La poesia più bella le pittule di don Franco Lupo
Tra letterine e temi le rime leccesi della poesia di Natale per eccellenza…
Raffaele Polo
Io lo volevo scrivere sempre, il tema che la maestra ci riservava per Natale: ogni volta,però, invece di quello che mi aspettavo, l’argomento è stato solo sfiorato e poi niente, si è finiti all’elenco dei doni ricevuti e al ‘come hai trascorso le vacanze di Natale’. Una volta, pensate, un’insegnante più evoluta si è spinta ad assegnarci il tema-quesito: ‘Preferisci l’Albero o il Presepe?’. Ed è stato allora che ho cercato di avvicinarmi al mio obiettivo. Ho scritto, infatti, tenendomi attentamente alla larga di eventuali interrogativi sospetti, che mi piaceva l’albero, con le sue luci.
Ma che il Presepe mi sembrava l’unica soluzione per poter recitare le preghiere e le poesie a mezzanotte, quando si deponeva il Bambinello nella grotta… Ho scritto attentamente ‘le preghiere e le poesie’, proprio per insinuare, per far capire, aspettandomi che il prossimo componimento fosse intitolato: ‘La poesia di Natale che preferisco’. Ecco, quello mi aspettavo, da sempre. Sono passati lunghi anni, l’attesa si faceva più viva mano a mano che si avvicinava il 25 dicembre e ci venivano assegnati i ‘compiti per le vacanze’. Alle asticciole con il pennino si sono sostituite le penne stilografiche e poi le penne Biro. Poi, tutto col computer, una meraviglia, abbiamo dimenticato cosa fosse l’inchiostro e il calamaio, possibile che avessimo usato quei rudimentali attrezzi per imparare a scrivere? Ma i temi proposti, stavolta a figli e nipoti, nella sostanza, sono stati sempre gli stessi. Solo una volta, una maestra ha accennato a Gianni Rodari e ha proposto il seguente testo: “Cosa ci sta a fare un indiano nel Presepe?”
Ci avvicinavamo, non eravamo mai stati così prossimi a parlare delle poesie di Natale e, soprattutto, della Poesia per eccellenza che io volevo illustrare e che, da sempre, ha portato in sé il senso del Natale e alcuni aspetti che meritavano di essere sviluppati e risolti perché io, da solo, volevo esternare tutto il mio sentimento, tenuto dentro per tanti anni…
Allora, ve lo dico, alla fine, che la mia poesia preferita, tra tutte quelle di Natale (e sono tante, veramente: potremmo fare una Hit Parade nella quale, al terzo posto, c’è la poesia di Gozzano col Campanile che scocca lentamente le ore e al secondo posto Le Ciaramelle, con quei versi meravigliosi ‘…suono del nostro dolce e passato pianger di nulla.’ Ma al primo posto, in vetta da sempre ci sono ‘Le pittule’ di don Franco Lupo che mi hanno accompagnato, con la loro fragrante semplicità, per tutta la vita. Anche se non sono riuscito a scriverlo mai in un tema, è questo il testo natalizio per eccellenza, da recitare davanti al Bambino, appena posto nel presepe, circondati da tutti i luoghi comuni del Natale di noi salentini: i dolci, i regali, i pigni, i pupi, l’albero con le luci, l’odore di cannella, magari qualche botto per strade, un diffuso odore di bucce di mandarini. E le pittule, naturalmente. Con un paio di connotazioni e riflessioni che volevo rivolgere ai più grandi, a quelli che sanno tutto. Primo argomento: ma il termine ‘frusculieddhu’ io l’ho letto solo in questa composizione, non l’ho mai sentito pronunciare in un discorso in dialetto ‘dal vivo’. Possibile che un appellativo così evidentemente gentile e commuovente, sia sparito del tutto dal nostro bel dialetto?
E poi, alla fine, c’è l’offerta della ‘pittulicchia’ al bambino: un bellissimo quadretto che sintetizza l’ingenua, accorata volontà del piccolo protagonista di comunicare amicizia e condivisione al Bambino appena nato. Ma, caspita, mi dicevo, un piccolo essere umano appena nato, potrà mai accettare una pittula che, sia pur piccola, è pur sempre composta da frittura in olio bollente? Non gli farà male? E il Bambino non si metterà a strillare come ha fatto il figlio piccolissimo di un amica di mia madre quando gli accostai, in generosa offerta, una caramella succhiata che mi piaceva moltissimo? No, no che il senso sta tutto nel verso che accompagna l’offerta: autru nu tegnu. E subito immaginiamo la stanza spoglia e povera dove però ci sono le pittule, a creare l’atmosfera di Natale. E cosa c’è di meglio per un bambino povero che quell’offerta illuminante? Ah, che bel quadro, che meraviglia che ha saputo rievocare don Franco… E non c’è equivoco o un facile commento scherzoso, come in quella bellissima poesia del Carducci, Pianto antico, che tutti aspettavamo dove il poeta scrive: ‘sei nella terra fredda, sei nella terra negra’ e ci chiedevamo se non fossero 12 i figlioletti seppelliti, a sei a sei, dal bravo Giosuè che avrebbe potuto scrivere ‘stai’ invece di ‘sei’ e si sarebbe risparmiato le risatine e gli ammiccamenti di migliaia di studenti, nei secoli…
Ma poi, mi dico, queste osservazioni non hanno più ragion d’essere, perché queste poesie non vengono più imposte agli scolari, le nuove generazioni vengono su senza conoscere nulla della Cavallina Storna o del Giuramento di Pontida, senza sapere come è il ‘mereggiare pallido e assorto’ e quale sia la predilezione della donzelletta che vien dalla campagna e cosa ne faccia dei fiori che raccoglie…
Però, le pittule di don Franco, sono sempre nel mio cuore e ho cercato ‘frusculieddhu’ nel vocabolario leccese italiano del Garrisi. Dice: fanciullo vispo,care e simpatico. Frugoletto. Nel dizionario del Rohlfs, non c’è e nel raro vocabolario della Attisani Vernaleone neanche. Ma il termine è graziosissimo e lo serbo dentro di me, con amore…