Il coro della Cattedrale di Brindisi

Un’originale opera lignea nel panorama della scultura pugliese

Sara Foti Sciavaliere

Il coro era il luogo dove la comunità dei canonici si riuniva per innalzare al Signore preghiere e canti. Un esemplare di scultura decorativa in legno che si differenzia nella produzione del Meridione d’Italia, seppure poco nota, è il coro cinquecentesco della Cattedrale di Brindisi, che ha sostituito il più antico del 1311, intagliato in legno di cedro.


Un primo passo verso il nuovo coro saranno gli interventi sull’impianto absidale. Fu abbattuta fin dalle fondamenta l’abside centrale e costruito un nuovo vano retrostante l’altare, che rimase vuoto per alcuni anni. Solo nel 1594 in esso fu installato il coro di legno di noce.
La datazione all’anno 1594 è incontrovertibile, perché ricavata dal millesimo intarsiato sopra lo stesso monumento, ma sarà questa solo un punto di partenza: di fatto nell’inedito coro brindisino è possibile notare aggiunte e varianti, sostituzioni e asportazioni operate e verificatesi nel tempo, dall’epoca appena successiva la sua esecuzione a quella degli ultimi restauri.
Prima del 1604 fu fatto costruire il leggio. Dal 1633 al 1636 tutto il coro fu coperto con un soffitto di legno; nella metà dello stesso secolo furono apportate le maggiori varianti alla parte frontale ove era la cattedra dell’arcivescovo e furono schermati con due pannelli i primi scanni dei presbiteri. Nel 1930 fu restaurato ed integrato in varie parti. Nel 1956 è stato ancora restaurato. E infine, demolito l’altare trionfale del 1750, il coro può ritrovare il suo primitivo quadro estetico e liturgico come fondale del presbiterio e corona alla cattedra centrale dell’arcivescovo.
I corpi avanzati corrispondenti alla cattedra arcivescovile ed agli stalli delle quattro dignità del capitolo si contrappongono ad altri vuoti ove sono gli scanni degli assistenti. Gli stalli più importanti si chiudono all’apice ad arco con lunette di fondo e decorate a conchiglia, eccezion fatta per quella che è sopra la cattedra dell’arcivescovo dove invece sta, in rilievo, la Vergine tra i santi Giovanni Battista ed Evangelista. Il fastigio è anch’esso in accordo stilistico con la struttura sottostante: esso si presenta secondo il tipico schema rinascimentale con un timpano spezzato. Nel mezzo di questo timpano si erge una statuetta di San Michele arcangelo che trafigge il demonio.


Nella fascia di trabeazione, con lettere capitali intrecciate, si possono leggere alcuni motti invitatori.
Sui dorsali di tutti gli stalli di questa parte frontale del coro si evidenziano le formelle rettangolari con figure intagliate di undici santi di cui la chiesa brindisina conserva le reliquie, e dei quali vi sono anche i nomi scritti ad intarsio nella parte superiore di ogni riquadro. In questa teoria di immagini pare vi sia una di quelle forme di reazione cattolica post conciliare alla iconoclastia dei protestanti.
I raffronti stilistici possono riferirsi ad alcuni particolari. Ad esempio, i rilievi delle fiancate cinquecentesche sono simili alle decorazioni delle porte laterali di Palazzo Granafei; oppure le cariatidi ed i telamoni che separano le alzate degli stalli dei canonici ricordano le lesene figurate che cesurano verticalmente gli scomparti della facciata coeva della chiesa di San Domenico a Nardò. Queste concomitanze tuttavia non permettono una possibile attribuzione di paternità, né individuale né di scuola, alla parte originaria di questo monumento brindisino.
Le formelle con le immagini dei santi che stanno sui dorsali della cattedra e degli stalli frontali del coro appartengono indubbiamente al secolo XIV, quindi all’originale impostazione del coro. Lo provano sia i fatti storici locali che l’esame iconografico e stilistico. Se quelle immagini fossero state infatti intagliate nella seconda metà del 1600, ossia il tempo in cui l’arcivescovo d’Estrada fece costruire l’altare trionfale nella cattedrale di Brindisi, tra di essi dovrebbe figurare anche quella di Sant’Oronzo – alla cui intercessione allora si riteneva si dovesse il merito della liberazione dalla peste del 1656-1657 per l’intera penisola salentina –, però Oronzo è assente dalla teoria di santi. A questo santo l’intera regione salentina allora attribuiva il merito della liberazione dalla peste del 1656-1657.
Una riflessione a parte meritano le due formelle in cui sono scolpite le immagini dei santi Giorgio e Teodoro. In esse la composizione supera i limiti imposti alle rappresentazioni di tipo medievale pur conservando parte dello schema figurativo dell’epoca.
San Giorgio, nelle vesti di cavaliere romano, in sella ad un cavallo quasi bucefalo, con il collo tozzo e la folta criniera, a trafiggere il drago sotto gli occhi della leggendaria donna inginocchiata e orante a braccia aperte. Questa composizione sembra estranea alle rappresentazioni che di questo santo si trovano affrescate sulle pareti delle grotte eremitiche pugliesi, ma la scena è assai simile a quella scolpita in un pannello del Louvre. La formella del coro brindisino va intesa perciò la luce di nuove acquisizioni culturali verificatesi nella città di Brindisi già dal secolo XV con l’arrivo degli Slavi e delle nuove concezioni umanistiche che imponeva la gloria del passato romano: i primi elementi sembrano documentati dalla presenza di cavalli orientali dal collo tozzo; gli altri dal fatto che il santo è vestito con i costumi degli Antichi Romani. La parte superiore della formella presenta lo scorcio di una città murata che pare un florilegio monumentale della Brindisi fine ‘500, nel quale è possibile riconoscere Porta Mesagne, la chiesa di San Benedetto con il retrostante campanile a torre, la chiesa di San Paolo con il portale gotico, la Cattedrale con il campanile a guglia e l’oratorio di San Teodoro.
Nella formella dove è raffigurato San Teodoro nelle vesti di cavaliere spagnolo nell’atto di trafiggere il demonio antropomorfo vi è la descrizione di particolari d’ambiente come la forma della cavalcatura e del capestro del cavallo, il gonnellino plissato, la foggia degli stivali e dell’elmo del cavaliere. San Teodoro viene elevato da soldato appiedato a cavaliere vittorioso seguendo una tradizione che è espressa per la prima volta nel XIII secolo sopra una delle lastre d’argento dell’Arca reliquiario del santo, custodita al Museo diocesano di Brindisi. Forse questa promozione del santo da milite a cavaliere si è verificata per desiderio di magnificarlo mentre veniva assunto a patrono della città. È da notare inoltre che nella parte superiore del pannello vi è, oltre un gruppo di alberi, il mare con una nave a vela spiegata e più vicino due torri che pare possano corrispondere a quelle che erano laddove le tranquille acque del porto si toccavano con quelle turbinose dell’Adriatico. Elemento anche questo di iconografia locale che rende possibile la datazione del pannello alla fine del 1500, epoca in cui erano ancora in piedi, o almeno leggibili, le due torri delle catenelle all’imbocco del porto interno.
La sintesi espressa così dall’artista è quasi una trasfigurazione della realtà, possibile, in tema di ricerca, solo ad un cittadino di Brindisi o che dell’ambiente brindisino avesse avuto occasione di assimilare sia le tradizioni che le latenti aspirazioni.
Precisata l’età in cui furono intagliate le formelle, resta da precisare la personalità dell’anonimo intagliatore. Senza dubbio offre degli elementi di contraddizione: in alcuni casi si attiene a schemi iconografici del passato, come nella rappresentazione dei santi vescovi e delle Vergini Lucia e Marina; in altri ostenta una propria autonomia creativa, così come si raccontava per i due pannelli di San Giorgio e San Teodoro.
Troviamo anche il suo autoritratto eseguito in un rettangolo orizzontale alle spalle della cattedra dell’arcivescovo. In esso egli si è rappresentato in costume di liberto, scalzo, coperto di una corta tunica, con una mano sopra l’impugnatura di uno scudiscio e l’altra al cappello dalle larghe falde che pare calcarsi in testa. Questa impostazione dell’autoritratto vale forse una dichiarazione di supina obbedienza dell’operaio. Il viso che in questo autoritratto è incorniciato da corta e curata barba non ha i tratti nè nelle immagini dei santi né quelli delle cariatidi e dei telamoni che stanno inseriti nello stesso coro; in esso vi è una ricerca veristica: il naso ed il collo sono tozzi, gli occhi piccoli così come si riscontro solo nel San Teodoro che, vestito con i costumi di tipo spagnolo, può anch’esso credersi eseguito con preciso riferimento a qualche episodio reale.
Questi alcuni degli elementi che fanno del coro della Cattedrale di Brindisi un’opera di scultura lignea in Puglia che supera il comune livello artigianale.

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