distesa su fogli di carta e spalmata minuziosamente in un incredibile viaggio di PAROLE.
Sto parlando del libro “C’era infinite volte il Sud”, edizioni Il Raggio Verde (2015)dove una voce narrante, quella di Matteo Greco, guida il lettore tra le pieghe nascoste dell’anima del Salento con un canto di parole dedicate ad una terra che incantava un tempo come ancora oggi e che fa sentire il suo respiro nel mare, tra gli ulivi, tra le pietre dei muretti a secco, nelle chiese, sulle piazze…
Matteo Greco nasce a Gagliano del capo (LE) nel 1982. E’ assegnista presso l’Università del Salento e ideatore del progetto Sherazade. Il suo curriculum si arricchisce ulteriormente con premi e riconoscimenti per la poesia e la letteratura e nel 2013 pubblica la sua prima antologia di poesie “Giorni fatti a mano” edizioni Subway.
Il sapore della terra salentina, che si avverte già dall’introduzione, con la sua storia vissuta attraverso i ricordi che testimoniano la storia ed i cambiamenti nel corso dei secoli. Ci si bea della grandezza del suo limpido mare, delle sue coste fragili e cangianti come l’umore del suo sole, del legame costante e indissolubile dell’uomo con la sua terra.
Un viaggio all’insegna di un meraviglioso intreccio di storie e di vita che hanno segnato infinite volte il Sud.
E così inizio anch’io il mio viaggio tra le pagine e le parole di questo libro con estrema curiosità .
Basta un salto e sono a Otranto, nel 1480, mentre guardo gli increduli occhi di un giovane che vede arrivare le galee dei pirati saraceni che da lì a poco avrebbero assediato la sua terra e vivo la sua arresa alla realtà di un vero incubo.
Poi c’è Antonia, vedova, che stringe al petto il suo bambino nell’ultimo giorno della sua vita e non teme davanti alla morte ma si abbandona a quell’incredibile, triste sogno cadendo sotto le mani dei turchi.
Ed infine il tragico epilogo del martirio di oltre 800 otrantini vissuto in prima persona dal saraceno Bernabei. Apostata, davanti al disgusto di quel massacro di cui lui era il principale esecutore, finisce per divenire martire tra i martiri e a desiderare di rinascere sotto forma di ulivo in questa rossa terra.
Ma Otranto non è soltanto incursioni saracene ma è anche vento, mare e arte che diventa viva e gioiosa sul pavimento della cattedrale voluta dal monaco Pantaleone.
Ed ancora viaggiando arrivo più giù, a Santa Cesarea terme. Sono nel 1300 a vivere la storia di una vergine (Cesarea) sfuggita dalle attenzioni morbose di un padre-padrone.
E poi leggo e vivo la bellezza di villa Sticchi con gli occhi di un bimbo che vede affacciarsi maharaja e spietati saraceni con le loro sciabole.
Un battito di ciglia: un’altra pagina. Sono ad Alessano nel 1763 dove il vescovo Dionigi Latomo Massa desidera con tutto se stesso costruire una cattedrale barocca che non sia di solo mattoni ma di cuori, soltanto cuori.
Proseguo entusiasta verso il Finibus terrae salentino e mi trovo a Gagliano del Capo in una realtà marinara e contadina fatta di sacrifici e semplicità. Sono con Ciccio pescatore e col suo vivere quotidiano appagato dall’amore per la sua terra.
L’ultimo lembo d’Italia dove anche la piazza ha una sua voce, i suoi ricordi di giochi semplici come i doveri, il lavoro, le responsabilità che fortificano e rendono grandi e uomini.
Arrivo nella bellissima Santa Maria di Leuca dove incontro la sirena Leucasia che mi racconta il suo dramma, il suo dolore per un amore non corrisposto e la vedo tramutarsi in roccia e divenire Leuca.
Ma faccio due chiacchiere con Caio Cardio Aquilino, comandante di una nave romana nel 1° secolo a.c. e ascolto la sua preghiera a Giove.
Poi passeggio tra le vie di Leuca osservando le sue dame e le sue ville.
Ma i pirati saraceni arrivano anche qui, nel 1500, e danno fuoco al suo santuario e lo derubano. Uno di loro ricorda il furto della grossa campana d’oro che diventerà la loro eterna maledizione.
Giro l’angolo e sono a Gallipoli nel 1741 in un frantoio ipogeo. C’è Oronzo che ci lavora, là sotto, per sei mesi all’anno.
E poi c’è Luigi, sempre a Gallipoli, che nel 1958 è membro della confraternita del santo Crocefisso e non può certo mancare nella processione del Cristo nel giorno del venerdì santo!
Ma nel 1741, l’olio è il protagonista di Gallipoli e del Sud. Diventa commercio favorendo l’interscambio culturale con diverse nazioni.
E Salvatore? Lui ha sfidato il mare intorno a Gallipoli per 70 anni. Il mare lo ha sfamato, rallegrato, illuso, deluso ma gli resta nel cuore perché lo ha vissuto sulla sua pelle e ne fa poesia e sangue.
Ma il Salento non è soltanto mare, è anche terra rossa che ha parlato tante lingue diverse.
I greci e i bizantini l’hanno amata, l’hanno fatta splendere e le hanno lasciato parte del loro amore e della loro cultura e tradizione.
Sono a Galatina, nel cuore della Grecìa salentina, nel 1949. Sto assistendo ad una processione che conduce una donna, morsa dal ragno, verso la chiesa del santo protettore, San Paolo, per chiederne la grazia e la guarigione.
E lei mi parla: mi racconta del suo dolore, non per il morso del ragno (che forse non è nemmeno vero), ma per la sua condizione sociale. La sua triste denuncia in una società dove l’invisibilità delle donne diventa visibile attraverso una danza: la pizzica-pizzica.
Ma il popolo di Galatina è un popolo vivo che si ribella ai soprusi ed allo sfruttamento e nel 1903 anche Angelo Gorgone non ce la fa più a piegare la testa sotto lo sguardo sprezzante del padrone e per un giorno si rivolta insieme ai suoi compaesani.
Galatina ha anche una contessa, Maria d’Enghien di Lecce, con i suoi dolori, le sue debolezze, i suoi tormentati desideri tra cui quello di costruire una basilica per incantare chi l’avesse vista attraverso gli affreschi che avrebbero raccontato a tutti il cuore dell’uomo senza Dio e senza governo…
A Galatina, Kala Athinia (bella Atene), c’è Ilario, contadino galatinese di lingua greca, che si rifugia nella basilica di Santa Caterina d’Alessandria per ripararsi dal gelo. È il 1440 e lui conosce bene quel posto ma ogni volta è catturato dalla sua magia e bellezza.
Arrivo a Melpignano che conosco bene ma, dove, non avevo mai notato la sua piazza e dove Ciro, mercante napoletano, nel 1580 fa i suoi affari.
Ma la voce che ascolto non è quella di Ciro ma della piazza che parla attraverso lui, attraverso i suoi occhi innamorati di lei.
Anche Antonio, a Cutrofiano, mi racconta la sua semplice storia di pignataro. Lui parla il dialetto ma io lo capisco. Ha soltanto 23 anni ma tanti sogni. Gli bastano le mani, la terra, l’acqua, il fuoco e la magia dell’argilla che con un po’ d’immaginazione tutto ti fa fare.
Cammino lungo le parole e inciampo in una delle pozzelle di Zollino. Incontro Domenico, anziano zollinese, che mi dice che l’acqua non è soltanto quella del mare ma c’è anche quella che scorre sottoterra e che veniva raccolta da “li cristiani” di Zollino quando ancora i tubi dell’acquedotto non erano arrivati fin là.
Una lettera tra le mani e scopro che c’è sempre un inferno dietro a un paradiso. Sono le parole di Giuseppe, contadino di Castrignano dei greci che nel 1732 scrive alla moglie e le manifesta la sua voglia di cambiamento in un paese dove gli tocca pagare anche l’amore per la sua sposa.
Ancora un’altra lettera, quella della prefica Lucia. Ed eccomi nel 1480 intorno ad una grande fede nell’aldilà e alla descrizione di una piccola-grande chiesa nel cuore di Soleto.
Ma Soleto ha anche una parte archeologica con i suoi importanti reperti risalenti all’epoca messapica e romana. È Fernando che scrive al figlio Raffaele soddisfatto perché il mestiere dell’archeologo è proprio quello giusto per chi vive in un territorio dove i ritrovamenti avvengono uno dietro l’altro, dove ad ogni passo ci si imbatte nella storia. Sono nel 1990.
Ma adesso vado a Sternatia ed ascolto e vivo lo stupore di Ilaria, turista nel Salento nei nostri giorni. È nella cripta di San Sebastiano dove affreschi, frasi votive, dalla pancia della terra arrivano alle orecchie di Dio.
Anche Valentino vive a Sternatia, nel 1991, e qui si diverte sull’albero della cuccagna in occasione della festa di Santa Maria degli Angeli. È vicino alla chiesa e al convento.
Ed ora, passo dopo passo, parola dopo parola, arrivo tra Melendugno (il mio paese) e Calimera. Torno indietro al 1980 e ancora sacro e profano si sposano in un connubio perfetto fatto di festa e preghiera, di profumi di spiedi e di canti sacri, di giochi di bimbi e di tradizionali pizziche -pizziche.
“Ci sono posti poi che non si possono vedere. Luoghi in cui la natura si prende, o si riprende, i suoi spazi, e ci vieta l’ingresso.”
Uno di questi posti è la chiesa di San Francesco a Martignano, un tempo frequentata dagli uomini ed ora conquistata dal verde delle muffe naturali che corre tra gli altari. È Davide che me ne parla mentre scrive una mail ad una sua amica.
Dopo tanti passi in lungo e in largo mi ritrovo ancora in un luogo perduto del tempo. Sono nel parco archeologico di Alpignano (Martano) e leggo insieme ad una ragazza del 1200 una lettera scritta al padre ormai oltre il fiume che divide questo mondo da quell’altro.
Infine zigzagando per il Salento arrivo a Corigliano d’Otranto a toccare il pensiero di un ragazzo moderno. È il 2014 e Mattia trova nel molino Coratelli un’analogia con il suo meridione: stessa condizione di abbandono, stessa anima grigia ma stessa voglia di ritornare a vivere, magari con un’altra funzione.
Per oggi ho viaggiato abbastanza. Sono un po’ stanca, è vero ma ho gli occhi pieni di TERRA ancora viva e bella. Sono tornata nel mio Salento a rivedere luoghi già visti e altri ancora da scoprire. Li ho sentiti, toccati, respirati e sono stata lì ATTRAVERSATA dalle parole di Matteo Greco.