Pietro Lau, il diavolo, le polpette e la guerra

Sabato 5 marzo 2016 a Cavallino presso il teatro “Il Ducale”

“Infiernu, Purgatoriu, Paraisu e Tiempu Doppu”. In scena Carla Guido

Uno spettacolo travolgente, che attraverso la sapiente conduzione della sua “Capitana”, l’attrice Carla Guido – regista e interprete – snocciola i fatti buffi e drammatici insieme di Pietru Lau e della sua bellicosa discesa agli inferi, dove anche il Diavolo parla in dialetto salentino e, alla fine, non è poi cattivo come sembra.

Appuntamento sabato 5 marzo alle 20.30 a Cavallino, presso il teatro “Il Ducale”, dove andranno in scena le esilaranti vicende della “creatura” più famosa di Giuseppe De Dominicis:  titolo dello spettacolo “Infiernu, Purgatoriu, Paraisu e Tiempu Doppu”. Tratto appunto dai “Canti de l’autra vita”, ideati dall’autore cavallinese (noto anche come “Capitan Black” per il suo cappello nero) nella seconda metà dell’Ottocento, e divenuti un classico della letteratura popolare salentina.

 

 

A contraltare della voce recitante di Carla Guido –  che continua così nella sua proficua opera di rivalutazione di una figura di fondamentale importanza per la cultura territoriale – una tradizionale banda salentina composta dai fiati della Piccola Orchestra “Tito Schipa” di Lecce. Nata per l’occasione e coinvolta nel progetto musico-culturale in questione da “Aletheia Teatro”, che ha prodotto lo spettacolo.

 

I “Canti dell’autra vita”, pubblicati nel 1900, sono suddivisi in tre cicli di cinque canti ciascuno (Infiernu, Purgatoriu, Paraisu), ai quali si aggiungono  “Uerra a mparaisu”  e “Tiempu doppu”, scritti in quartine di versi endecasillabi in rima alternata. Protagonista indiscusso ne è Pietru Lau, personaggio che nasce dalla fantasia poetica di De Dominicis e parla un dialetto leccese “colto”, espresso in endecasillabi vicini alle rime del “dolce stil novo” e infiammato dai fermenti politici intrisi di romanticismo e ideali dell’epoca. L’opera, grazie all’espediente teatrale dell’umanizzazione dell’Aldilà, offre infatti un magistrale spaccato sociale, politico, etico del periodo in cui fu scritta, ma forse anche del nostro tempo…  perché “Nihil novi sub sole” non è solo locuzione latina, ma regola precisa, quando si parla dell’uomo, della sua inesauribile capacità di gettare il cuore oltre l’ostacolo, delle sue eterne debolezze.

 

Si comincia con Diavolo sorprendentemente ghiotto di polpette. Testimone di questa passione per uno dei piatti imprescindibili della tradizione salentina è appunto Pietru Lau, che, morendo, si ritrova all’Inferno, dove viene accolto appunto da un profumo di sugo da far resuscitare – è il caso di dire – anche i morti (“Mmmmmhhhh…nu ‘ndore de purpette se sentia..”); e si ritrova appunto faccia a faccia con il Diavolo, concentrato sul suo piatto preferito, a mezzogiorno suonato. Una volta soppesatene le vicende umane, Belzebù decide che Pietru Lau espierà il furto di un pugno di grano dedicando le sue giornate alla cura dei giardini infernali. E’ in questi giardini che sboccerà l’amore tra Pietru Lau e Farfarina (“La figghia de lu capi-tiaulu”), suggellato con un matrimonio riparatore.

 

Pietru Lau non è più un dannato come tanti, quindi, ma il genero di Belzebù, imparentato con tutti i diavoli e impegnato a passeggiare nei gironi dell’Inferno. Dove però matura in lui uno spirito rivoluzionario e l’idea di liberare quei dannati puniti con pene come macigni, non commisurate ai loro misfatti: “Libertà, libertà, quantu si’ ccara/lu sape ci pe tie l’anni rifiuta!”, fa esclamare al suo personaggio De Dominicis prendendo in prestito il verso dantesco del primo canto del Purgatorio della Divina Commedia (Virgilio a Catone Uticense).

 

Il rivoluzionario Pietru Lau, che  “intru lu cuerpu sou tenia l’ìsciure d’omu”, dà ascolto al suo istinto ribelle e quindi escogita un piano perverso per far fuggire i condannati  dall’Inferno; farà poi altrettanto nel Purgatorio – ed è qui che dannati e penitenti si riabbracceranno – e poi addirittura in Paradiso: facendo leva sul malcontento dei Santi che non godono del medesimo trattamento.  Ecco quindi la guerra affacciarsi anche in cielo: Dio è vinto e detronizzato, Santi e diavoli formano una sola grande famiglia. Ma questo inedito Stato porta grossi inconvenienti: l’anarchia, si sa, genera soltanto caos, perché l’uomo, se non tenuto a freno, rischia di svicolare. E così anche Santi e diavoli. Pertanto, “Tiempu doppu“, si decide di ripristinare lo status quo ante – anzi, lo Stato quo ante –  ma stavolta fondato su principi di uguaglianza e amore e riaffidato al governo di Dio.

 

 

Giuseppe De Dominicis (Cavallino, 11 settembre 1869 – 15 maggio 1905) viene considerato dalla critica italiana tra i maggiori poeti del dialetto salentino, recensito anche dal duca Sigismondo Castromediano, suo compaesano. Nella sua breve esistenza fu autore di poesie ancor oggi apprezzate per la vivacità vernacolare e incentrate sui temi della vita quotidiana. Nell’opera “Canti de l’autra vita”, presto divenuta molto popolare, mise su carta infatti una satira pungente e semanticamente brillante, impiegando quartine di ispirazione dantesca. Autore tra l’altro di  “Martiri de Otràntu” (1902), poema epico dedicato alla battaglia di Otranto del 1482 e poi ripreso, in chiave diversa, da Nicola De Donno, Maria Corti e Carmelo Bene, tradusse anche poesie di autori stranieri del XIX secolo. Tra gli altri scritti in vernacolo sono da ricordare le pubblicazioni “Scrasce e gesurmini” (1892), “Nfiernu” (1893), “L’amore de na vergine” (1900), “Spudhiculature” (1903) e la commedia “La scola te lu sire” (1901). Morì nel 1905, non ancora 36enne.

 

Prevendita dei biglietti presso il teatro “Il Ducale” di Cavallino; ingresso 5 euro, 3 euro ridotto.

(fonte: COMUNICATO STAMPA)