Al Museo Castromediano i polittici veneti restaurati con Art Bonus
Due opere straordinarie che testimoniano gli intensi rapporti tra Venezia e la Puglia
Sara Foti Sciavaliere
In attesa del nuovo allestimento della Pinacoteca del Museo Provinciale “Sigismondo Castromediano” di Lecce, è possibile ammirare due pregevoli testimonianze dell’arte pittorica veneta nel Salento, si tratta di due polittici freschi di un accurato restauro che ne hanno restituito l’importante fattura: il Polittico di San Giovanni del tardo XIV secolo e il quattrocentesco Polittico di Galatina, tra le opere più rappresentative degli intensi rapporti tra Venezia e la Puglia.
La prima fondazione del Museo Provinciale di Lecce avviene nel 1868, quando la Provincia di Terra d’Otranto, nomina una commissione al fine di indagare e studiare la storia del territorio, individuare ciò che vi era di rilevante per poterlo acquisire, custodire e depositare in un museo. Tale attività fu ratificata il 21 febbraio 1869 con un Regio Decreto, mentre il 27 dicembre del 1890 il Consiglio Provinciale di Terra d’Otranto deliberava affinché il Museo prendesse il nome del suo fondatore con il titolo di Museo Provinciale Castromediano, che ebbe la sua prima sede nel Palazzo dei Celestini, le cui sale al piano terra ospitarono per prime anche i polittici veneti. Tali opere appartenevano al convento leccese delle benedettine di San Giovanni Evangelista e alla chiesa di Santa Caterina d’Alessandria di Galatina, fino alla segnalazione del barone Francesco Casotti che, membro della Commissione Conservatrice per i Monumenti Storici e di Belle Arti di Terra d’Otranto, dopo averli scoperti in stato di abbandono negli stessi conventi li fece trasferire al Museo Provinciale di Lecce, l’uno acquistato e l’altro ricevuto in donazione nel 1871 e nel 1872.
Le due opere costituiscono la concreta testimonianza del legame che la Puglia, e più in particolare il Salento, ebbe nel corso del XV secolo con l’area veneta. La Terra d’Otranto era terra di approdi e una via di snodo e scambi con l’Oriente che si inserivano nel corridoio adriatico. Nella cultura artistica cosiddetta veneta, confluivano influenze bizantine, gotiche, rinascimentali e poi barocche, che proprio lungo la via dell’Adriatico assumevano connotazioni artistiche originali in cui Oriente e Occidente si fondevano. In questo contesto, si inserisce la realizzazione dei due polittici delle chiese di Galatina e di Lecce e che saranno poi acquisite nella collezione storico-artistica del Castromediano: il polittico della bottega di Lorenzo Veneziano, ancora impregnato di cultura bizantina, e il polittico della bottega del Vivarini dal gusto protorinascimentale.
Il polittico di Lorenzo Veneziano e aiuti, o Polittico di San Giovanni
Una Madonna che allatta seduta sul prato occupa la parte centrale del polittico: al suo fianco una schiera di santi, quattro per lato a figura intera, su un fondo dorato. I volti sono severi e accigliati, dalle folte capigliature e dalle lunghe barbe. A sinistra Giovanni Evangelista, titolare della chiesa delle Benedettine di Lecce per le quali l’opera viene realizzata, Benedetto, fondatore dell’ordine, Nicola, il più venerato in Puglia. A destra della Vergine i santi canonici della gerarchia ecclesiastica: Giovanni Battista, Pietro e Paolo. A chiusura su ambo i lati due fanciulle: Maria Maddalena (a destra) e Margherita d’Antiochia (a sinistra), la cui devozione nel Medioevo era assai forte per le virtù dimostrate dalle sante nel vincere la tentazione del peccato e la cui presenza ci indica la destinazione del polittico a un monastero femminile. Nel registro superiore in quattro scomparti per lato sono raffigurati i quattro Evangelisti, dall’altra parte i Padri della Chiesa, Gregorio, Girolamo, Ambrogio e Agostino.
L’immagine della Madonna dell’Umiltà, nel comparto centrale del polittico, è una figura rilevante all’interno della rappresentazione in quanto indica un intervento diretto di Lorenzo Veneziano sia dal punto di vista esecutivo che ideativo. Documentato almeno dal 1353 e fino al 1379, il Veneziano è il più importante artista della pittura lagunare della seconda metà del Trecento, assorbendo tutte le tendenze delle quali Venezia era ricettacolo.
La figura della Vergine – avvolta in un maphorion azzurro lapislazzuli e finemente decorato con un sottile motivo a tralci – è inserita in una archeggiatura triloba modanata e intagliata tra due doppie colonnine tortili, seguendo un sistema decorativo di gusto veneziano. Sulle ginocchia regge il Bambino sgambettante intento a succhiare il latte con gesto energico, espressione di efficace realismo. Un sole raggiato – che richiama la “mulier amicta sole” dell’Apocalisse – splende sulla veste rosacea della Vergine, il colore purpureo è un riferimento alla regalità con la quale la Madonna è rappresentata nella cultura bizantina. L’introduzione di un concetto teologico e iconografico come la Madonna dell’Umiltà era funzionale a rendere tangibile e più umana la sacralità di Maria e a domenicani e predicatori fu affidata la sua divulgazione a partire dalla prima metà del Trecento con diverse varianti. Il modello che ha avuto migliore fortuna è quello della Vergine che nutre il figlio Gesù offrendogli il seno, così che l’iconografia della Madonna dell’Umiltà si fonde con quella della Madonna del latte (nutrice di tutti gli uomini): un’immagine che diventa sintesi tra la figura della Madonna, umile madre di tutti i viventi e quella della Regina coeli descritta nell’Apocalisse. Tale immagine mariana, così declinata, si diffonde nel linguaggio artistico a partire dagli anni Trenta del Trecento, trovando affermazione in area veneta nei decenni immediatamente successivi, con i primi esempi riconosciuti attribuibili proprio a Lorenzo Veneziano, il quale fonde l’antica iconografia della bizantina Madonna che allatta con quello della Madonna seduta a terra.
Il Polittico del Vivarini, o di Galatina
Il grande polittico è formato da quattordici tavole dipinte a tempera distribuite su due ordini, con figure di santi su fondo oro. Al centro del registro inferiore è seduta una giovane Vergine con Bambino su un trono in marmo policromo. Nello spazio del primo ordine, scandito da colonne che sostengono archetti ogivali, sono disposti sei santi a figura intera: ai lati della Vergine, Pietro e Paolo, e subito dopo, a destra, un santo vescovo con libro, mitria e pastorale – forse da identificare con Sant’Agostino -, sul lato opposto, un santo che legge – probabilmente San Benedetto –; a chiudere la schiera ci sono San Giovanni Battista (a sinistra) e San Michele Arcangelo (a destra) in veste di psicopompo intento a pesare le anime con una bilancia. Nel registro superiore, al centro, in corrispondenza della tavola con la Madonna, una Trinità con il Dio Padre che sostiene il Cristo crocefisso adorato dai santi Domenico e Francesco. Una schiera di tre santi a mezzo busto si dispone su ciascun lato: a sinistra San Nicola, Sant’Antonio Abate, Santa Caterina d’Alessandria, titolare della chiesa di Galatina da cui proviene la pala, sull’altro lato un Santo Vescovo, San Girolamo e Santa Lucia.
Diversi indizi permettono di attribuirne la committenza a Giovanni Antonio Orsini del Balzo, Principe di Taranto volto a promuovere il prestigio del complesso della Basilica cateriniana. Benché gli Orsini guardassero a un’arte occidentale orientata a Napoli, sono comunque noti i rapporti commerciali stretti con Venezia, e ancor non si può trascurare il ruolo rivestito dai francescani nelle committenze artistiche e il particolare legame di quest’ordine con i Vivarini.
Si tratta di una preziosa testimonianza nel Salento dell’attività dei Vivarini, protagonisti assoluti nel quadro della pittura veneta in Puglia, per quantità e qualità di opere che da Venezia affluivano nelle chiese e nei conventi della regione, e malgrado ciò la letteratura artistica ha sempre trascurato questo polittico nonostante sia da considerarsi attribuibile quasi del tutto a bottega vivariniana. Un “oblio” imputabile probabilmente agli interventi postumi che alteravano l’aspetto originale dell’opera: di fatto, a seguito del restauro eseguito nel 1934, il polittico era stato quasi completamente ridipinto, ragione per cui risultava difficile riservare a quest’opera la dovuta attenzione.
Recupero e valorizzazione dei polittici
I Polittici del Vivarini e del Veneziano rappresentano dunque due opere di inestimabile valore nel panorama dell’arte rinascimentale italiana, due testimonianze tra le più alte ed eloquenti che vengono riconsegnate alla collettività dopo un necessario e fondamentale intervento di restauro. Quando il Castromediano li acquisì al patrimonio della Provincia di Terra d’Otranto i due polittici si presentavano in un discutibile stato di conservazione e per tale ragione sono stati, a più riprese (nel 1876 e nel 1934), oggetto di restauro presso il Museo, nel tentativo di rimediare alle offese del tempo e della trascuratezza. L’attuale intervento – eseguito da Ianuaria Guarini e Gaetano Martignano con rigore scientifico e metodologico – ha avuto lo scopo di recuperare la bellezza dei toni e dei tratti originari mascherati appunto dai restauri precedenti. Un lavoro di sottrazione che ha consentito un recupero di dati, di informazioni e di senso, oltre della loro bellezza più autentica. Un restauro che diventa anche opportunità per portare l’attenzione su un particolare momento dell’arte nel Salento, tra Gotico e Rinascimento, le cui scarse e frammentarie testimonianze sono nella maggior parte dei casi sopraffatte dalla straripante epoca barocca che in questi luoghi mostra ancora segni assai evidente spesso a discapito dell’arte che l’ha preceduta.
Il restauro è stato finanziato da Banca Popolare Pugliese grazie all’Art Bonus (Legge n. 106 del 29/07/2014 e s.m.i.), una normativa a sostegno del mecenatismo a favore del patrimonio culturale, in base alla quale chi effettua erogazioni liberali in denaro per il sostegno della cultura, come previsto dalla legge, potrà godere di importanti benefici fiscali sotto forma di credito di imposta.
Quello dei polittici veneti del Museo Castromediano è un intervento di recupero e valorizzazione ancora più significativo oggi con la ratifica italiana, nello scorso settembre, della Convenzione di Faro sul valore del patrimonio culturale per la società in quanto eredità culturale, un trattato multilaterale del Consiglio europeo in base al quale gli Stati concordano di tutelare il patrimonio culturale e i diritti dei cittadini di accedere e partecipare a tale patrimonio. Si innesca così un dialogo, grazie a questo recupero, tra il Museo Provinciale e la comunità locale.