CILENTO LENTO Tra Natura Santi e Patrioti

Il reportage fotoletterario un viaggio emozionale da Sapri alle Grotte del Bussento fino a Capo Palinuro

Antonio Giannini

Iniziare un cammino da un posto così evocativo della nostra storia come Sapri, mi ha indotto a ripassarla quella storia prima di partire ed il ripasso, manco a dirlo, ha contribuito a rendere ancora più intimo e suggestivo questo nuovo “viaggio”, a cominciare dall’albergo affacciato sul mare che ci ha ospitato la notte prima della partenza che, guarda caso, portava il nome di Pisacane.


Quando ripassi la storia è facile che prendano il sopravvento le suggestioni, ed è stato proprio così per me quando il pensiero è corso alle vite di quei ragazzi che hanno calcato questi stessi sentieri e perso la loro vita per un ideale.
E la suggestione è tanto più forte quanto forte è lo stridore tra i nostri lievi passi e i loro, e non puoi fare a meno, mentre avanzi, di pensare, ripensare e pensare ancora alla enormità dell’atto di rischiare la propria vita per un ideale. E ti chiedi che fine abbiano fatto gli ideali: ci sono ancora gli ideali? O forse li abbiamo definitivamente barattati con l’idea molto più prosaica di uno sviluppo a senso unico, iniquo, devastatore e predatorio?
Mi allarmo quando questi pensieri tossici prendono il sopravvento in posti come questo e, per un attimo, mi pare di essere solo col corpo in questo estremo lembo di Campania, come catapultato per caso tra i boschi di una terra sconosciuta.
Ma per fortuna questo disagio iniziale svanisce, senza preavviso, quando l’incontro ravvicinato con la natura mi porta in un’altra irresistibile dimensione del vivere, e non mi lascia più per tutto il cammino che si snoda quasi ininterrotto nel verde, attraverso Parchi, ruscelli, cascate ed inghiottitoi.
Certo, è un saliscendi impegnativo il sentiero che da Sapri va verso l’interno, ma lo spettacolo attraverso il passaggio delle due oasi, quello di Casaletto Spartano e Morigerati rende impari il confronto tra lo sforzo e il godimento, nettamente a favore di quest’ultimo.
Il protagonista assoluto di questo angolo di Lucania è il fiume Bussento che nasce dal versante meridionale del monte Cervati, in prossimità di Caselle in Pittari e si inabissa in un colossale inghiottitoio per riapparire, pochi chilometri più a sud, sotto l’abitato di Morigerati. Ma già nei pressi di Casaletto, la natura si fa spettacolo quando le sue acque scendendo sul bordo delle pareti piene di vegetazione formano cascatelle a decine.
Sulle prime credi che il nome dato al sito “Capelli di Venere” sia dovuto al rimando fantastico dei capelli di una venere tanto sono belli, in effetti poi leggi che quel nome deriva da capelvenere, pianta della famiglia delle felci che sulla roccia crea quel manto accogliente, cresciuto lì quasi a voler accogliere il rumoroso e festoso scroscio.

Qui, tra lo scintillio dell’acqua, il dolce fragore della sua caduta, il suo perpetuo fluire più silenzioso nei piccoli stagni più a valle e poi giù via via verso il mare, tra la frescura, l’ombra della vegetazione e delle alti pareti rocciose, tra i profumi intensi della vegetazione, senti di essere come ammaliato e capisci perché questi posti così appartati, impervi e solitari siano stati la meta dei tanti monaci italogreci venuti da oriente a fondare comunità di preghiera e lavoro (per sfuggire alla iconoclastia di Papa Leone VIII, recita la mia guida).
La meraviglia si ripete il giorno successivo quando, camminando lungo il rio Bussentino, attraversato il borgo medievale di Tortorella, arriviamo, nei pressi di Morigerati, all’oasi Grotte del Bussento. Da qui, attraverso una mulattiera lastricata, giungiamo all’ingresso della grotta del fiume e, lungo due ponticelli in legno, oltrepassiamo il profondo canyon scavato dal costante lavorio del fiume.
Bisogna avanzare ed il sentiero si inerpica nel bosco verso Sicilì proprio alle spalle di un antico mulino circondato ed attraversato da una festosa gazzarra di getti d’acqua, e l’immagine è così idilliaca da sembrare un acquerello di altri tempi, e immagino lì davanti seduto sul suo trespolo uno dei tanti viaggiatori del grand tour del settecento assorto nel ritrarre il paesaggio.
Il getto d’acqua che una volta faceva girare la ruota idraulica, che più impetuoso ed imponente defluisce a valle attraverso la grande porta ad arco del mulino, dopo averlo attraversato, sembra uscire da una grande bocca spalancata che grida, come in un impeto di ribellione, la forza ribelle della natura. Le due piccole finestre poste in alto in modo simmetrico rispetto alla grande apertura, sono come due occhi spalancati dallo sforzo.
Il prosieguo del cammino oltre il piccolo paese di Rofrano diviene più dolce attraverso l’area della montagna del Centaurino entrando nella valle del fiume Mingardo e quindi nell’area del Monte Bulgaria, unico imponente rilievo montuoso il cui profilo (come un leone accucciato) non ti abbandona più fino a che il bosco lascia gradatamente il passo ai grandi spazi del mare lungo un crinale che degrada dolcemente al cospetto di Capo Palinuro che, lungi da farci sentire arrivati alla meta finale del cammino, affolla la nostra immaginazione di vecchi e nuovi, infiniti altri arrivi e partenze e di scampoli di ricordi di storie e mitologie.
Ed è proprio questo passaggio l’esperienza più forte che porti a casa alla fine del cammino. E’ questo transito dall’interno del bosco, con il suo misterioso continuo ammiccare di luci e ombre, agli spazi aperti e luminosi del mare; dall’odore aspro delle foglie marcite e del terreno, a quello della salsedine; dalla presenza costante e fitta di specie arboree maestose, a isolate e solenni falesie tenute perennemente sotto lo sguardo di torri costiere di avvistamento; dai frequenti ambienti chiusi dalla fitta vegetazione attraversata da fiumi e torrenti, alle grotte marine solo schiarite da dalla luce azzurra di acque illuminate appena dall’apertura di cunicoli sottomarini sfocianti in mare.
Il transito in questi due stati fisici e mentali così intensi nella loro diversità. E’ lui il vero protagonista di questa storia, dove alla fine senti di essere un po’ proprio come le acque del fiume che dopo il suo lungo e rocambolesco cammino si unisce e dilegua dolcemente nelle acque del mare e finalmente trova la quiete.