Dieci domande a…
I luoghi della parola/Dieci domande a….
Intervista allo stravagante artista torinese Luca Swanz Andriolo
di Stefano Dentice
Luca Swanz Andriolo è un eclettico cantante, compositore e frontman della band piemontese Dead Cat in a Bag.
Andriolo è un musicista dall’iridescente stile compositivo, frutto di un’ammaliante commistione di svariati generi musicali, tra i quali: country, blues, folk e rock.
Un’amena curiosità: cosa significa Swanz?
Non è la parolaccia tedesca che sta per… “coda” e non solo. E non ha a che fare con la musica. È solo un nome. Rivelo, giusto per l’occasione, che la vita da tour con la band mi ha fruttato anche il nomignolo di Bozzolo, per via del mio essere freddoloso.
A che età ti sei approcciato alla musica?
Come ascoltatore, presto: ascoltavo le trasmissioni di Johnny Villata alla radio. Lui passava musica Country & Western. Ho imparato a strimpellare molto più tardi. La prima band, com’è d’obbligo, l’ho messa su ai tempi del liceo.
La tua famiglia ha alimentato la passione per la musica?
La mia famiglia ha più che altro subito tutto questo. Ma, essendo povero in canna, sono stato a lungo privo di un amplificatore, perciò i danni familiari sono stati piuttosto limitati.
Sei un versatile polistrumentista. A quale strumento non rinunceresti mai?
Il vero polistrumentista della band è Scardanelli: lui suona bene un sacco di strumenti. Io mi accompagno soltanto, difficilmente faccio assoli. Il mio strumento preferito è il banjo, ma trovo più comodo comporre alla chitarra.
Scardanelli è un componente della band Dead Cat in a Bag, della quale tu sei il frontman. Come è nato questo progetto e, soprattutto, come mai questo bizzarro nome?
I Dead Cat in a Bag sono nati dalla fine di tanti progetti precedenti, ma con i quali hanno mantenuto una sorta di continuità. Doveva trattarsi di un side-project (ah, magnifica sintesi della lingua inglese!), che poi ha preso il sopravvento. All’inzio eravamo in due, Roberto Abis ed io. Poi si sono aggiunti altri musicisti, il cui numero non ha mai smesso di cambiare. Ogni formazione ha portato nuovi elementi musicali e ampliato le possibilità strumentali. Il nome è generosamente e compiutamente spiegato sul nostro sito (www.deadcatinabag.org). In verità, mi piace che sia allusivo, che abbia varie interpretazioni: c’è dentro l’estetica blues di Mark Twain e il Gatto di Schrödinger, l’idea di scheletro nell’armadio e di bagaglio di tristezza, c’è lo sberleffo macabro e l’affezione, l’amore perduto e il rapporto con la morte. Ma come dico sempre, noi amiamo molto i gatti. Il nome è come la nostra musica: lugubre, paradossale, romantico, grottesco, intimo e misterioso.
Quale è stato il concerto più emozionante che hai tenuto fino a oggi?
Amo molto suonare al Magazzino sul Po, posto dove ci sentiamo a casa e dove organizziamo il lancio dei dischi e delle novità. Ricordo con grande affetto e nostalgia il primo concerto a Catania, precedente a Lost Bags (il nostro disco di esordio), con amici come Marcello Caudullo, Alessandro Falzone (Black Eyed Dog), Enzo Velotto (più tardi discografico dell’etichetta con cui è uscito Lost Bags, la Viceversa Records) e un pubblico totalmente estraneo e molto amorevole. Ricordo anche con molto piacere la nostra apertura, sempre a Catania, per Bonnie Prince Billy e le date di supporto a Hugo Race. Ho anche amato molto partecipare a Strade Blu. Ma ogni concerto è diverso ed entrano in campo cose differenti, perciò non mi sento di fare una classifica.
C’è un artista in particolare con cui sogni di condividere palco e studio di registrazione?
Nominandolo, farei torto agli altri e me ne pentirei. Fino ad oggi abbiamo avuto la soddisfazione di incontrare alcuni dei nostri eroi musicali e di collaborare in varie forme con loro. E anche di condividere parte del cammino con colleghi talentuosi. Forse è per questo che non ci siamo ancora fermati.
In quale parte del mondo, dove non hai ancora suonato con la tua band, vorresti esibirti?
Vorrei suonare ovunque.
Se ti chiedessi una città o una nazione su tutte?
Vorrei suonare ovunque. Ogni volta, anche dove sei già stato, è la prima volta. Nel bene e nel male. Un palco che calcherei nuovamente al più presto è il Théâtre du Galpon di Ginevra. E poi ci manca il famoso tour in Germania che tutti facevano, specialmente a spese loro, negli anni Novanta.
A proposito di tour, concerti e dischi. Cosa c’è in cantiere nel futuro dei Dead Cat in a Bag?
Abbiamo un tour autunnale abbastanza soddisfacente, poi tenteremo un’avventura in Sicilia. Credo che i prossimi mesi ci vedranno impegnati nella registrazione del nuovo disco. Ma considero Late for a Song (il nostro ultimo album) ancora un lattante, a livello promozionale. E anche attuale sotto l’aspetto del suono della band.