La vita oltre la morte, le catacombe di Siracusa
Onore ai defunti nelle vie sotterranee itinerari catacombali nella città di Aretus, Archimede e Lucia
Dario Bottaro
Con il mese di Novembre che la Chiesa da secoli, dedica alla commemorazione dei fedeli defunti, non si può non pensare all’importanza di alcuni siti storici che sono parte integrante della storia di una comunità, del suo tessuto urbano, della sua tradizione archeologica, artistica e spirituale. Sono le catacombe di Siracusa, al plurale poiché i siti catacombali nella città di Aretusa, Archimede e Lucia, sono più di uno e ciascuno riveste un’importanza differente dall’altro, poiché testimonianza ancora viva dei secoli del passato, delle persecuzioni in modo particolare.
Siracusa, la prima Chiesa nata in Occidente, che secondo la tradizione ebbe come primo suo vescovo Marciano, direttamente inviato da San Pietro dalla città di Antiochia1, possiede alcuni dei siti catacombali più importanti della Sicilia, denominati così come segue, Catacombe di San Giovanni Evangelista, di Santa Lucia e di Vigna Cassia. Le vie sotterranee che scorrono sotto la città, a pochi metri dal suolo urbano fino a profondità più ampie, testimoniano i lunghi secoli del primo Cristianesimo, fatto di nascondimento, di rifugio, ma soprattutto di quel senso di comunità che ha contraddistinto la religione di Cristo fin dal suo nascere. La condivisione dei beni, così come la condivisione del pane, per fare memoria del sacrificio del Figlio di Dio sulla Croce, e ancora il ritrovarsi sulle tombe di coloro i quali si erano distinti in vita per le virtù evangeliche, hanno dato vita a luoghi che oggi, possiamo guardare con profonda ammirazione e con altrettanto stupore degli occhi e del cuore. Queste cavità sotterranee, vere e proprie strade divise in cunicoli più o meno stretti, raccontano la storia del singolo e insieme anche della comunità che fra il II e il IV secolo, viveva nell’oscurità del sottosuolo, la Luce del Vangelo, meditando ciò che era stato tramandato per iscritto e anche in forma orale. Le Catacombe di Siracusa, alla luce dei diversi studi che nel corso del XIX secolo e per tutto il secolo successivo, fino ad oggi, sono di fondamentale importanza per comprendere l’evoluzione di una comunità in cammino, che anche in maniera fisica, concreta, cercava di dare testimonianza al Sommo Dio, seguendo i precetti della nuova religione. Le Catacombe più antiche di Siracusa sono quelle di Santa Lucia che si sviluppano principalmente al di sotto dell’omonima piazza su cui sorgono anche il Santuario della Santa e il tempietto ottagonale del suo Sepolcro. Quest’ultimo ingloba il loculo che la tradizione ha tramandato essere quello in cui nel 304 la vergine e martire siracusana, fu seppellita. L’area catacombale di Santa Lucia fu costruita a partire dalla fine del II e l’inizio del III secolo d.C. e ad oggi presenta numerosi ampliamenti e diverse modifiche realizzate nei periodi bizantino e normanno. Solo una parte dei numerosi cunicoli oggi è visitabile, poiché gran parte del sistema sotterraneo è interessato da studi in corso. Ciò che sicuramente colpisce il visitatore che si immerge nelle viscere della terra, poiché si scende a più di 5 metri sotto il livello stradale, è la miriade di cunicoli di diversa dimensione che sono scavati alle pareti rocciose. Essi hanno forma rettangolare, di varie dimensioni in base al corpo che dovevano contenere, ma a far bella mostra non sono solo questi incavi che si sviluppano uno sull’altro in senso verticale e in successione in senso orizzontale, bensì anche le tombe a cubicula che mostrano sepolture multiple. Queste ultime erano spesso riservate alle famiglie più benestanti, le quali preparavano il giaciglio del sonno eterno per i componenti della famiglia, così da rimanere vicini anche nella nuda terra, dopo la vita terrena.
Molte di queste tombe presentano ancora le tracce delle decorazioni pittoriche che i proprietari chiedevano a sconosciuti artisti, i quali per abbellire le dimore dei defunti, attingevano con la fantasia al mondo vegetale che, con racemi e fiori, decorava le pareti circostanti del sepolcro. Anche all’interno del loculo in cui fu deposto il corpo di S. Lucia, si trovano ancora alcune tracce di fiori, identificate con rose e ciò che rimane della sagoma dormiente di una giovane donna. La parte più importante dell’area catacombale di Santa Lucia è però una cripta, conosciuta con il nome di Oratorio dei Quaranta Martiri di Sebaste. Questo luogo di raccoglimento e di preghiera, nacque dalla trasformazione di un’antica cisterna di epoca greca, poi ingrandita per realizzare questa piccola stanza sacra. Oggi questo luogo ha un aspetto diverso dall’origine, poiché ulteriori ampliamenti si sono succeduti nei secoli, ma il registro pittorico che vi si conserva, è testimonianza di quanto importante fosse il nuovo culto cristiano e quanto, le comunità antiche, si impegnassero a rendere decorosi i luoghi di preghiera, specialmente se questi nascevano in prossimità di sepolture importanti, come nel caso del Sepolcro della santa siracusana. La decorazione pittorica di epoca bizantina, databile fra l’VIII e il IX secolo, si sviluppa sull’unica parete originaria dell’oratorio e sulla volta. Nella fascia superiore del muro parietale, suddivisi da colonnine con drappi legati, sono dipinte sei immagini fra i quali si riconoscono i Santi Medici, Cosma e Damiano, una figura femminile e San Marciano, primo vescovo di Siracusa. L’attenzione non può che ricadere sull’immagine della donna, riccamente abbigliata, con lo sguardo ieratico e solenne – tipico della tradizione bizantina – che tiene in mano una corona. Una grande aureola dorata e gemmata sul contorno, le incornicia le spalle e il capo con i capelli raccolti all’indietro, mentre un simbolo con tre punte (forse una lucerna stilizzata), si posa al centro della testa. La figura è stata da sempre identificata con Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino il quale con l’editto del 313 diede libertà di culto ai Cristiani. Alla donna la Chiesa per tradizione attribuisce anche il merito del ritrovamento della Vera Croce di Gesù, motivo per cui ella è spesso rappresentata nelle pitture più antiche, specialmente in ambito bizantino e normanno. Dagli studi che si sono effettuati negli ultimi anni, questa ipotesi di cui la paternità è riferita all’archeologo Paolo Orsi, sembrerebbe non essere più tanto certa, poiché sarebbe più probabile l’identificazione con Santa Lucia, data proprio dalla prossimità del luogo della sua sepoltura ed anche dalla vicinanza nella raffigurazione, con il primo vescovo siracusano2. Sulla volta dell’oratorio è presente invece una croce gemmata i cui bracci si intersecano al centro dividendo lo spazio in parti uguali. Fra i bracci della croce sono raffigurati a gruppi di dieci, i Quaranta Martiri di Sebaste e nei clipei alle estremità sono ancora visibili un angelo, la Vergine orante all’interno del clipeo inferiore e in quello centrale la figura del Cristo benedicente3. Proseguendo in senso cronologico questo cammino sotterraneo, è il momento di parlare delle catacombe di Vigna Cassia che sorgono a nord rispetto alle precedenti, su una zona lievemente in declivio dove ha inizio la zona dell’Akradina, nome dato dalla presenza dell’antica necropoli i cui resti sono ancora visibili e segnano marcatamente il tessuto urbano di questa area della città. Nei pressi del complesso catacombale esisteva l’antica chiesa di S. Maria di Gesù, oggi non più esistente e sostituita nel corso del secolo precedente da un moderno complesso a scopo scolastico/educativo. Ciò che rimane, nella cappella dell’Istituto S. Maria è la bella statua marmorea della Vergine col Bambino, un tempo venerata nella precedente chiesa. Queste catacombe in realtà, prendono il nome dal proprietario del vigneto nel cui sottosuolo si sviluppano le cavità che hanno un corpo centrale in forma di croce, affiancati da numerosi ambulacri. L’area fruibile per il visitatore è ben poca cosa rispetto alla grandezza di queste catacombe, ma per fortuna gli scavi archeologici che ebbero inizio nel 1852 e proseguirono fino a tutto il XX secolo, hanno restituito alla vita alcuni loculi con particolari raffigurazioni pittoriche, pregio di questo sito. In alcune delle tombe ad arcosolio sono raffigurati la Vergine con il Bambino, l’orante con il Buon Pastore e Giona divorato dalla balena4, mentre altre decorazioni di natura fitomorfa interessano alcuni dei loculi mortuari sovrapposti alla parete rocciosa. C’è poi il sito più conosciuto che ingloba le Catacombe di San Giovanni Evangelista, importanti perché rispetto alle altre citate, l’area aperta al pubblico è ben più ampia e il percorso ricco di notevoli testimonianze. Nonostante sia il complesso sotterraneo più recente, perché la sua costruzione risale al IV secolo e gli ampliamenti proseguono fino al V, in queste catacombe sono stati rinvenuti pezzi di grande importanza archeologica. La struttura semplice, è costituita da una galleria principale chiamata Decumanus Maximus e da dieci gallerie definite Cardines che si diramano ad angolo retto. Anche in questa catacomba si trovano i diversi modelli di sepoltura, da quella a forma, ovvero quel sepolcro scavato nel pavimento delle gallerie (per ragioni di spazio o per motivi economici), ai tradizionali loculi alle pareti ed agli arcosoli. La caratteristica del complesso catacombale di San Giovanni Evangelista è data dalla presenza di numerose lapidi con iscrizioni, ancora presenti a sigillo dei loculi, dalle aree in cui convergono alcune gallerie, comunemente dette rotonde e soprattutto per le testimonianze archeologiche di cui accennato in precedenza. E’ in questo luogo che si concretizza l’importanza della convivialità fra vivi e morti, in un continuo rapporto di scambio che mai aveva fine. Queste parole per introdurre uno dei modelli di sepoltura più importanti che sono custoditi in questa porzione di sottosuolo aretuseo. Si tratta del Refrigerium, una particolare arca scavata nella roccia e coperta da una lastra che presenta tre fori. è qui, davanti a questo semplice pezzo di pietra, che si svela la forza della vita, della sua continuità, del suo trasformarsi in qualcosa di altro, sconosciuto, ma per i Cristiani qualcosa di serenamente eterno. Come non pensare allora al proprio caro defunto, come non continuare a prendersi cura di lui, versando da quei fori le vivande simbolo della vita e della rinascita, latte, miele e vino. Ciascuno di questi elementi riveste un profondo significato nelle culture più antiche ma, con Gesù morto e risorto, essi assumono una valenza maggiore quasi a voler legare indissolubilmente l’anima di chi ha lasciato la vita terrena, alla bellezza dell’eternità. Quelle che dagli archeologi sono state definite rotonde, hanno restituito alla città manufatti antichi, per certi aspetti molto preziosi. Il primo di questi reperti venne portato alla luce dall’archeologo Saverio Cavallari durante una campagna di scavi nel 1872. Si tratta di uno dei sarcofagi più importanti del mondo antico, quello detto di Adelfia, moglie del conte Valerio, raffigurati all’interno di una conchiglia nella parte centrale e circondati su doppio registro da eleganti figure ed elementi decorativi. Fra le immagini presenti è anche la scena di una Natività, probabilmente la più antica raffigurazione del presepe. Questo sarcofago si trova oggi esposto presso il Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi, insieme ad un secondo reperto che, per i siracusani in particolar modo, riveste un’importanza fondamentale. Si tratta di una tavoletta in pietra con incisa un’iscrizione. Questa piccola lapide funeraria del IV secolo – conosciuta come l’Epigrafe di Euskia – fu rinvenuta da Paolo Orsi nel 1894, nella rotonda chiamata di Eusebio o della Santa Ampolla e cita chiaramente nell’elogio funebre la data della “festa” di santa Lucia, ossia il dies natalis della Santa, come giorno della morte della donna alla quale l’elogio è dedicato. L’ultimo luogo sotterraneo, in stretta connessione con quest’area catacombale di cui abbiamo parlato, è la Cripta di San Marciano, scavata nella roccia e sorta sul luogo dove, secondo la tradizione, trovò sepoltura il santo vescovo. Lo spazio cultuale è a pianta di croce greca, con possenti pilastri che lo definiscono e un piccolo altare in pietra. Alle spalle di quest’ultimo sulla parete rocciosa, tracce di affreschi testimoniano l’importanza dell’area sacra evidenziando ancora una volta la profonda devozione alla martire siracusana Lucia, raffigurata in stile bizantino con la croce a doppia traversa in una mano. Quest’elemento ha permesso di datare l’affresco alla seconda metà del XII secolo, poiché è nel 1168 che il papa Alessandro III concesse questo simbolo, come insegna vescovile a Riccardo Palmieri alla guida della comunità siracusana5.